L'arte e la letteratura nelle maschere viventi




LA MASCHERA

Il valore che attribuiamo a questa parola è legato ai suoi molteplici usi e finalità, ma sul piano astratto, possiamo sicuramente affermare che la maschera è sostanzialmente un simbolo, e dunque, un contenitore di significati.

«Le parole sono simboli» affermava Borges nel suo testamento poetico-letterario. Esse tuttavia costituiscono solo un ponte col reale, ma non sono la realtà. La parola spesso è il travestimento del reale: gli scrittori in ogni tempo hanno rappresentato la propria epoca e realtà, indagando l’anima per trarne una verità universale, trasmissibile con gli strumenti del linguaggio e del pensiero creativo.

Per fare ciò spesso gli uomini si sono mimetizzati nelle figure partorite dalla fantasia, costruendo una maschera – quella letteraria – e affidando ad essa il proprio messaggio.

LA MASCHERA NELLA LETTERATURA

La maschera è arte e, per la sua magica facoltà di camuffare la realtà e rivestirla di altri significati trova impiego nel teatro.

Nel Teatro Greco le maschere vengono introdotte da Tespi, l’inventore della tragedia, che nel 530 a.C. fece usare agli attori maschere di lino, sughero e poi di legno. Prima di allora gli attori si erano limitati a pitturarsi il volto. In Europa l'uso della maschera ebbe grande successo con la commedia dell'arte italiana del Cinquecento, che elaborò le maschere dei personaggi a partire da maschere precedenti e da animali. L'uso della maschera nella commedia dell'arte prosegue fino all'incirca al XVIII secolo, quando Carlo Goldoni, allo scopo di riformare il teatro, portò gradualmente gli attori a riferirsi a un testo scritto, invece che a un canovaccio improvvisato, eliminando parallelamente le maschere e conferendo ai personaggi un'individualità sempre più marcata, che determinò la trasformazione della commedia dell'arte in commedia scritta.

LE MASCHERE NELLA COMMEDIA ANTICA

La commedia latina mantiene l’ambientazione greca e i nomi dei personaggi greci. Questa rappresentazione si chiama fabula palliata e i suoi esponenti maggiori sono Plauto e Terenzio. I personaggi in essa rappresentati sono quasi sempre delle maschere fisse, conosciute dal pubblico quando si presentano sulla scena.

Le maschere, che occupano una posizione privilegiata all’interno delle opere, sono:


Il servus, mostruoso nel corpo, dirompente nel linguaggio e spudorato negli atteggiamenti, dimostra comunque di essere il più intelligente e risulta perciò anche il più simpatico. É spesso fiero e orgoglioso delle proprie mosse e si rivolge al pubblico pretendendo un applauso. Plauto ci fornisce anche dei ritratti fisici, che corrispondono convenzionalmente alla sua maschera: rosso di pelo oppure calvo o ricciuto; panciuto, gambe grosse, pelle nerastra, occhi vivaci (a volte strabici), piedi enormi.


Il senex, talvolta è il padre severo, che tenta invano di impedire gli amori dell’adulescens, talaltra, invece, assume il ruolo dell’amico.

La sua figura viene caratterizzata in molti modi: il padre nobile, dal carattere vivace e variabile; il nonno, persona molto anziana, di carattere mite e bonario; l’altro nonno, persona molto anziana, di carattere arcigno e violento.



L’adulescens è il giovane innamorato, quasi sempre incapace di superare gli ostacoli. Spesso è vittima degli scherni da parte del servus, ma quasi sempre viene aiutato dallo stesso.

Nelle commedie di Plauto e Terenzio, tuttavia, se ne possono individuare diversi tipi: il giovane perfetto, con un carattere ardito e deciso; il giovane lussurioso, scapestrato e sfrontato; il giovane rustico, rozzo e libidinoso.



La COMMEDIA DELL'ARTE è un genere teatrale molto particolare che si sviluppò in Italia nel XVI Secolo. La caratteristica principale, che contraddistingue questo genere di spettacolo, si ritrova nell'assenza del copione. Infatti, gli attori improvvisavano basandosi sul cosidetto “cannavaccio”: essi si rifacevano a delle 'maschere', ovvero personaggi le cui caratteristiche erano molto note (Arlecchino, Pulcinella,Colombina).

In particolare, la presenza delle donne in scena fu una vera e propria rivoluzione perché in precedenza i ruoli femminili erano interpretati soltanto da uomini.

L’Italia ha una ricchissima tradizione di maschere di origini diverse, con riferimento alle usanze popolari o direttamente derivanti da rappresentazioni artistiche.

Tra le maschere possiamo annoverare: Colombina, Arlecchino e Pulcinella.


Arlecchino

E’ il personaggio della commedia dell’arte, nato dall’unione di due differenti tradizioni: lo Zanni bergamasco ed alcune figure diaboliche farsesche del contesto francese. Si pensa che Arlecchino fosse anche un demone ctonio (sotterraneo), Ed abbastanza simile è appunto il demone “Alichino” presente nell’inferno dantesco, come membro dei Malebranche, un gruppo di diavoli che tortura i dannati con la pece bollente. Arlecchino diventa l’emblema del servo povero, piuttosto infedele al suo padrone, spesso obiettivo di scherzi e di imbrogli. Ad Arlecchino si associa il peccato capitale della gola: è sempre ghiotto e ne inventa di tutti i colori, Il suo linguaggio è dialettale e, a tratti, scurrile, tranne quando si rivolge a Colombina, il suo storico amore.

Colombina

E’ l’unica maschera femminile di carnevale ad imporsi in mezzo a tante maschere maschili. Ha origini veneziane e rappresenta una servetta furba e graziosa, bugiarda e maliziosa, vivace e briosa. Profondamente affezionata alla sua padrona, Rosaura, altrettanto bella e graziosa, Colombina si trova sempre in mezzo ai “pasticci” e combina imbrogli su imbrogli. Incarna il tipo comico della serva seducente ed astuta, cinica e adulatrice, una giovane donzella sbarazzina profondamente innamorata del suo Arlecchino.


Ed ora facciamo un salto a Napoli, per incontrare la maschera di Pulcinella.

Per quanto riguarda le più antiche ispirazioni del personaggio di Pulcinella, le interpretazioni sono diverse: alcuni lo fanno discendere da “Pulcinello”, un piccolo pulcino dal naso adunco, altri sostengono che tragga origine da un contadino di Acerra, Puccio d’Aniello che, all’inizio del Seicento, faceva parte di un gruppo di buffoni girovaghi che si guadagnavano da vivere con spettacoli improvvisati.

Pulcinella, nel contempo, si presenterebbe come stupido e furbo, demone ed angelo, saggio e sciocco, sempre sospeso tra i pericoli della città e le insidie della campagna. È una maschera figlia della cultura popolare partenopea, intrisa di elementi propri della tradizione pagana, mescolati ad elementi della religiosità cristiana. Pulcinella, pur essendo consapevole di tutti i suoi problemi, riesce sempre ad uscirne con allegria, deridendo i potenti pubblicamente e sorridendo, anche con amarezza, davanti ad ogni avversità.

LE MASCHERE IN PIRANDELLO

Per Pirandello le maschere rappresentano la frantumazione dell’io in identità molteplici ed un adattamento dell’individuo sulla base del contesto e della situazione sociale in cui si trova.

IL FU MATTIA PASCAL

E' uno dei romanzi di Luigi Pirandello, che rappresenta, attraverso il racconto di una vicenda occasionale, il senso universale della natura umana e del dramma dell’uomo costretto a vivere in situazioni grottesche e di crisi nei rapporti sociali.

Il protagonista, Mattia Pascal, che vive a Miragno, in Liguria, mentre si trova nella biblioteca della città, decide di raccontare la sua storia.

Egli, dopo la morte del padre, è costretto a lavorare presso la biblioteca.

La famiglia e il lavoro rappresentano una trappola per Mattia Pascal.

Lui e la moglie hanno due gemelle: la prima muore subito, la seconda dopo un anno; poco dopo muore anche la madre, così Mattia decide di andare in America. Si ferma a Montecarlo, dove gioca d’azzardo al casinò per 12 giorni, andandosene con un ricco bottino.

Mentre in treno escogita un modo per scappare dalla sua vita, legge il suo necrologio: la moglie e la suocera, credendolo morto, lo avevano riconosciuto in un cadavere ritrovato in quei giorni.

Mattia decide cosìdi iniziare una nuova vita nelle vesti di Adriano Meis.

Abbandonata l'identità di Mattia Pascal, cui si associa l'idea di fallimento esistenziale, il protagonista, desideroso di una nuova vita, decide di liberarsi della figura sociale di Mattia.

Dopo un periodo trascorso a vagare tra Italia e Germania, Adriano si stabilizza a Roma. Qui però il protagonista si scontra coi limiti intrinseci di un’esistenza al di fuori delle convenzioni sociali: non possedendo documenti, né un’identità riconosciuta, non può denunciare un furto che gli viene fatto. Frustrato dalla sua condizione, decide di rinunciare anche all'identità di Adriano Meis, di cui inscena il suicidio e di riprendere la vecchia identità.

Tornato a Miragno, Mattia trova però una situazione ben diversa da quella che aveva lasciato: sua moglie ha sposato un amico di vecchia data. Mattia è dunque escluso anche da ciò che inizialmente, aveva provato a fuggire e che ora vorrebbe recuperare.

LA PATENTE

Significativa ancora è la figura di Rosario Chiarchiaro, protagonista della novella “La patente”. Chiarchiaro è un uomo la cui vita è stata sconvolta senza colpa: gli altri hanno cominciato ad accusarlo di essere uno jettatore. Rosario allora denuncia i due giovani che si sono “toccati” vedendolo per diffamazione. Convinto però che non c’è modo di disfarsi del ruolo che ormai gli ha imposto la società, raggiunge il giudice D’Andrea nel suo studio, spiegando che non ha citato in giudizio i due ragazzi per scrollarsi finalmente di dosso il soprannome di iettatore, ma per poter rivendicare legalmente, con un riconoscimento ufficiale, una patente.

“E poi? Me lo metto come titolo nei biglietti da visita. Signor giudice, mi hanno assassinato. Lavoravo. Mi hanno fatto cacciar via dal banco dov’ero scritturale, con la scusa che, essendoci io, nessuno più veniva a far debiti e pegni; mi hanno buttato in mezzo a una strada, con la moglie paralitica da tre anni e due ragazze nubili, di cui nessuno vorrà più sapere, perché sono figlie mie; viviamo del soccorso che ci manda da Napoli un mio figliuolo, il quale ha famiglia anche lui, quattro bambini, e non può fare a lungo questo sacrifizio per noi. Signor giudice, non mi resta altro che di mettermi a fare la professione dello jettatore! Mi sono parato così, con questi occhiali, con quest’abito; mi sono lasciato crescere la barba; e ora aspetto la patente per entrare in campo!

Pirandello con la sua creatività ed abilità ha creato una immagine potente che rende bene l’idea della misura in cui il giudizio degli altri può influenzare la nostra vita, anche se non vogliamo. Ognuno di noi, in realtà, deve fare i conti con tante maschere: siamo influenzati dai social, da chi ci circonda e, a seconda delle situazioni e di chi ci guarda, siamo costretti a indossare una maschera ed aderirvi per muoverci nella società e nel mondo.

Lavori realizzati da:

2A. Aliberti Carmelo, Bucca Emanuela, Castellano Zoe, Currò Priscilla, De Francesco Annalisa, Di Salvo Amanda, Gentile Claudia, Levita Giuseppe, Maio Martina, Milazzo Marzia, Pirri Giada, Scolaro Carlotta, Scuderi Annarita

2B. Alizzi Miriam, Longo Marisol, Pirri Martina, Russo Antonina

2F. Genovese Matteo

5F1. Chillemi Mattia Pio, Recupero Simone

5F2. Aspa Giuseppe, Rao Genovese Giorgio