ARTICOLI E RECENSIONI
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Recensione al romanzo "Ossessionati" di Marzia Verentino - a cura di Claudio Secci
E' quando leggo i meno blasonati che faccio i viaggi più intriganti. Libri che meritano alti scaffali e dove trovarli. Ho con me una copia con dedica di questo libro, consegnato dalle mani dell’autrice. Mi piace esaminare le letture a mio modo e anche in questo caso, a seconda della prospettiva, ho trovato parallelismi riflessivi con altri libri già digeriti.
Il romanzo apre su Elisa, scrittrice che si ritira in uno chalet sul lago, circondato da boschi, per isolarsi e “dimenticare”. La solitudine però si incrina con l’arrivo di Riccardo, vicino taciturno e pervasivo. Da quel momento l’ambiente si fa personaggio: passi tra gli alberi, presenze ai margini del visibile, dettagli che non tornano. È un thriller psicologico in cui il tema annunciato dal titolo, appunto “l’ossessione” diventa la lente con cui leggere relazioni, sguardi e autoinganni.
L’ambientazione del romanzo è la pressione psicologica stessa, a mio modo di vedere: la natura “chiusa” del lago e del bosco stringe come una morsa, gradualmente i personaggi, ricordando la claustrofobia boschiva de “La casa sul lago” di Riley Sager. Riccardo “sta sempre nei paraggi”, osserva, sa più del consentito; e Marzia tiene il lettore sul filo fra la premura e la possessione lasciando costantemente dubbi nel lettore sulle reali intenzioni dei protagonisti.
-Stile-
Il testo è curato, pulito con punte liriche quando il paesaggio “invade” la pagina ma resta funzionale al genere. Nelle parti introspettive Elisa ha un Io interiore credibile ed immedesimabile. I dialoghi sono misurati e spesso “negativi”, dicendo meno di ciò che al lettore arriva quasi come nascosto, quindi coerenti con l’idea del romanzo, un’ossessione silenziosa. I due protagonisti hanno due solitudini che sembrano chiamarsi. Elisa è definita più dalle crepe (traumi, ritiro, desiderio di sparire) che dai tratti esterni: scelta efficace per un thriller che vuole farci sentire il terreno franare sotto i piedi della narratrice. Mentre Riccardo è ben più che “l’uomo minaccioso del bosco”: la sua opacità ha funzioni multiple (lo specchio, l’esca, l’enigma…) che portano il lettore a domandarsi di continuo che cosa stia davvero accadendo.
-Tematiche-
La linea sottile tra l’amore e il possesso, e questo romanzo lo inserirei nel filone del “domestic noir” dove l’intimità si deforma in controllo. L’ossessione qui non è solo una pulsione ma una cornice culturale, come nella gestione dello spazio femminile e dei suoi confini. Poi c’è la componente naturale: il lago e il bosco sembrano amplificare le componenti disturbanti del romanzo. Questo rovescio delle aspettative avvicina il libro alle atmosfere di diversi romanzi che ho letto di Carrisi, anche se questo di Marzia è decisamente più intimo. C'è il gioco della percezione rispetto alla realtà: l’affidabilità dello sguardo di Elisa per la tensione tra ciò che vediamo e ciò che proiettiamo. E ho rivisto molto del cinismo e della lungimiranza del carattere di Marzia. Posso affermare senza problemi che è questa sfumatura ad essere la sua più potente arma espressiva. L'architetta costruisce il suo testo come uno strumento sensoriale più che narrativo. La sintassi è misurata, ma nei momenti di tensione subisce piccoli cambi di ritmo (frasi che si accorciano, pronomi che si ripetono, verbi che si spostano in fondo al periodo). Mi hanno deliziato alcune sue frasi brevi che sembrano fare eco fra soggetto e oggetto, con una musicalità brusca: “Il silenzio non era vuoto. Era pieno di lei.” Mi sono ritrovato in questo caso un po’ ne “La ragazza del treno” della Hawkins dove il narrato si frammenta seguendo il disordine mentale della protagonista. Conoscendo l’autrice ho rivisto i suoi tratti psicologici e le sue capacità di lettura interiore dell'interlocutore. In questo romanzo sceglie una terza persona ravvicinata anche se il punto di vista è sempre filtrato da Elisa. Il lettore si ritrova davanti un mondo percepito dalla mente disturbata dalla solitudine. Il risultato è una narrazione che a volte mi ha spaesato fra i protagonisti pur restando sempre coerente. Non ci sono mai descrizioni oggettive del paesaggio: il bosco cambia tonalità a seconda dell’umore di Elisa, il lago si chiude o si apre secondo la sua paura, dando vita a righe psicovisive in cui l’ambiente esterno coincide con il paesaggio interiore.
Marzia alterna periodi brevi a passaggi più lirici e sospesi. Nei capitoli centrali, il ritmo si fa sincopato (frasi che terminano in punti sospensivi o in chiuse tronche), quasi un respiro spezzato. Ma nelle scene di riflessione, la sintassi si distende musicalmente con descrizioni di grande eleganza (mi ha affascinato moltissimo quando parla del lago e del vento).
Il lessico è sobrio, con rari aggettivi “forti”. La sua tensione nasce dal non detto, dalle omissioni e dalle immagini suggerite. C’è un rifiuto quasi programmatico dell’enfasi: niente “urla”, niente “brividi lungo la schiena”. Il terrore viene così dipinto con frasi come questa: “restò immobile, come se qualcuno avesse dimenticato di rimetterla in moto”. Metafore sottili presenti in più punti di questo romanzo. In “Parla, mia paura” di Simona Vinci ho avvertito una tensione psicologica simile con un linguaggio minimale dal sapore clinico. Mentre qui in “Ossessionati” mi ha soprattutto trasportato la narrazione cinematografica interiore che pur non raffigurando descrizioni visive ridondanti, trasmette continuamente spiccate sensibilità: tagli netti di scena, l’uso di oggetti-riflesso (lo specchio, la finestra, la tazza lasciata sul tavolo) funzionano come inquadrature simboliche. Ogni gesto sembra avere un “fuori campo” invisibile simile a quello che ho trovato leggendo “Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti. Infine, in Ossessionati lo stile dell’autrice non decora solo la sua trama ma la incarna e la lingua diventa la psiche dei suoi personaggi: chiusa, fragile e pulsante. Non alza mai la voce ma si incastra fra le fibre dell’animo come una pressione costante, un battito d’ansia che accompagna la lettura fino all’ultima pagina. Ossessionati ti lascia addosso la sensazione di essere osservato. Da un altro, dal bosco, perfino da te stesso. Un debutto nel thriller psicologico italiano che sa di autrice al suo trentesimo romanzo, dove la bilancia fra atmosfera e relazioni lascia la sensazione di trovarsi davanti a pagine di un’autrice consumata e matura, più vicine alla pressione emotiva che al giallo d’indagine. Ottimo per una lettura serale “a luci basse”, meglio se con il fruscio degli alberi fuori dalla finestra.
Il libro è consigliato per i lettori di thriller psicologici che si costruiscono lentamente, se amanti dell’atmosfera dei boschi e dei laghi con relazioni disturbanti.
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