05/03/24
Giornalisti: Greta Sergi
Grafica: Canala Paolo
05/03/24
Giornalisti: Greta Sergi
Grafica: Canala Paolo
“E per tutti i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perché stanno uccidendoci il pensiero”, cantava Roberto Vecchioni nel 2011 sul palco dell’Ariston. Mi viene da pensare che lui sia uno dei pochi a vedere noi giovani “belli” quando facciamo sentire la nostra voce nelle piazze. Ultimamente forse appariamo più minacciosi, bocche da tappare con la violenza, altrimenti perché dovremmo finire sanguinanti a causa dei manganelli, come a Pisa e a Firenze nei giorni scorsi? Dei ragazzi del liceo, mentre protestavano contro il massacro dei palestinesi, sono stati aggrediti dalle forze dell’ordine. Stavano avendo comportamenti sbagliati? Erano violenti, irruenti, armati? No, mani occupate solo dai cartelli e voglia, anzi, bisogno, di dire la propria.
Un bisogno da sempre insito in noi giovani, ma allo stesso tempo un diritto ottenuto relativamente poco tempo fa.
Fu negli anni ‘60, in particolare nel ‘68, che iniziò a dilagare tra gli studenti una nuova consapevolezza, alimentata dalle ingiustizie nel mondo, come la guerra in Vietnam e l’apartheid in Sudafrica, e da un incremento delle iscrizioni nell’università con un conseguente maggiore livello di istruzione. Peccato che allora parlare di certi temi non fosse facile: la censura era dietro l’angolo e così anche i primi giornali studenteschi ne erano vittime.
Una scuola nuova, non più solamente nelle mani degli adulti, non più un ambiente antidemocratico e autoritario ma un luogo fatto per e dai ragazzi: questo chiedevano gli studenti. E a forza di proteste, occupazioni, manifestazioni e slogan, si riuscirono ad ottenere diritti che oggi per noi sono scontati. Puoi una volta al mese organizzare un’assemblea di istituto? Puoi avere dei rappresentanti di istituto come portavoce? Tutto merito di chi ebbe il coraggio, per la prima volta, di dimostrare il dissenso verso un sistema che stava stretto, merito di chi si riuniva per formare le prime associazioni studentesche, di chi si è reso conto che cambiare le cose era possibile. Certo, non è stato un percorso facile: la maggior parte della classe politica era contro il movimento studentesco, la polizia ha spesso represso a suon di botte, talvolta di spari, le proteste; ma dopotutto ce lo si aspetterebbe dalla società di quegli anni, ancora bigotta e lontana dall’apertura mentale necessaria per accettare un cambiamento.
Ce lo si aspetta meno dalla società di oggi, però. Ci si possono aspettare tante cose, ma non che nel 2024 una manifestazione pacifica sia repressa nel sangue, che rivendicare la pace possa essere rischioso, che i ragazzi debbano cancellare i loro cartelli e abbassare la voce perché sono una presenza scomoda. E soprattutto, che la politica si schieri contro di loro, o peggio, stia in silenzio.
"Stanno uccidendoci il pensiero”, cantava Vecchioni. Vorrei pensare che non sia vero, solo un’esagerazione, ma il timore che sia la realtà invece c’è. Siamo noi giovani a poter cambiare il corso di questa storia, a far rivivere e rinascere più forte il nostro pensiero, “perché le idee sono come farfalle, che non puoi togliergli le ali, perché le idee sono come le stelle, che non le spengono i temporali”, e non le fermano neanche i manganelli, tantomeno le censure, quelle idee e quegli ideali tanto potenti da smuovere interi paesi.
La scuola deve essere luogo di libertà di pensiero e di espressione, e noi studenti abbiamo la responsabilità di esporci in prima fila, guidati dalle nostre idee, per farci sentire anche quando il mondo sembra voler metterci a tacere. “Difendi questa umanità anche restasse un solo uomo”, è così che dobbiamo combattere: con la consapevolezza che la miccia della speranza c'è, e sta a noi ragazzi e ragazze accenderla.