Tra finzione e realtà


Diller + Scofidio

Il teatro della dissolvenza

"Diller+Scofidio: il teatro della dissolvenza" è un libro scritto da Antonello Marotta (Alghero, 1968) architetto e teorico dell'architettura.

È uno dei volumi monografici contenuti nella collana "La Rivoluzione Informatica in Architettura", diretta da Antonino Saggio e pubblicata dalla casa editrice Edil Stampa nell'ottobre 2005.


Il libro si apre con una prefazione del Professor Antonino Saggio che ci accompagna alla scoperta di quello che è il paesaggio mentale dei nuovi architetti, un paesaggio mentale composto da informazione, interattività e natura. 

Questi tre elementi trovano una sintesi in architettura proprio nell’opera cardine del duo Diller + Scofidio, si parla di Blur, il padiglione realizzato a Yverdon-les-Bains per l’Expo in Svizzera del 2002.

Questo edificio muta e si trasforma grazie all’immenso numero di sensori che leggendo le informazioni esterne, come la temperatura, l’umidità e il vento, mettono in azione migliaia di nebulizzatori d’acqua, dando vita alla nuvola.

Antonello Marrotta, autore del libro, ci fa capire che l’intensità innovatrice di Blur nasce da un percorso di ricerca innovativo e originale, lontano da quelli tradizionali.

Blur Building, Lake Neuchatel, Yverdon-les-Bains, Svizzera, 2002

Elizabeth Diller nasce a Lodz, in Polonia, nel 1954, e si forma alla Cooper Union mentre Ricardo Scofidio, nato a New York nel 1935, vi insegnava già da quasi un decennio. Il background dei due artisti è variegato, Scofidio dirigeva un importante studio, mentre Diller prima di avvicinarsi ai corsi di architettura aveva studiato fotografia e cinema. 

I due formano a New York, nel 1979, uno studio interdisciplinare, che spaziava dall’architettura, ai nuovi media, allo spettacolo e alle performance.

La coppia per decenni viene ritenuta non codificabile e anti-convenzionale, sono sia artisti che architetti.

Il movimento moderno aveva realizzato un’estetica della Nuova Oggettività, invece Diller+Scofidio indagano la dimensione della Nuova Soggettività, che porta con sé una profonda rivoluzione, l’architettura esiste prima della costruzione.

I due architetti mettono in atto delle installazioni site specific, nelle quali elaborano un campo di forze costruito in funzione dell’osservatore e di una nuova coscienza che l’interazione sviluppa. Nei loro lavori analizzano il passaggio dalla società della macchina a quella dell’informazione, attraverso la cultura dei mass-media che ha determinato questo trapasso.

Ne sono esempio alcune installazioni come Para-site, dove è la stessa installazione il parassita del luogo che la ospita, oppure Tourisms: the suitCase Studies, o ancora in Moving Target, uno spettacolo teatrale dove entra in gioco un grandissimo specchio collegato ad un computer il quale fa sì che l’opera non sia più visibile solo nel modo convenzionale, ma possiamo vedere i ballerini riflessi in uno spazio come privo di gravità, secondo un’altra prospettiva, e al contempo vengono trasmesse immagini pre-registrate coniugando così il mondo del reale legato al teatro con il mondo mediato della tecnologia.

Para-site, MoMA, New York, 1989

Tourisms: the suitCase Studies, Walker Art Centre, Minneapolis, 1991

Moving Target, Palais des Beux-Arts, Bruxelles, 1996

Nei loro lavori sono sempre comparsi videocamere, computer o webcam con l’intento di far crollare la distinzione tra esperienza diretta ed esperienza mediata. Questa caratteristica è evidente in opere come Jump Cuts, dove su una serie di display video montati sulla facciata dell’edificio vengono trasmesse in diretta le immagini delle scale mobili interne, questa presenza evidente delle videocamere e degli schermi porta il pubblico a recitare, invertendo così il luogo dello spettacolo, dal teatro alla lobby, vi è quindi un interscambiabilità tra realtà e finzione. 

Nel 2000 Diller+Scofidio si trovano a dover riprogettare la Brasserie, all’interno di uno dei simboli dell’architettura razionalista americana, il Seagram Building di Mies van der Rohe, a New York. Lo spazio ordinato viene reinterpretato, rispettando le partiture e gli allineamenti,  proponendo un ristorante-installazione, mentre la pianta è organizzata in funzioni elementari la percezione dello spazio è altamente suggestiva. Essendo che la base del Seagram è completamente opaca vi è una mancata connessione tra la strada e l’interno, ricreata però elettronicamente tramite una videocamera azionata dai clienti in arrivo tramite la porta scorrevole, questa proietta in un monitor sopra il bar il ritratto dinamico di ogni cliente in entrata.

Le loro opere architettoniche eliminano la convenzione di edificio quale scatola e affermano che le nostre case e gli edifici che frequentiamo sono e devono essere l’estensione della nostra pelle.

Jump Cuts, United Artists Cineplex Theatre, San Jose, California, 1995

Brasserie, Seagram Building, New York, 2000

Institute of Contemporary Art, Boston, 2006

Questo libro attraversa tutte le fasi del percorso di ricerca che Diller+Scofidio hanno vissuto e sperimentato, e ne dà chiare dimostrazioni soggettive e personali tramite i racconti e l’intervista fatta a Diller proprio per questo scritto.