Dott. Vincenzo Davide Palumbo

Chirurgo Generale

ASCESSI E FISTOLE ANORETTALI

DEFINIZIONE

Gli ascessi e le fistole anali vanno considerati come la stessa affezione in stadio evolutivo differente, infatti la fistola anale nasce come ascesso perianale è quindi da considerare come la fase acuta di un’infezione di una o più ghiandole del canale anale.

Un ascesso anale nasce da un’infezione acuta di una piccola ghiandola appena interna all’ano per ingresso di batteri o materiale estraneo alla ghiandola. Nel 10% dei casi però le suppurazioni anali possono avere casue specifiche: M.di Crohn, RCU, immunodeficienza (AIDS), infezioni (TBC, Clamidya), traumi, diverticolite.

Spesso le fistole anali sono espressione della cronicizzazione di un’ ascesso anale. Ogni cripta presenta 2-3 sbocchi ghiandolari, le ghiandole penetrano nello strato muscolare fino a oltrepassare gli sfinteri anali.

Una fistola anale è formata da un orifizio esterno sulla cute perianale, un tramite fistoloso principale, a volte dei tramiti fistolosi secondari ed un orifizio fistoloso interno al canale anale.

È fondamentale scoprire l’orifizio interno, l’infezione tende a propagarsi attraverso i muscoli grazie ai canali ghiandolari per poi aprirsi nella cute per mezzo di un orifizio esterno. L’infezione si sviluppa tra sfintere esterno e sfintere interno (infezione intersfinterica primitiva).

Questa infezione successivamente si propaga verso vie di diffusione diverse, è in questo modo che si spiegano i tramiti multipli delle infezioni verso il margine anale, attraverso lo sfintere esterno e nello spessore della parete rettale.

SINTOMI

I sintomi principali delle fistole anali sono:dolore, secrezione di pus o sangue, gonfiore. In caso di ascesso anale la zona diventa calda, arrosata gonfia e molto dolente al tatto.

CLASSIFICAZIONE DELLE FISTOLE SECONDO PARKS (1976)

Tale classificazione è basata sulla sede e sul decorso del tramite fistoloso:

1) Fistole Intersfinteriche (45-50%) decorso nello spazio intersfinterico

2) Fistole Transfinteriche (28-32%) attraversano gli sfinteri e passano nello spazio ischiorettale o nella cute esterna

3) Fistole Soprasfinteriche (17-22%) passano attraverso il muscolo elevatore e giungono sulla fossa ischio-rettale uscendo dalla cute, queste fistole non attraversano gli sfinteri

4) Fistole Extrasfinteriche (2-7%) attraversano il muscolo elevatore dell’ano e giungono nello spazio pelvico.

DIAGNOSI

La diagnosi è prima di tutto clinica, attraverso la visita proctologica si possono visualizzare gli orifizi esterni e le secrezioni di pus e siero, tramite l’anoscopia con l’ausilio di acqua ossigenata si possono evidenziare eventuali orifizi interni, quando visibili. A completamento diagnostico è molto importante l’esecuzione dell’ Ecografia transanale per la visualizzazione delle cavità ascessuali, dei tramiti fistolosi primari e secondari e la loro localizzazione rispetto alle strutture muscolari del canale anale. La RMN pelvica è un altro esame importante per la visualizzazione degli ascessi ano-rettali e pelvici e delle strutture muscolari pelviche.

TRATTAMENTO

Il trattamento è solo chirurgico, e spesso va programmato in più tempi, in caso di ascesso anale si deve eseguire il drenaggio del materiale purulento presente all’interno dell’ascesso mediante incisione chirurgica e la contestuale ricerca degli eventuali tramiti fistolosi.

Un chirurgo colo-rettale esperto non dove essere né troppo aggressivo nel trattamento delle suppurazioni anali, per non rischiare di sezionare una parte sproporzionata dello sfintere anale determinando incontinenza alle feci, né troppo cauto per non rischiare di asportare in modo incompleto la base della fistola, favorendone la recidiva. Va considerato che il trattamento chirurgico delle fistole perianali deve essere effettuato da uno specialista accreditato, in quanto non è scevro da possibili complicanze pertanto va sempre eseguito da chi è in grado di rispettare l’anatomia e la funzionalità degli sfinteri anali.

Le fistole anali si trattano asportando il tessuto infetto fistoloso e quando questo attraversa la muscolatura anale (sfinteri anali) si posiziona un elastico (setone) che andrà manteuto in sede per alcuni mesi per preservare la muscolatura stessa e permettere al tessuto cicatriziale e fibrotico di formarsi senza creare lesioni sfinteriche che possano determinare incotinenza fecale successiva (FISTULECTOMIA PARZIALE E CERCHIAGGIO CON SETONE).

La terapia chirurgica delle fistole è sempre in funzione della gravità e complessità della fistola non è quindi possibile standardizzare una tecnica singola mentre è conveniente associare al trattamento alcuni principi di tecnica. Durante i controlli ambulatoriali il setone verrà progressivamente accorciato.

Una volta cicatrizzata la ferita perianale e ridotta la quantità di muscolo preso dal setone, si asporterà il tutto lasciando la ferita guarire spontaneamente (FISTULECTOMIA). In caso di fistole complesse con più tramiti sarà necessario posizionare più setoni. Per fistole che coinvolgono in modo importante l’apparato muscolare sfinterico può essere necessaria una riparazione della braccia con un lembo mucoso, tecnica che permette la pulizia del tragitto fistoloso e la chiusura dell’orifizio dall’interno del canale anale con una lembo mucoso del retto.

Dopo tali tipi di intervento residua sempre una ferita aperta che provoca dolore e secrezioni siero-ematiche. Sarà necessario quindi un breve periodo di riposo, esecuzione di bagni tiepido-caldi e utilizzo di garze o salvaslip per i primi 15 gg. Dopo una settimana circa dall’intervento si eseguiranno inoltre autodilatazioni con Dilatan per 5 minuti circa 3 volte al giorno per permettere al setone di tagliare più velocemente il tessuto o semplicemente per agevolare la guarigione della ferita anale senza esitare in stenosi, fino alla completa guarigione delle ferite. Importante sarà inoltre il mantenimento di un alvo regolare con feci morbide mediante assunzione di una adeguata quantità di acqua e fibre. Attualmente esistono nuove tecniche che tentano di preservare l’integrità sfinterica (sphincter saving).

Tali tecniche sono: la chiusura del tramite fistoloso mediante PLUG (in materiale biologico riassorbibile) e la chiusura del tramite fistoloso LASER assistita. Entrambi queste tecniche vengono utilizzate in un secondo tempo dopo aver prima drenato la fistola o eventuali ascessi ed aver posizionato un setone per almeno 2-6 mesi e sono una valida alternativa alla fistulotomia quando gli sfinteri anali siano attraversati dal tramite fistoloso.

Entrambe le tecniche prevedono il rispetto dell’apparato sfinteriale non andando a tagliare i muscoli ma chiudendo e obliterando il tramite fistoloso. Ancora oggetto di valutazione è l’utilizzo di colle biologiche e non biologiche per l’obliterazione del tramite fistoloso.

CISTI E FISTOLE PILONIDALI

CHE COS'E’

E’ una lesione cronica del tessuto cutaneo compreso nella regione della piega interglutea e non ha alcun rapporto con l’ano ed il canale anale.

Piu’ frequente nei maschi (rapporto circa di 3:1) ed in un età compresa tra i 15 ed i 30 anni, solo raramente si complica ed necessita di cure chirurgiche oltre i 30 anni.

Si è riscontrata una predisposizione nelle persone obese, con un apparato pilifero molto sviluppato e in tutti quei pazienti che per lavoro sono soggetti a continui traumatismi in regione sacro coccigea come gli autisti o gli autotrasportatori

ORIGINE

Vi sono principalmente due teorie sulla comparsa della cisti sacrococcigea una congenita ed una acquisita. La prima potrebbe essere dovuta dalla permanenza di un residuo embrionario o da un accostamento dell’ectoderma al rafe posteriore determinando la formazione della cisti sacrococcigea

La teoria acquisita prevede la presenza di peli nella zona che,in seguito a traumatismi, sfregamento, scarsa igiene, possono essere inglobati, determinandone prima la formazione di cisti e successivamente con l’infezione la conseguente fistola.

MANIFESTAZIONE

Inizialmente asintomatica e non considerata viene poi posta all’attenzione del curante con l’insorgenza dell’infezione: produzione di pus, dolore, febbre, malessere.

TRATTAMENTO

In seguito alla comparsa di un ascesso, è necessario un trattamento d’urgenza, che prevede l’incisione e il drenaggio con successivo intervento per l’asportazione radicale della cisti e/o fistola.

In caso di cisti e/o fistola cronica si procede ad intervento chirurgico programmato radicale.

Numerose sono le tecniche adottate e descritte in letteratura :, metodiche aperta, chiusa e semiaperta.

In seguito alle frequenti recidive con la metodica chiusa si preferisce eseguire quella aperta o semiaperta.

CONDILOMI ACUMINATI

CHE COSA SONO

Possono essere definiti come verruche anali, creste di gallo; sono dovuti ad un’iperplasia epiteliale causata da virus (Papova virus).

Inizialmente si presentano come piccole macchie rosate, tipo capocchia di spillo, isolate o confluenti, evidenti al tatto, asintomatiche. Successivamente si trasformano anche con una certa velocità diventando neoformazioni rosa biancastre fungiformi e/o a grappolo (dette anche creste di gallo).

SEDE E MODALITA’ DI TRASMISSIONE

Si sviluppano nell’ano,retto (mai oltre terzo inferiore), vagina, pene. La principale causa di trasmissione del virus avviene per via sessuale sia diretto che indiretto, in una piccola percentuale dei casi può manifestarsi senza alcun rapporto sessuale. Gli omosessuali sono la categoria più colpita e quasi nell’80% dei pazienti con Aids conclamato.

TRATTAMENTI

Vista la velocità di propagazione e l’impossibile guarigione spontanea, si consiglia l’asportazione anche in presenza di minime lesioni. L’applicazione di sostanze locali (Podofillina) spesso è di scarso risultato. L’intervento principe è sicuramente l’asportazione con laser o elettrobisturi che sarà eseguito in anestesia locale.

RECIDIVE

La recidiva è sempre possibile sia per autoinoculazione, ma soprattutto per reinfezione.

TRASFORMAZIONI

Sono riportati rari casi in letteratura di trasformazione maligna dei condilomi in carcinoma squamoso dell’ano, ma solo in seguito ad una prolungata permanenza in loco.

CONTROLLO E PREVENZIONE

È sempre opportuno valutare oltre al pz. colpito il partner per un eventuale terapia combinata necessaria per evitare spiacevoli recidive.

Importante nel periodo post operatorio sarà quello di un controllo periodico ed accurato non solo della parte operata ma di tutta la zona anogenitale, avendo rapporti sessuali protetti.

Figura 1

Figura 2

EMORROIDI

CHE COSA SONO

Sono formazioni di origine vascolare, di natura più arteriosa che venosa e risiedono nella sottomucosa anale. Sono strutture anatomiche normali del canale anale, presenti fin dalla nascita hanno un ruolo fisiologico e solo in seguito, a causa di vari fattori, si trasformano in malattia emorroidaria.

Le emorroidi vengono comunemente distinte in interne, quelle poste nel canale anale al di sopra della linea pettinata (posta ad 1,5 cm. dal margine anale) ed esterne quelle poste nella zona sottocutanea del margine anale (Fig. 1). Spesso le emorroidi esterne vengono confuse per quelle interne che, essendo voluminose, prolassano dall’ano; sono abbastanza rare e si presentano come masserelle più o meno congeste, bluastre.

Le marische, non sono emorroidi esterne, ma delle piccole escrescenze carnose presenti sul margine anale le quali spesso sono il segno, rimasto, di pregresse tromboflebiti delle emorroidi esterne o della presenza di una ragade anale.

CAUSE DI INSORGENZA

La malattia emorroidaria inizia prima dei trent’anni, senza distinzione di sesso.

I fattori predisponenti sono quello ereditario, familiare e costituzionale, a cui si aggiungono i fattori scatenanti quali le turbe dell’alvo e momenti della vita genitale femminile quali le mestruazioni, la gravidanza e il parto. Non solo la stitichezza ma anche la diarrea, in egual misura, scatena la crisi emorroidaria.

MANIFESTAZIONE

Il sintomo più importante è il sanguinamento (sangue rosso vivo) che compare spesso al termine della defecazione e deve essere distinto dal medico dal sanguinamento di origine più profonda caratteristica di altre patologie del colon.

Il prurito anale è spesso presente nella malattia emorroidaria.

Il dolore è sovente assente, quando presente è contemporaneo alla defecazione. Esso non è caratteristico della malattia emorroidaria ma delle complicanze quali la trombosi emorroidaria interna e/o esterna o di altre patologie anali.

TRATTAMENTO E CURA

Le regole igienico-alimentari richiedono un’igiene locale, senza eccessi, che consiste in bide’ tiepido-caldi con saponi neutri e in caso di prurito l’aggiunta di una bustina di camomilla nell’acqua.

L’alimentazione deve essere regolare, ricca di scorie ed acqua (almeno due litri al dì), povera di spezie, bevande alcoliche, cioccolata, caffè, fumo.

La regolarità dell’alvo è un fattore indispensabile.

Il trattamento delle emorroidi varia col variare degli stadi della malattia che normalmente ne prevede quattro (Fig. 2).

Nel primo stadio (emorroidi di I grado) avviene la semplice dilatazione delle vene sotto sforzo; nel secondo stadio (e. di II grado) vi è l’esteriorizzazione delle emorroidi sotto sforzo che si riducono spontaneamente; nel terzo stadio (e. di III grado) le emorroidi prolassano sotto sforzo, sono riducibili solo manualmente, nel quarto stadio (e.di IV grado) le emorroidi sono costantemente esteriorizzate e non si riducono manualmente.

TRATTAMENTO AMBULATORIALE

Il trattamento ambulatoriale può avvenire mediante scleroterapia, fotocoagulazione, legature elastiche, crioterapia.

La tecnica maggiormente usata è quella delle legature elastiche per emorroidi di I-II grado. Essa consiste nell’asportazione dell’emorroide in più sedute, applicando al di sopra del gavocciolo emorroidario un laccetto di caucciù che causando un’ischemia del tessuto ne determina la caduta per necrosi. L'unico fastidio a seguito di tale procedura è determinato dalla sensazione di ingombro del canale anale dovuta alla presenza del gavocciolo emorroidario legato e da un senso di peso della durata di un paio di giorni al massimo.

A distanza di 5-8 gg. a volte è possibile vedere un lieve sanguinamento determinato dalla caduta dell’emorroide. Il trattamento prevede almeno quattro sedute, a distanza di circa 15 gg. l'una dall'altra, ed un massimo di due legature per volta.

Nei casi di sanguianmento emorroidario e/o emorroidi di II grado, ano rosso emorragico, la fotocoagulazione a raggi infrarossi è la tecnica d’elezione.

Essa determina un punto di necrosi ben delimitato in superficie ed in profondità a livello della mucosa sopraemorroidaria. Sono previste circa 4 sedute a distanza di 15 gg. e 2-3 applicazioni su ogni pacchetto emorroidario.

TRATTAMENTO CHIRURGICO

Da ormai 10 anni circa è possibile trattare le emorroidi sanguinanti di II–III grado senza intervenire direttamente su di queste. La tecnica THD prevede l’individuazione dei rami arteriosi che alimentano le emorroidi e la loro successiva legatura con un punto sotto guida doppler.

L’operazione avviene al di sopra della linea pettinata dove non esistono fibre sensitive e quindi non è dolorosa. La legatura dei principali rami arteriosi che irrorano i cuscinetti emorroidari, permette di ottenere una riduzione del flusso ematico con conseguente riduzione del volume emorroidario; inoltre, poiché la mucosa viene ancorata al tessuto sottostante, si determina la scomparsa del sanguinamento, evitando dolore postoperatorio e lunghi tempi di guarigione, come di solito si verifica nelle tecniche chirurgiche tradizionali. L’intervento può essere eseguito in regime di Day Surgery, in anestesia locale o locoregionale, con la possibilità di riprendere da subito una vita regolare, non necessitando di medicazioni. Questa recente tecnica vuole essere un'alternativa più efficace, rapida e risolutiva in tutti quei pazienti che presentano delle emorroidi sanguinanti e che normalmente sono trattati con legature elastiche.

Il trattamento chirurgico tradizionale è di norma previsto nei casi più gravi (III-IV).

1) L’emorroidectomia sec. MILLIGAN MORGAN è la tecnica più usata al mondo e comporta l’asportazione (legatura e sezione) di tre pacchetti emorroidari interni a ore 3, 8, 11 (in posizione ginecologica) e della componente esterna emorroidaria.

L’anestesia è locale e consiste in quattro iniezioni con ago da insulina in sede perianale; l’intervento di norma dura circa venti minuti.

2) L’emorroidectomia con LIGASURE (radiofrequenza) è una tecnica recente che prevede l’asportazione dei pacchetti emorroidari esterni ed interni senza bisturi elettrico e senza punti di sutura (responsabili principalmente del dolore post operatorio, della sensazione di peso e di defecazione ostruita), permettendo una sensibile riduzione del dolore postoperatorio.

3) La prolassectomia con emorroidopessi con STAPLER, è consigliata in quei pz. che presentano oltre a delle emorroidi interne di III grado, un prolasso mucoso del retto di II-III grado ed una componente esterna emorroidaria minima. L’anestesia è preferibilmente di tipo spinale. Questa tecnica riduce drasticamente il dolore postoperatorio permettendo una rapida ripresa dell’attività lavorativa dopo soli 4-5 gg dall’intervento.

In tutti i casi i pazienti vengono ricoverati alla mattina dell’intervento e dimessi la mattina seguente, salvo complicazioni. La sera precedente l’intervento ed il mattino seguente il paziente dovrà eseguire un clistere rimanendo a digiuno dalla mezzanotte.

DECORSO OPERATORIO

Il decorso post operatorio prevede, solo nei casi di emorroidectomia, l’assunzione di antidolorifici, bagni con sapone a base di clorexidina per circa un mese, l’assunzione di 1 bustina di Psyllogel megafermenti al giorno per 15 giorni, una dieta ricca di scorie ed acqua (almeno due litri al dì), nessuna restrizione dietetica.

Il controllo post operatorio avverrà per tutti i pazienti operati dopo 7 gg. dall’intervento e successivamente dopo 30 gg. La guarigione è prevista nell’intervento di emorroidectomia dopo circa 30-40 gg. e necessita l’uso quotidiano di un pannolino per il modesto sanguinamento nei primi giorni e per la successiva produzione di secrezioni (circa un mese). Nell’intervento con Stapler, non essendoci ferite esterne, l’uso quotidiano del pannolino sarà necessario solo per alcuni gg., in caso di modesto sanguinamento.

RAGADE ANALE

CHE COSA E’

È una lesione, una ferita della rima anale, che da acuta può cronicizzare nel 25 % dei casi se non trattata tempestivamente. Presenta la stessa frequenza nei due sessi, nel 70-80 % dei casi si presenta posteriormente, dove avviene l’incrocio delle fibre sfinteriche e quindi in una zona di minore resistenza. Nel 10 % delle donne si presenta anteriormente sempre per la presenza di una zona di minore resistenza, in quanto negli uomini è presente la prostata. Rara è la ragade laterale.

CAUSE D’INSORGENZA

La principale causa è sicuramente l’emissione di feci dure, che determinano la lacerazione del’epitelio anale, seguono la diarrea, l’infiammazione locale. Lo stress e la somatizzazione possono, tramite lo spasmo anale,determinare il mantenimento della ragade. Più rare quelle secondarie a traumatismi e a interventi chirurgici (fistulectomie, emorroidectomie).

MANIFESTAZIONE

Il dolore è il principale sintomo dovuto alla scomparsa dell’epitelio del canale anale e all’evidenziazione delle fibre trasversali muscolari sfinteriche, assente se il paziente non defeca.

La peculiarità del dolore da ragade anale è di manifestarsi in tre tempi. All’inizio,ne momento di passaggio delle feci il dolore è acuto, puntorio, quindi segue un periodo libero dal dolore e dopo 5-10 minuti compare un dolore vivo, urente, insopportabile che si protrarrà per ore scomparendo spontaneamente solo successivamente.

Spesso alla fine della defecazione sono presenti un modesto sanguinamento, prurito e bruciore.

Lo spasmo sfinterico è un elemento caratteristico della ragade anale che spesso ne rende difficile l’evidenziazione all’esame obiettivo. Elementi caratteristici delle ragadi croniche, espressione della crescita tessutale di riparazione incompleta, sono la marisca sentinella presente al di fuori della ragade e la papilla ipertrofica presente all’interno dell’ano.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE

Alcune patologie possono apparentemente manifestarsi come una lacerazione-lesione tessutale simil ragadiforme come: il carcinoma dell’ano, ulcera sifilitica, ulcerazione anale della malattia di Crohn.

Sarà utile quindi la conferma istologica in seguito all’intervento.

TRATTAMENTO

Bisogna distinguere le due forme quella acuta e quella cronica.

Nel primo caso la ragade appena insorta è trattata, con successo, con la terapia medica. Questa prevede da subito la regolarizzazione della dieta con l’apporto di un quantitativo adeguato di fibre ed acqua (due litri al giorno), integratori alimentari, nessun lassativo. Fondamentale per la guarigione è l’introduzione più volte al giorno di un dilatatore, per circa 5-7 minuti precedentemente immerso in acqua tiepido-calda e di bidet tiepidi-caldi necessari per ridurre l’ipertono sfinterico. Inizialmente utili sono gli analgesici per alleviare il dolore.

La forma cronica ,che persiste da parecchio tempo, è trattata esclusivamente con terapia chirurgica.

CALCOLOSI DELLA COLECISTI

La calcolosi della colecisti è una condizione patologica caratterizzata da 4 fasi: Stato Litogenico - in cui le condizioni del paziente favoriscono la calcolosi della colecisti; Calcolosi asintomatica; Calcolosi sintomatica, caratterizzata da episodi di colelitiasi; Colelitiasi complicata.

Circa il 15% della popolazione adulta italiana è affetta da colelitiasi, con una maggiore prevalenza nel sesso femminile e in eta’ avanzata. I pazienti affetti da colelitiasi sono asintomatici nell’80% dei casi e solo nel 20% dei casi presentano sintomi indicativi della loro condizione. Tuttavia nel tempo il 20% circa dei pazienti con colelitiasi asintomatica diventa sintomatico e l’1-3% dei casi per anno esordisce direttamente con una complicanza quale, ad esempio, la colecistite acuta, la colangite o la pancreatite acuta. Di norma i pazienti con colelitiasi asintomatica vengono sottoposti ad un follow up di attesa, mentre le opzioni terapeutiche, mediche o chirurgiche, sono riservate ai casi sintomatici. L’introduzione della colecistectomia mini-invasiva per via laparoscopica, in sostituzione alla colecistectomia per via laparotomica, ha incrementato negli ultimi anni il ricorso all’opzione chirurgica.

MANIFESTAZIONE

La colica biliare, definita come dolore localizzato all’ipocondrio destro e/o all’epigastrio, della durata di almeno mezz’ora, abbastanza intenso da influenzare l’attivita’ del paziente, presenta un’elevata predittività per la diagnosi di colelitiasi, in particolar modo se il dolore appare irradiato alla spalla destra ed in assenza di pirosi. Una correlazione ancora significativa, sebbene minore, è stata rilevata tra presenza di colelitiasi e sindrome dispeptica con riferita intolleranza a cibi grassi e fritti e sensazione di discomfort all’ipocondrio destro.

Anche il fango o sabbia biliare (“sludge” per gli anglosassoni) puo’ manifestarsi con la colica biliare o più raramente già con i sintomi delle complicanze, in particolare della pancreatite acuta.

COMPLICANZE

Le complicanze nei pazienti con colelitiasi si presentano nel 6% circa dei casi ed esordiscono direttamente con i sintomi di una complicanza nell’1-3% dei casi per anno. Le più comuni sono rappresentate da: colecistite acuta, litiasi del coledoco, colangite e pancreatite acuta da reflusso biliare nel dotto di wirsung. Sintomi principali indicativi di colecistite acuta calcolosa sono la colica biliare e la febbre, associate alla positività del segno di Murphy e al riscontro di leucocitosi neutrofila all’emocromo.

TRATTAMENTO

Il trattamento della colelitiasi è indicato solo nei pazienti sintomatici, cioè in tutti i pazienti che hanno presentato almeno un episodio di colica biliare oppure nei pazienti che hanno già manifestato complicanze o che sono portatori di colecisti a porcellana o di concomitante coledocolitiasi. La maggior parte dei pazienti con coledocolitiasi che sono già stati precedentemente colecistectomizzati possono invece essere trattati con efficacia mediante un intervento di sfinterectomia della papilla di Vater eseguito mediante endoscopia. I portatori di colelitiasi con sintomi atipici (dispepsia) o asintomatici dovrebbero solo essere seguiti con controlli clinici periodici.

Le opzioni terapeutiche attualmente disponibili per il trattamento della colelitiasi possono essere mediche (acidi biliari) e chirurgiche (Colcistectomia per via laparoscopica o laparotomica).

Il razionale del trattamento con acidi biliari si fonda sulla loro proprietà di ridurre la secrezione biliare di colesterolo determinando la normalizzazione del rapporto colesterolo/acidi biliari nella bile, oltre che di aumentare la solubilizzazione biliare del colesterolo e il tempo di nucleazione. L’indicazione ottimale al trattamento litolitico con UDCA è costituita da: presenza di calcoli radiotrasparenti, senza calcificazioni, conservata funzionalità colecistica, dimensioni dei calcoli inferiori a 10 mm. di diametro, presenza di sintomi lievi, paziente non obeso. Calcoli di dimensioni inferiori a 5 mm hanno la migliore probabilità di venir disciolti, con dimensioni inferiori a 10mm le probabilità sono buone, con dimensioni inferiori a 20 mm possono ancora essere considerate accettabili, mentre invece con l’aumentare ulteriore del diametro del calcolo si riduce l’efficacia litolitica degli acidi biliari. Tuttavia entro 5 anni dalla dissoluzione litiasica mediante acidi biliari, oltre il 50% dei pazienti presenta una recidiva di colelitiasi.

L’indicazione chirurgica si impone in presenza di una grave sintomatologia dolorosa (coliche biliari frequenti e severe). Il trattamento chirurgico della colelitiasi mediante colecistectomia, sia laparoscopica che laparotomica, ha una efficacia elevata e può essere effettuata in ogni paziente che non presenti controindicazioni all’intervento chirurgico, indipendentemente dalle caratteristiche dei calcoli , dalle loro dimensioni, dal loro numero e dalla funzionalità della colecisti. Negli ultimi anni si è sempre più consolidata la tecnica laparoscopica che rappresenta attualmente l’opzione con il consenso prevalente. Da una revisione delle evidenze disponibile emerge che, rispetto alla colecistectomia tradizionale, la colecistectomia laparoscopica elettiva è sicura ed efficace:

  • in pazienti anziani, oltre i 65 anni di età, con calcolosi della cistifellea senza complicazioni. La LC negli anziani dovrebbe essere effettuata all’esordio dei sintomi il più presto possibile, specialmente in pazienti di età > 80, poiché questo gruppo presenta un più alto tasso di complicazioni e di conversione in OC. I risultati perioperatori sono influenzati dalla gravità della malattia della cistifellea e non dall'età cronologica;

  • in soggetti obesi (BMI>30 kg/m2);

  • nelle donne in gravidanza con calcolosi non complicata in ogni trimestre di gravidanza. Dilazionare l’opzione chirurgica in caso di calcolosi sintomatica espone la donna gravida ad un incremento del rischio di aborto spontaneo e parto pretermine;

  • nei pazienti con cirrosi epatica compensata (stadio A e B di Child) con calcolosi sintomatica.