RENATO NICOLINI - MASSENZIO E IL CINEMA DEI MONUMENTI
RENATO NICOLINI - MASSENZIO E IL CINEMA DEI MONUMENTI
Renato Nicolini , archivio Luce ,1980.
Quella dell’Estate Romana fu uno dei capolavori che Renato Nicolini mise in atto nel decennio della Roma di Walter Veltroni. Alla Roma violenta degli anni di piombo, Nicolini rispose organizzando serate di cinema all’aperto, come dimostrazione che la cultura è l’antidoto per sconfiggere il terrore. La politica culturale promossa da Nicolini si rivelò fin da subito in controtendenza con la storica abitudine a dividere, quasi in forma classista, l'accesso alla conoscenza e al sapere. L’evento dell’‘Estate romana’, iniziò infatti ad abbattere la politica dei ghetti urbani aprendo il centro della metropoli a tutto ciò che era oltre i confini prestabiliti. Andrea Cortellessa, in Doppiozero, scrisse che: “Nicolini ha voluto trasformare il Monumento in Circo, ma solo per una sera […] voleva fare in modo che il Centro appartenesse a tutti i Cittadini, anche a noi Forclusi nelle Periferie”. Tale manifestazione assunse ben presto le sembianze di un vero e proprio fenomeno sociologico-culturale che diede nuovo slancio alla città.
Estate romana a Cinema Massenzio , 25 Agosto 1977.
Ad aprire la stagione del cinema nei monumenti fu la proiezione del film di Visconti, Senso, ospitata all’interno della millenaria Basilica di Massenzio, il 25 agosto del 1977. Il giorno seguente si assistette poi alla maratona - durata un’intera notte - di tutti i film della saga de Il Pianeta delle Scimmie e quindi al ciclo Cinema Epico con la proiezione di diversi Peplum. Ogni sera, gente proveniente da tutta Roma (e non solo) si incontrava a Massenzio in quell’arena, sormontata dalle mastodontiche volte romane e composta di un semplice schermo e delle panche in legno. Il nuovo decennio si caratterizzò per grandi cambiamenti: dal 1980 lo schermo cinematografico abbandonò le volte della basilica, chiusa al pubblico dopo il terremoto in Irpinia, e Nicolini colse la palla al balzo per trasformare l’Estate Romana in un grande esperimento di avanguardia architettonica per ripensare la città. Fu così che l’effimero divenne urbano.
Estate romana a Villa Ada, 1978.
Planimetria dell’allestimento al Colosseo, 1981.
Il nuovo sindaco Luigi Petroselli, succeduto ad Argan, stava portando avanti un’ambiziosa trasformazione: rendere l’area archeologica un grande parco libero dalle auto. A dimostrazione di questa visione, si scelse via della Consolazione, alle pendici del Campidoglio, da poche settimane chiusa al traffico; la città si sarebbe potuta così riappropriare di quello spazio finalmente strappato alle macchine. Progettisti (scelti dallo stesso Nicolini) furono Ugo Colombari e Giuseppe De Boni, che già avevano collaborato a Parco Centrale e che da allora in avanti diventeranno gli “architetti dell’Estate Romana”. L’esperimento fu un successo ancora maggiore dei precedenti e sarà lo stesso Nicolini a dichiararsi perplesso per la decisione di Petroselli - pochi mesi più tardi - di demolire quella suggestiva via per riunire i Fori, chiedendosi: “Quale sarà la sorte delle parti di città sottratte al traffico? Seguiranno quella delle zone archeologiche incomprensibili per i non specialisti, o, al più, riservate alla malinconica sfilata del turismo internazionale di massa sbarcato da giganteschi torpedoni?”.
Allestimento di Massenzio 9 al Palazzo dei Congressi dell’EUR, 1985.
Nel 1981, l’Estate Romana raggiunse il suo apice, diventando un fenomeno studiato a livello internazionale. Lo schermo fu innalzato davanti al Colosseo, e la piazza con l’Arco di Costantino, pedonalizzata per la prima volta, ospitò la quinta edizione. L’allestimento, firmato da De Boni e Colombari, includeva uno schermo da 3.500 posti che copriva l’Arco, mentre dall’altro lato furono costruiti spazi per biglietteria, ristoranti e bar. L’elemento più sorprendente fu l’Eidophor, che proiettava figure fantastiche sugli archi del Colosseo. Poco distante, un riflettore illuminava simbolicamente il selciato libero dalle auto, evocando la Meta Sudans. Il 10 giugno, si proiettò Napoleon con l’Orchestra di Santa Cecilia, e lo schermo si triplicò per intensificare la battaglia campale.
Le edizioni successive si svolsero al Circo Massimo, riscoperto dai romani per eventi di massa. Dal 1982 al 1984, De Boni e Colombari ridisegnarono l’area con cinema all’aperto, locali e botteghe. Nel 1985, con la sconfitta del Partito Comunista, l’Estate Romana si concluse tra le architetture del '900 all'EUR, un atto simbolico e anticonvenzionale. L’allestimento interruppe la prospettiva di via della Civiltà e del Lavoro, offrendo una nuova chiave di lettura del monumentalismo mussoliniano. Questi esperimenti urbani, frutto di una collaborazione tra amministrazione, architetti e pubblico, durarono otto anni, sfidando chi definiva l’iniziativa "effimera".
Video proiezioni sull’Anfiteatro Flavio, 1981.
Proiezione del Napoleon di Abel Gance, 10 giugno 1981.
Edmond About, un viaggiatore francese che visitò Roma nel 1861, ha descritto (in un resoconto di viaggio, Roma contemporanea), la rivoluzione di quegli anni; il monumento mantiene la sua identità ma, sia pure per il tempo di una maratona cinematografica, accetta di sospenderla, sciogliendosi, nell’immaginario nostro contemporaneo, nei sogni ad occhi aperti che il cinema può innescare una “folla” d’individui sovrani e solitari, non la “massa” all’unisono con il delirio d’onnipotenza delle istituzioni.
La sera andavamo a Massenzio: quando il cinema era per tutti - Un’intervista di Massimo Piazza a Massimo Forleo
Uno dei protagonisti e pionieri di questa iniziativa, il giornalista esperto di cinema e curatore di festival Massimo Forleo, che gentilmente ci concede una conversazione.
Nonostante il tema del Medioevo non apparisse particolarmente popolare, fu un successo inaspettato; 4/5 mila persone gremivano non solo la platea, ma tutti gli spazi possibili, talvolta accampandosi con coperte e cuscini; una sorta di happening di massa, dove persone di ogni provenienza si mescolavano e convivevano pacificamente. Ricordo con particolare affetto una serata, vista ora non facile, nella quale furono proiettati, in sequenza, “I cavalieri della Tavola Rotonda” di Richard Thorpe, “Lancillotto e Ginevra” di Robert Bresson e Monty Python e “Il Sagro Graal”, quasi 6 ore coi cambi pellicola, non si mosse nessuno, se ne andarono che quasi albeggiava…”
Ma per capire meglio, quale era l’obiettivo della programmazione?
A quei tempi non esisteva una politica culturale; la cultura era riservata a gruppi ristretti, ai pochi cineclub, alle sale da musica tipo Folkstudio, quasi sempre nel centro. Separate, c’erano le sterminate periferie, e l’idea, un po’ classista, che i periferici, i coatti come diciamo a Roma, fossero condannati all’esclusione culturale; beh, almeno in quegli anni, abbiamo dimostrato che non era vero, e che dipendeva da come si affrontava la questione; da noi i coatti c’erano, e ci divertivamo insieme…”. Il nostro scopo era rompere queste barriere, coinvolgere le periferie con eventi che non fossero escludenti; nella serata di cui ho parlato, ad esempio, inserimmo il film difficile in mezzo a due più facili; così 5.000 persone videro Bresson, la maggior parte, credo, per la prima volta. Ricercavamo un equilibrio, non facile, tra la qualità della proposta e la necessità, la voglia direi, di contaminare generi e pubblici, di non escludere nessuno”.
Com’era quella estate del 1979, che clima si respirava?
Erano ancora anni difficili: il ’79 era l’anno dell’arresto dei leader di Potere operaio e Autonomia operaia Oreste Scalzone, Toni Negri e Franco Piperno; era anche l’anno dell’omicidio di Giorgio Ambrosoli il liquidatore della banca di Sindona; a Palermo veniva ucciso dalla mafia il commissario Boris Giuliano; si formava il primo governo “Kossiga”, come fu battezzato dalla estrema sinistra. Ma tra la gente c’era voglia di vivere, di uscire, di rompere l’assedio della paura, e Massenzio era ormai un mito.
Ti occupasti della programmazione di settembre denominata Prometeo; come fu concepita?
Erano serate a tema, in cui contaminavamo cinema diciamo alto con altri generi; lo schermo era diventato gigante, circa 30 metri di larghezza; inserito tra i monumenti della basilica lo spettacolo era fantastico. Ispirandosi all’idea di fare intere notti di cinema, per cui a qualsiasi ora si poteva fare un salto e trovare gente e lo schermo acceso, le maratone divennero una abitudine: ricordo, ad esempio, una serata con “Barry Lindon” di Stanley Kubrick e “L’uomo che volle farsi Re” di John Huston, circa 6 ore di proiezione, si fecero le 4 del mattino.
Se non sbaglio, faceste un grande colpo con un mito del calcio…
Beh, in quel caso facemmo davvero un gran colpo. Eravamo ragazzi nati intorno agli anni ’50, e tutti avevamo nella testa la prima diretta televisiva vincente, dopo la sconfitta con la Corea nel 1966: i Mondiali Messico ’70, Italia-Germania 4-3. A quei tempi non c’era internet né le tante tv, e nessuno aveva più visto quella partita; cercai inutilmente la copia, finché un usciere della Fgci di Roma mi disse che il mitico dottor Fini, medico degli azzurri, ne aveva una copia che utilizzava per gli stage; andai a Coverciano, e ricevetti da lui una pizza in bianco e nero, che fu custodita per tutto il tempo da un suo addetto, per dire quanto era preziosa.
E come andò?
All’apertura del botteghino c’era una fila mostruosa; arrivati a 5.000 spettatori, i vigili intimarono la chiusura: quelli restati fuori premevano, ricordo uno che diceva “vengo da Frosinone”, un altro “da Firenze” e tutti “entriamo o con le buone o con le cattive”. Momenti difficili, alla fine tutto andò bene, erano tempi fantastici. Riuscii a tenerli tutti intrattenendoli con “Nashville” di Robert Altman, oltre 3 ore con cori bandiere e trombe. Passando dal 35 mm. al 16 mm., mandammo “Mexico e Nuvole” di Jannaci e poi partì la pellicola: un boato indimenticabile, una festa.
E come andò?
All’apertura del botteghino c’era una fila mostruosa; arrivati a 5.000 spettatori, i vigili intimarono la chiusura: quelli restati fuori premevano, ricordo uno che diceva “vengo da Frosinone”, un altro “da Firenze” e tutti “entriamo o con le buone o con le cattive”. Momenti difficili, alla fine tutto andò bene, erano tempi fantastici. Riuscii a tenerli tutti intrattenendoli con “Nashville” di Robert Altman, oltre 3 ore con cori bandiere e trombe. Passando dal 35 mm. al 16 mm., mandammo “Mexico e Nuvole” di Jannaci e poi partì la pellicola: un boato indimenticabile, una festa.
E siccome tutti i sogni finiscono all’alba, come finì?
Il 19 settembre, durante la proiezione di “West Side Story”, a Roma fu avvertita una scossa di terremoto; in sala non fu percepita, ma in via dei Fori Imperiali gli sfollati dalle case si incontrarono con gli spettatori, le due maree si fusero e sciolsero la tensione. La scossa però lesionò la volta della Basilica, che così non poté più ospitarci. Il cinema si trasferì al Colosseo, con il super evento della proiezione di “Napoleon” di Abel Gance su tre schermi e l’orchestra diretta dal padre di Coppola, poi a Circo Massimo e altre location; ma l’incanto era finito, e pian piano una eccessiva commercializzazione portò al declino della manifestazione.
Cosa resta di questa esperienza?
La consapevolezza che il cinema è amato dalla gente, che il buon cinema può essere per tutti e non solo per le élites; a Massenzio, forse, dobbiamo i mille schermi di cinema che ogni estate illuminano le nostre città…