25/11/23
[La redazione di Settecinquanta]
25/11/23
[La redazione di Settecinquanta]
“Sai com’è fatto. È nervoso: ha fatto due guerre”. Questa espressione sembra scivolare così facilmente dalle labbra di Delia, interpretata da Paola Cortellesi, in “C’è ancora domani”, film diretto dall’attrice stessa, al punto da divenire il simbolo di una giustificazione della violenza, se non dell’accettazione passiva della stessa, operata da Delia nei confronti del marito, aggressivo fisicamente e mentalmente, figlio di una cultura patriarcale e misogina, volta all’affermazione della supremazia del proprio Io. In queste settimane più che mai, le parole di Cortellesi echeggiano come un appello alla necessità di interpretare le relazioni interpersonali senza lasciarsi intimidire dalle stesse; al chiedere aiuto sin dal primo momento in cui non ci sentiamo al sicuro; al denunciare una cultura che, ieri come oggi, continua a vessare e falciare vite innocenti.
Si denunci, dunque, come Delia che, dinanzi ai soprusi subiti dalla figlia Marcella, trova un’occasione di riscatto sua e di un’intera generazione. Ma ridurre il fenomeno alla mera denuncia sarebbe limitante e banalizzante, ancor più in un Paese che, a seguito di quanto successo a Giulia Cecchettin e alle tante, troppe donne uccise, 106 da inizio anno, si dimostra ancora incapace di affrontare un’emergenza umana di tale portata e miope nella mancata comprensione delle ragioni sociali di un fenomeno radicato nel tessuto culturale nazionale. Il fatto che le vicende narrate in “C’è ancora domani” siano così drammaticamente attuali, è sintomo di una scarsa sensibilizzazione della popolazione sull’argomento e di un’educazione che, talvolta, privilegia la violenza al confronto civile.
Ma, sino al momento in cui la società non prenderà atto delle proprie falle, sino al momento in cui lo Stato non si farà realmente carico delle sue responsabilità, quanto ancora dovremo aspettare affinché noi donne possiamo tornare a casa da sole senza sentirci in pericolo? Quando arriverà il giorno in cui non avremo timore di denunciare? Quante volte ancora dovremo chiederci “c’è ancora domani?”, prima che questo domani ci venga garantito?