La sfida è tra due contendenti: uno comanda tre cacciatori disposti su una lunetta del tavoliere e l'altro muove l'orso, che si posiziona sulla lunetta opposta.
Entrambi si spostano / i giocatori muovono alternativamente passando da una intersezione all'altra.
I tre cacciatori devono cercare di chiudere la belva in modo da impedirle ogni mossa.
Se l'orso non viene immobilizzato entro il numero di mosse stabilito (ad esempio 40) significa che si è dileguato e vince, altrimenti vincono i cacciatori.
E’ un antico gioco, un tempo diffuso in Valle Cervo, in provincia di Biella, poi scomparso e riscoperto nel 1994 dai ricercatori Carlo e Luca Gavazzi (associazione DocBi)
che erano alla ricerca di graffiti su pietra.
A Forgnengo, frazione di Campiglia Cervo, si imbatterono in una grande quantita.
Elimiro Iacazio, molto anziano, seppe spiegare che si trattava di un gioco di pedine, il "Gioco dell'orso" e comunicò loro anche le regole.
I Gavazzi diffusero la notizia tramite canali specializzati
Nel 2010 si diffuse la notizia in valle ma nessuno aveva notizie di questo gioco.
Nel timore che finisse nuovamente nell'oblio, Carlo Dionisio di Forgnengo si dedicò alla sua divulgazione nel biellese facendone quasi una missione.
Il gioco rievoca lotte autentiche tra uomo e belva quando in tempi non lontanissimi nel Biellese l'uomo contendeva ancora il territorio all'orso per risiedere negli alpeggi.
Forse proprio attraverso il gioco gli abitanti esorcizzavano la paura che quella bestia incuteva e che veniva cacciata con asce, bastoni e trappole ma non con i fucili da caccia che non erano certo alla portata delle popolazioni valligiane.
La conoscenza del gioco era diffusa in tutta la vallata; ne è prova che i vecchi, ancora nel secolo scorso insegnavano ai bambini lo stesso gioco utilizzando tavolieri diversi ma con identiche regole: tre cacciatori che dovevano predare un orso.
La sfida è tra due contendenti: uno comanda tre cacciatori disposti su una lunetta del tavoliere e l'altro muove l'orso.
L'orso si posiziona a suo piacere su una delle 18 intersezioni rimaste e muove per primo.
Entrambi si spostano / i giocatori muovono alternativamente passando da una intersezione all'altra.
L'orso muove per primo e i tre cacciatori devono cercare di chiudere la belva in modo da impedirle ogni mossa.
Se l'orso non viene immobilizzato entro il numero di mosse stabilito (ad esempio 40) significa che si è dileguato e alla manche si assegna pareggio.
Il vincitore della partita deve concedere la rivincita scambiandosi i ruoli. In caso di parità di disputa la bella.
L'orso era presente in epoca storica su tutta la penisola.
Sulle Alpi se ne ha testimonianza fino al 1800.
La presenza dell'orso nel Biellese è certificata con l'editto del 1818 che diceva "Luigi Miglio, intendente della provincia di Biella annuncia che Vittorio Emanuele I, re di Sardegna, dopo le più sagge e convenienti misure ed ordini dati per l'estirpazione dei lupi con l'accordare dei premi agli uccisori di questi animali ha deciso di estendere tali benefici agli uccisori degli orsi".
Il gioco probabilmente veniva praticato nello sterrato e con i sassolini a mo' di pedine
Un gioco che esprime la sua rilevanza negli elementi fondanti della cultura, della storia e delle radici di un territorio che dà valore alla memoria non imbalsamando il passato ma mantenendo l'identità tradizionale e intrecciandola con la modernità.
LA LEGGENDA DEL GIOCO DELL'ORSO
Un bambino venne svegliato in piena notte da un certo trambusto, si affacciò alle scale e sentì il padre e due amici, armati di spranghe e funi, parlare di un orso pericoloso che andava al più presto catturato. Ascoltò i progetti per immobilizzarlo e renderlo inoffensivo. Quando i tre uscirono di casa, scese in cucina dove notò un'ombra proiettata da un lume a petrolio sul pavimento: erano due cerchi concentrici sbarrati da due diagonali, rafforzate da quattro lunette alle intersezioni con il cerchio esterno. "Ecco come avrebbero fatto a catturarlo". Il piccino prese tre fagioli come cacciatori e una fava per l'orso e provò a giocare per ore. Una mossa all'orso, una ai cacciatori, fino al sorgere del sole.
Da quel giorno il bambino, felice del nuovo passatempo, cominciò a disegnare il gioco in terra, nelle piazzole del paese, e insegnò le regole agli amici. Uno di questi, che abitava a Forgnengo, prese mazzetta e punta, di nascosto al padre che faceva lo scalpellino nelle cave, e scolpì un tavoliere su un sasso.
Il gioco si diffuse rapidamente tra i bambini della valle ma tanto rapidamente cadde nell'oblio con la scomparsa degli orsi veri.
Ci fu un bambino però che non lo dimenticò, e quando diventò vecchio, intuendo che con la sua scomparsa se ne sarebbe persa anche la memoria, ne parlò a studiosi che venivano da lontano con la speranza che ne avrebbero diffuso l'esistenza. Un gioco bello, antico e dalla importante valenza antropologica.