25/11/2025
Giornalisti: Victoria Pantanetti Gonzalez
Tecnici: Mahana Ricci, Miriam Pompei
25/11/2025
Giornalisti: Victoria Pantanetti Gonzalez
Tecnici: Mahana Ricci, Miriam Pompei
Pamela Genini, Ilaria Sula, Martina Carbonaro.
Tre nomi che abbiamo tristemente imparato a conoscere, dietro ai quali c’erano vite piene, in crescita, “normali” come le nostre. Pamela, giovane imprenditrice attiva nel settore immobiliare e nella moda; Ilaria, studentessa di Statistica alla Sapienza di Roma; Martina, una ragazzina delle medie, che alla vita si stava appena affacciando.
Oggi i loro nomi risuonano forti e ci ricordano tutto ciò che le loro vite non sono potute diventare.
Le loro storie si sono svolte in città come le nostre, coinvolgendo ragazze come noi. Pamela aveva ventinove anni: lo scorso 14 Ottobre l’ex compagno l’ha uccisa nell’appartamento di Milano in cui vivevano, dopo mesi di violenze, dopo mesi di richieste di aiuto rimaste senza risposta.
Ilaria, ventidue anni, abitava come studentessa fuori sede a Roma. L’ex non ha accettato la fine della loro relazione: il 2 Aprile 2025 il suo corpo è stato ritrovato in una valigia in fondo a un dirupo.
Martina, appena quattordici anni, il 26 Maggio 2025 non è rientrata a casa per la cena: ad ucciderla ancora una volta il suo ex, un ragazzo di diciannove anni incapace di accettare il distacco.
In ognuna di queste storie un altro essere umano si è ritenuto in diritto di poter decidere dei loro sentimenti, della loro vita.
I dati di questi mesi confermano ciò che queste vicende raccontano. Nel 2025, secondo l’Osservatorio Non Una Di Meno, in Italia si sono finora registrati 78 femminicidi, su un totale di 91 morti dovute alla violenza maschile. Solo nei primi sei mesi dell’anno 40 vittime e 29 tentati femminicidi.
Il Servizio Analisi Criminale del Ministero dell’Interno segnala inoltre che i cosiddetti “reati spia” — maltrattamenti, minacce, atti persecutori — ai danni delle donne sono cresciuti di oltre il 25% in questi ultimi anni.
Non si tratta solo numeri. Dietro a queste cifre ci sono persone. Troppo spesso le immaginiamo come storie lontane, vicende che a noi non potrebbero accadere. Pensiamo che per noi sarebbe stato diverso, avremmo riconosciuto i segnali, che ce ne saremmo andate in tempo. È proprio questa sicurezza a ingannarci. I segnali non arrivano mai come ce li immaginiamo: sono piccoli, quotidiani. Si nascondono nell’insistenza, nel voler sapere sempre dove sei, nei commenti su come ti vesti, nei luoghi o nelle persone che “all’improvviso” non dovresti più frequentare. È lì che, poco a poco, una ragazza smette di essere libera senza quasi accorgersene.
Le storie di Pamela, Ilaria e Martina ci ricordano che la violenza non riguarda “le altre”. Ha l’età delle nostre compagne di classe, delle nostre sorelle, delle ragazze che incrociamo ogni mattina. E riguarda anche noi: la nostra capacità di riconoscere quando un comportamento non è amore, non è affetto, ma solo controllo.
Non si chiedono miracoli. Si chiede semplicemente di ascoltare, non sminuire, chiamare violenza ciò che violenza è. Dire basta è possibile e dobbiamo imparare a farlo.
Quando una donna trova il coraggio di raccontare e riusciamo a capirla senza scuse né minimizzazioni, è già un primo basta.
Quando possiamo aiutarla a vedere ciò che lei si ostina a non vedere, è un altro basta.
Quando smettiamo di sorridere di certe frasi, di normalizzare la gelosia, di chiudere un occhio “perché è fatto così”, stiamo dicendo ancora basta.
E quando finalmente questa donna trova la forza di passare oltre grazie all’aiuto di tutti quelli che le sono accanto, questo è il basta più forte di tutti.