05/12/2025
Giornalisti: Victoria Pantanetti Gonzalez, Vittorio Casconi ed Aurora Irace
Tecnici: Leonardo Aidan Lattanzi
05/12/2025
Giornalisti: Victoria Pantanetti Gonzalez, Vittorio Casconi ed Aurora Irace
Tecnici: Leonardo Aidan Lattanzi
“Facendo seguito alla nota ministeriale n. 3392 del 16 giugno 2024, riguardante il primo ciclo di istruzione, con la presente circolare si dispone anche per gli studenti del secondo ciclo di istruzione il divieto di utilizzo del telefono cellulare durante l’attività didattica e, più in generale, in orario scolastico.”
Il ritorno fra i banchi, quest'anno, ha fatto discutere più che mai: il centro delle polemiche? La nuova normativa sul divieto dei cellulari a scuola voluta dal ministro dell'Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara e in vigore dal primo settembre. La decisione ha suscitato non solo i vari e contrastanti commenti degli studenti, direttamente coinvolti, ma anche una grande attenzione da parte dell’opinione pubblica.
Ma cosa si aspettano i sostenitori di questa “rivoluzione”? In primis una ritrovata concentrazione durante le ore di lezione. Eliminando distrazioni -telefono, tablet, computer- si è più attenti verso i propri doveri scolastici. Inoltre, c’è chi spera in un ritorno dello "studente modello". Ci si potrebbe chiedere cosa rappresenti realmente questo canone. Un allievo particolarmente diligente, che ottiene ottimi voti? Sebbene tale definizione sia giusta in parte, con "studente modello" si fa spesso riferimento al giovane "che si applica", "che si dedica" a qualcosa. La stessa parola "studente", dal latino studeo, indica un appassionato, che ama il sapere, che si impegna. Qualcuno in grado di portare a termine compiti e prove senza ricorrere costantemente all'uso di strumenti esterni come il cellulare. Non di rado, infatti, si tende a cercare risposte e soluzioni online, indebolendo così facoltà mentali e creative dei ragazzi.
Cos’è che i giovani non accettano di questo provvedimento? Le contestazioni sono scaturite dall'abuso della parola divieto. Si tratta di una proibizione, un’imposizione che non considera le esigenze dei destinatari. L’uso eccessivo dei dispositivi elettronici è sicuramente sbagliato, ma proibire è davvero meglio che educare? Il nostro ministro sembra pensarla così, eppure dall’altra parte della cattedra abbiamo una visione diversa. Crediamo infatti che il cellulare non vada demonizzato, ma riconosciuto come uno strumento: vietarlo potrebbe spingere noi studenti a cercare vie di fuga, senza cambiare il nostro modo di usarlo. Il vero cambiamento sarebbe insegnarci ad utilizzarlo in modo consapevole.
Secondo uno studio di Sapien Labs, l’età minima per possedere uno smartphone dovrebbe essere 13 anni. Per questo riteniamo opportuno che, già nella scuola secondaria di I grado, l’educazione civica integri ore di prevenzione sui rischi di un suo uso eccessivo: ansia, insonnia, distrazione, problemi sociali, fragilità emotiva, esposizione a contenuti dannosi o falsi. Sarebbe utile educare i ragazzi a momenti senza telefono, giornate di digital detox, tutela della privacy e gestione critica delle informazioni. Così capirebbero che la vita fuori dallo schermo è più ampia e ricca di quella virtuale.
In alcuni Paesi, tra cui la Cina, sono già stati attivati centri di riabilitazione per giovani dipendenti dal web, una sorta di servizio civile con attività concrete per riconnettersi con la realtà. Anche senza arrivare a tanto, la scuola può fare molto.
Nella scuola secondaria di II grado, l’educazione dovrebbe concentrarsi su un utilizzo ancora più maturo: imparare a usare l’intelligenza artificiale come alleata, ridurre le distrazioni visive (ad esempio con sfondi neutri o notifiche intelligenti), rafforzare la sicurezza digitale con password efficaci e regole di equilibrio tra momenti online e offline. Un esempio semplice è la regola 20-20-20: ogni 20 minuti guardare qualcosa a 20 piedi di distanza per 20 secondi, così da rilassare gli occhi.
Indubbiamente, un problema così complesso non può essere risolto con un semplice divieto. Imporre un limite senza offrire un’alternativa formativa rischia di trasformare la scuola in un luogo di limitazioni più che di crescita. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di eliminare il telefono, ma di insegnare a gestirlo: educare all’autonomia, alla responsabilità e alla consapevolezza digitale. Solo così la tecnologia potrà diventare un alleato del sapere e non un nemico dell’attenzione. Bisognerebbe dunque imparare a convivere con le innovazioni che abbiamo a disposizione, senza diventarne schiavi.