18/01/24
Giornalisti: Filippo Salvatore Barbagallo
Tecnici: Paolo Canala, Federico Tittini
18/01/24
Giornalisti: Filippo Salvatore Barbagallo
Tecnici: Paolo Canala, Federico Tittini
Rubrica “Conosciamoli” - Intervista al prof. Carlo Follenti
Chiunque lo ha visto per i corridoi, chiunque ne ha sentito parlare, in molti lo hanno avuto come professore e molti altri lo hanno ancora ora. È, probabilmente, il docente che più lega l’intero sistema IIS Da Vinci, costantemente frammentato e sempre più disgiunto in virtù di un crescente numero di studenti. È, per queste ragioni e molte altre, il secondo intervistato di “Conosciamoli”. Ci stiamo riferendo a Carlo Follenti, docente di Diritto, Economia ed Educazione Civica, nato nel 1960.
Buongiorno prof., Lei ha molte classi e, particolarità che la rende un unicum, insegna in ognuno degli indirizzi. Ci dica in cosa si distinguono tra di loro.
Allora, certamente, di primo acchito, i ragazzi del Classico e dello Scientifico paiono i più contenuti e i più disposti a collaborare; devo ammettere, però, che gli alunni del Linguistico e di Scienze Applicate, che dapprima tendono ad essere piuttosto vivaci, col tempo, spesso, si rivelano essere i più interessati, i più coinvolti e, talora, persino i più bravi.
Nella riuscita di una lezione è fondamentale la bravura del professore: in cosa pensa si differenzi un buon insegnante?
Un insegnante, per interessare, deve far intendere ai ragazzi i risvolti pragmatici delle singole discipline, lo stretto legame tra il sapere contenuto nei libri e la realtà che viviamo.
Nello specifico, io tento di spiegare l’economia così come la viviamo ogni giorno: ognuno di noi è un consumatore, ognuno di noi è un soggetto economico. Per quel che riguarda il diritto, possiamo dire che ci si muove sempre entro un mondo di regole, come i pesci nell’acqua, anche se non sempre ne siamo consapevoli. Quelle stesse regole che studiamo sui libri le viviamo, ma quasi mai ce ne accorgiamo.
E un buon insegnante si prepara le lezioni? Se sì, come?
Penso di sì. Io, personalmente, tento di prepararle nei dettagli, sovente tramite l’ausilio di slide, ormai elementi utilissimi per la didattica. È sempre molto importante rifinire le proprie lezioni, cercando di aggiornarsi e di apportare qualcosa di nuovo anche se sono argomenti che si padroneggiano, che si conoscono a menadito, poiché solo così si può essere il più efficaci possibile.
Ci racconta qualche aneddoto capitatole da professore?
Aneddoti particolari non ne ho: posso dire che è accaduto che io mi sia arrabbiato con qualche alunno, ma senza mai esagerare. Di certo, l’esperienza più complicata da docente è stata quando, molti anni fa, ho insegnato in alcuni Istituti Professionali. Lì i ragazzi, a volte, sono complicati, oserei dire problematici. Già farli sedere è un successo, figuratevi catturare la loro attenzione. Una volta stabilito un buon rapporto, tuttavia, riescono a dare il meglio delle loro potenzialità, rivelando, in diversi casi, una grande acutezza.
Lei, ovviamente, è professore di diritto, ma come è arrivata la scelta di Giurisprudenza?
Dopo le scuole superiori (articolate tra Liceo Scientifico e Magistrali) affrontai subito il servizio militare. Devo dire che quell’anno mi fu molto utile: proprio in quel periodo, anche influenzato dalle regole militari, mi iscrissi a Giurisprudenza e, già da quell’anno, iniziai a studiare per il primo esame, quello di diritto privato. Dedicai un intero anno a quella prova e riuscii a prendere un buon voto (27, ndr).
In ogni caso, avevo sempre avuto una inclinazione per le materie con valenza sociale, ma ero indeciso tra Scienze Politiche e, appunto, Giurisprudenza. Mi confrontai con il redattore del “Messaggero” di Civitanova di allora e, al termine della consultazione, lui mi consigliò Giurisprudenza, a suo dire più versatile e, dunque, maggiormente utile.
Abbiamo parlato del suo percorso scolastico, ma non abbiamo detto che tipo di alunno era Carlo Follenti. Ce lo racconti.
Ero un ragazzino piuttosto timido e tranquillo. Stavo negli ultimi banchi e non intervenivo molto. Mi ricordo, in particolare, di un aneddoto: un giorno, durante un’ora di filosofia, una delle mie materie preferite, alzai la mano per rispondere ad una domanda (su Aristotele) del professore; presi un 8, che allora era come un 10 di adesso.
Il primo ricordo da professore?
Diciamo che, per lo più, ricordo l’emozione che provavo. Ero molto giovane, pieno di entusiasmo, fresco di laurea e di studi, e mi avvalevo ancora di un linguaggio tecnico, forse eccessivamente.
Solo col tempo e con l’esperienza capii che la chiave era essere chiari, semplici, diretti, senza badare troppo a virtuosismi o cose di questo tipo. Bisogna mettersi nei panni dell’uditorio, andare al punto; la gente apprezza molto se tu hai qualcosa da dire, mentre se si parla per puro vezzo è del tutto disutile, tediante.
Ha sempre avuto il sogno di fare l’avvocato?
Diciamo che è un sogno giunto mano a mano, anche per ragioni economiche. Avevo 27 anni, dovevo sposarmi e, necessariamente, dovevo iniziare a lavorare.
Pertanto, dopo aver svolto due essenziali anni di pratica legale, superai il duro esame di abilitazione a Procuratore Legale/Avvocato. Di lì in poi portai avanti, assieme, sia la carriera legale che quella scolastica.
Di cosa si è occupato come avvocato?
Da avvocato di provincia, dunque costretto a dover sapere intervenire un po’ dappertutto, ho svolto difese, sia d’ufficio che di fiducia, per cause penali e civili.
Qual è la causa che ricorda con più affetto, o, perché no, la più avvincente?
Fu una causa di successione, al tempo avevo già una quarantina di anni. Il mio cliente era stato estromesso dall’eredità e, dopo molti anni di causa, riuscii a fargli recuperare diverse centinaia di migliaia di euro. Fu molto soddisfacente anche perché, in difesa della controparte, vi era un noto e stimato avvocato, nonché affermato docente universitario.
Cosa consiglierebbe ad un ragazzo voglioso di percorrere Giurisprudenza, o a chi magari l’ha da poco iniziata o, perché no, a chi la sta finendo, tenendo anche conto delle tante remore (tirocinio, poche entrate all’inizio, “scoglio” dei 30 anni etc. etc.)?
Ovviamente, per quel che riguarda le preoccupazioni, è chiaro che devi essere sostenuto dalla famiglia. È noto che tra laurea e pratica legale si arriva facilmente a 28 anni, poi devi superare l’esame di avvocato, anche se oggi è molto più facile di prima. In ogni caso consiglio di studiare, molto, in maniera sistematica e attenta; se tu, infatti, possiedi un bel quadro in testa sai già come orientarti. È come avere tra le mani la mappa di una città: per orientarsi non è necessario sapere dove sta ogni singola casa, ma semplicemente conoscere alcuni punti di riferimento e le arterie principali.
Diciamo che, se dovessi intraprendere oggi la carriera legale, studierei moltissimo e andrei a fare pratica legale in un grande studio professionale, specializzandomi in un solo settore.
Se si rimane in provincia, infatti, devi occuparti un po’ di tutto e diventi uno dei tanti che si occupano di casi qualsiasi, senza però avere quell’elevato livello professionale che soltanto la specializzazione e il costante aggiornamento possono darti. Ovvio, guadagni lo stesso, e anche bene, ma non fai nulla di entusiasmante.
A conclusione di quest’intervista, ringraziandola per la disponibilità, Le chiedo un suo parere sul mondo della scuola, sulle sue condizioni.
A mio avviso, esse variano a seconda dell’Istituto in cui si insegna. Nel nostro Liceo, ad esempio, il quadro è largamente positivo: i ragazzi, qui, hanno voglia e studiano con profitto. In genere, comunque, ritengo che molto dipenda da noi insegnanti e dalle nostre lezioni. Se noi teniamo una bella lezione riusciamo a darvi quella spinta positiva che vi stimola a migliorare, a studiare con efficacia. In ogni caso, tuttavia, ciò prescinde da dove ci si trova, ovvio che alcuni istituti possono trovarsi agli antipodi rispetto a noi.