12/04/24
[La redazione di Settecinquanta]
12/04/24
[La redazione di Settecinquanta]
I nostri lettori sapranno che Settecinquanta predilige un giornalismo fatto "sul campo", costituito di notizie raccolte direttamente dai redattori. Eppure, stavolta, non possiamo esimerci dall'osservare le cronache nazionali per pronunciarci su quanto, nelle ultime ore e negli ultimi mesi, sta accadendo alla Rai e ai giornalisti italiani tutti.
È notizia recente che, in vista delle elezioni europee di giugno, i meccanismi di garanzia dell'informazione pubblica e privata, siano intervenuti come consueto per regolare le norme sulla "par condicio" nelle comunicazioni e nei dibattiti politici, in modo da favorire condizioni paritarie e pluralismo di espressione: par condicio, per l'appunto. Ecco che, tuttavia, nell'esercizio delle proprie funzioni, la Commissione di Vigilanza Rai approva un regolamento che suscita l'immediata reazione dell'USIGRai (Unione Sindacale Giornalisti Rai), la quale diffonde nelle edizioni dei TG nazionali il seguente comunicato:
La maggioranza di governo ha deciso di trasformare la Rai nel proprio megafono. Lo ha fatto attraverso la Commissione di Vigilanza che ha approvato una norma che consente ai rappresentanti del governo di parlare nei talk senza vincoli di tempo e senza contraddittorio. Non solo, Rainews24 potrà trasmettere integralmente i comizi politici, senza alcuna mediazione giornalistica, preceduti solamente da una sigla.
Questa non è la nostra idea di servizio pubblico, dove al centro c'è il lavoro delle giornaliste e dei giornalisti che fanno domande (anche scomode) verificano quanto viene detto, fanno notare incongruenze. Per questo gentili telespettatori vi informiamo che siamo pronti a mobilitarci per garantire a voi un'informazione indipendente, equilibrata e plurale.
Quanto successo in Commissione Vigilanza non può che destare preoccupazione nella redazione di Settecinquanta, tanto più se inteso in un quadro che, da mesi, sembra sempre più penalizzante per i giornalisti italiani. Si consideri ad esempio la legge, in vigore da appena un mese, che interviene sul codice penale per impedire ai giornalisti di pubblicare integralmente o per estratto i testi di ordinanze di custodia cautelare fino al termine dell'udienza preliminare. Norma definita dalla FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), soprannominata dai giornalisti "legge bavaglio", perché limitante la libertà di stampa e l'informazione. Si considerino poi le recenti proposte volte ad inasprire (già la sola esistenza è preoccupate, come sottolineato più volte dall'Unione Europea) le pene detentive e pecuniare per giornalisti accusati di diffamazione per mezzo stampa. Proposte che, secondo il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, costituiscono "posizioni inaccettabili frutto di pulsioni autoritarie”. Si considerino in aggiunta i 500 giornalisti minacciati in Italia solo nel 2023 (dati "Ossigeno per l'informazione") e le innumerevoli denunce e querele piovute sulla stampa e sugli intellettuali da parte di politici appartenenti ad ogni schieramento.
Non è questione politica, se per politica intendiamo destra e sinistra, non solo perché Settecinquanta non si occupa di ciò, ma anche e soprattutto perché si tratta di una questione di libertà di stampa e di esercizio realmente democratico dell'informazione pubblica, tema che in alcun modo dovrebbe essere soggetto alle velleità parlamentari. Non si tratta di politica laddove la Costituzione sembra essere un lontano ricordo. Non si tratta di politica quando non è vero che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione". Si tratta, al contrario, di diritti, quelli che dovrebbero essere propri di uno Stato civile, fondamento di una Repubblica custode di libertà che dovrebbero essere incontrovertibili e inalterabili. Si tratta, dunque, del cittadino, dell'uomo, perché se la stampa non è libera, non è libero neanche il pensiero.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure (Art. 21 Costituzione)