Letteraturàgite

PICCOLO MONDO ANTICO

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LA RECENSIONE

Il contesto dell'Italia unita e dell'Italia da unire è centrale e si sviluppa attraverso le descrizioni e i personaggi del romanzo. La pubblicazione è del 1895, ma il racconto mostra il decennio precedente l'unità d'Italia. La narrativa italiana di fine '800 ha le sue radici nel realismo e nel romanzo storico, e come si sa particolare fortuna l'ha avuta il verismo, a sua volta collegata con il naturalismo francese. In modo diverso questi romanzi hanno raccontato delle differenze fra Nord e Sud, fra città e provincia, fra moderno e antico. Il paragone tra Fogazzaro e Verga è inevitabile, ma i risultati sono molto diversi. Diverso è l'uso della lingua, diversa la sua funzione letteraria nella spiegazione del contesto storico-sociale di riferimento, diverso il ruolo letterario del narratore, diversa la concezione della storia.
Piccolo mondo antico è un romanzo che si include in tutte le categorie succitate, ma senza essere esemplare di nessuna. Il punto in comune maggiore è Manzoni, perché da lui Fogazzaro ritaglia un'analoga struttura dove la Storia ha un ruolo fondamentale, anche se nel caso dello scrittore vicentino la sua posizione è più defilata. Questa è una differenza già sostanziale. Per Manzoni la storia è sempre quella con la S maiuscola, che determina i destini e influisce sulle scelte delle persone. In Manzoni tutti i personaggi subiscono inizialmente la storia, per poi reagire in un secondo momento. Con Verga la storia è una fiumana che salva solo una parte degli uomini, nutrendosi degli altri, dei vinti. In Fogazzaro la storia facendo da sfondo non sembra sempre la protagonista ineluttabile, la divinità dei destini umani. Essa accade ma il focus resta sui personaggi, sui loro vizi e sulle loro virtù, sulle abitudini e sui valori, sulla loro morale e certo, su come essa possa cambiare secondo contesti e tempi diversi. Fogazzaro non nega un valore di movimento alla storia, ma ama focalizzarsi sul piccolo mondo antico proprio per mettere in luce ciò che si va perdendo a quel tempo, ricordandone con affetto gli stilemi ma senza condannare il passare del tempo per questo.

Decisamente ciò che si mostra determinante in Piccolo mondo antico è, nei contesti e nei personaggi, il rapporto fra l'Italia preunitaria e quella post-unitaria, in un rapporto fra le nostalgie austriache di chi possiede un animo più reazionario e il desiderio di un futuro comune, già denso degli elementi più significativi dell'identità italiana. Anche la lingua aiuta a rendere più marcata questa contrapposizione. Spesso i personaggi parlano il dialetto, e lo fanno quelli meno aperti alla storia, o quelli che sono ritratti in battute emotivamente pregnanti. Analogo rapporto per la religione, certo centrale in Manzoni e presente nella vita di Fogazzaro a fasi alterne. Qui la religione è ancora il segno di un'evoluzione, l'ipotesi di una società, che appare dunque più frammentata che nello scrittore milanese proprio in evidenza, nei due protagonisti, Franco e Luisa , che vivono il loro amore, le loro scelte e persino il senso della tragedia con due sentimenti religiosi molto diversi. Per lui la religione è una necessità, e tutte le sue scelte sono a essa sottomesse, mentre per lei la religione è un fatto più individuale, persino moderno. Non solo Luisa, ma anche altri personaggi (lo zio Piero e a suo modo il professor Gilardoni) sono emblematici di un senso delle cose che poi si farà molto marcato e psicologicamente preciso nei lavori successivi di altri letterati italiani fondamentale per l'inizio del '900, Pirandello, Svevo, Borgese su tutti. In questo Fogazzaro non è quindi certamente verista, ma neppure romanziere storico puro. Essendosi reso conto dei limiti della letteratura naturalista e realista, finisce per essere un romanziere storico modernista, in anticipo sui tempi, in certi casi, e per questo meritevole di una riscoperta.


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NOTTURNO INDIANO

LA RECENSIONE

Il romanzo di Tabucchi è uscito nel 1984 per Sellerio. Non c'è Portogallo in Notturno indiano, ma India. Ci andiamo con Roux, che narra la sua storia raccontando di dovervisi recare per cercare Xavier, suo vecchio amico. La ricerca è il tema centrale del libro, e a essa Tabucchi chiede che il lettore vi si abbandoni, lasciandolo comprendere presto che il pellegrinaggio è il pretesto per una ricerca spirituale, da compiersi in condizione di incertezza e instabilità. Roux non ha indizi e si affida solamente a una guida turistica, e in questo modo Tabucchi compone il suo romanzo, seguendo i luoghi indicati e riproponendoli a noi, come se appena conclusa la lettura dovessimo metterci immediatamente in viaggio anche noi.

La labilità nella narrazione, l'evoluzione degli eventi che appare sempre casuale, il raggiungimento degli obiettivi che sempre sembra venire a mancare, a non compiersi. C'è tutto questo nei personaggi caratterizzanti l'India e Notturno indiano, e nelle situazioni che raccontano la religione e la religiosità, la paura e la povertà, l'amore per sé stessi e un senso karmico di unità assoluta. India, luogo dove "si va per perdersi", luogo dove ciò che non appare è protagonista nell'assenza e dove ciò che appare non è quel che sembra.

Ma Xavier, lungo le tracce della ricerca, chi è? Non è anche lui un'illusione, come tutto il resto? Quando nel capitolo finale Xavier afferma a Christine che il suo viaggio è finito, e nel farlo annuncia di essere stato lui stesso l'oggetto della ricerca, e che Xavier lo ha finalmente trovato e lo sta salutando dalla parte opposta del ristorante, non sta dicendo a tutti che sin dall'inizio stava in realtà cercando solo sé stesso, e che non esiste altra ricerca all'infuori di questa?

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REALITY

LA RECENSIONE

Esistono numerose buone ragioni per leggere Reality, Rizzoli, 2020. Innanzi tutto occorre precisare che l'autore insegue l'esigenza di raccontare l'esplosione di Covid 19 e del lockdown senza attendere, consapevole che solo farlo subito può impedire alle nostre individualità di rifugiarsi o di scappare. Non a caso il sottotitolo (o come ha fatto notare Tommaso Pincio il "sopratitolo") del libro è "Cosa è successo", ovvero un lavoro che nasce per spiegare il più fedelmente possibile l'evento epocale che non può non aver modificato percezioni, comportamenti, abitudini più di quanto ciascuno di noi sappia riconoscere.

Fatta la dovuta premessa, Genna non si esime da un certo imbarazzo, ma lo conduce su un piano letterario e universale, sulla dinamica sociale degli esseri umani e su quella politica dell'Italia, di Milano, di Bergamo. Ma non sono escluse riflessioni religiose, mediatiche, o cronachistiche. Ma queste vanno viste distintamente, per comprendere in primo luogo che Reality non è un diario della quarantena, come hanno suggerito altri testi usciti di recente e come in effetti era stata comprensibilmente la direzione del mercato editoriale, pur fermo, di quei mesi. Questo è un dato sostanziale per capire come mai l'interesse per questo libro andrebbe decisamente innalzato, prima di tutto perché l'autore passa attraverso sé stesso solo quando è strettamente necessario che accada, e se lo fa non si risparmia la stessa scrittura asciutta e tagliente che narra Reality, su cui occorrerà riflettere più a fondo. Siamo dunque di fronte a un testo concepito come necessario, come sempre nella letteratura di Genna, sviluppato in un susseguirsi di capitoli di diversa natura ma rivolti allo stesso obiettivo, cioè di dare memoria prima della sua necessità, consapevole che la nazione, il presente, il sistema tendono all'oblio, e che in questa fase la memoria diventa accessorio fondamentale per non soccombere a scenari più inquietanti.

Qui dunque lo scrittore si fa testimone, che in questo caso è testimone assoluto, perché ci racconta ciò che a tutti non è stato dato vedere. Da subito il testo ci espone le impressioni avute all'interno dei reparti Covid dell'ospedale. Sono, queste pagine generali, di raccordo a quelle che riguardano le settimane precedenti e in qualche modo introduttive del mondo dei reparti e dei dottori, molto spendibili anche a livello scolastico, poiché contengono riflessioni utili a tutti. Certo, tutto il libro ne contiene, ma il carattere più generale di questo, e di pochi altri passaggi, varrebbe a veicolare una disattenzione diffusa del mondo giovanile verso un unico spazio con dei confini, se non ferrei, appunto utili.

Con l'avvicendarsi di eventi così storicamente reali e pure così vicini temporalmente a noi, è necessaria una riflessione sullo stile narrativo. Sin dal secondo capitolo appare chiaro che si intrecceranno diverse voci narranti. La scelta di raccontare nel secondo capitolo il giorno prima dell'esplosione della notizia in Italia attraverso la voce di uno stilista, per marcare la dimensione della moda a Milano e gli inevitabili rapporti con la Cina, mostra l'intenzione di procedere come spesso procedono le serie tv, creando una tensione narrativa che accumula elementi per giungere a una fine memorabile. A concorrere più in generale a questa tendenza è il segno stesso della fine, elemento ottundente di ogni storytelling attuale: "Tutti vogliono possedere la fine del mondo" scrive De Lillo in Zero K, pubblicato solo tre anni fa, autore di cui certo Genna è debitore letterario. Il senso della fine è dentro ciascun capitolo, emerge in ciascun personaggio di Reality, mai uguale a sé stesso ma sempre imperscrutabilmente impossibile, o teoricamente illogico. C'è già qualcosa di simile in questo secondo capitolo in cui emerge il dato costante dell'italica strafottenza che tende a sminuire e l'accenno non troppo sottotraccia di una Milano altra, povera, devastata, inintuibile a priori. Lo stilista concepisce l'idea degli outfit per i morti in Cina, ultima frontiera possibile fra capitalismo e fine del mondo. Del resto tutto appare finto e artificioso anche per il contrasto con le parole di un santone-profeta-barbone di un parco di Rogoredo, la cui fine del mondo annunciata fra le risate di chi lo ascolta, accorcia le distanze fra i due personaggi in questione. In questi primi capitoli si può notare un'attenzione per alcuni nomi di architetti, registi,e artist, che Genna chiama in causa per creare dei ponti fra quel che sta vedendo e qualcosa che c'è già stato, e che, pare, solo l'arte aveva saputo dire. Sale l'esigenza di dare un senso di realtà a qualcosa che non sarebbe potuto mai percepirsi tale, qualcosa che forse l'autore stesso temeva di non poter trattenere del tutto, segnandosi così un'ulteriore traccia per il futuro.
Il terzo capitolo accenna a un cambio di paradigma che non può non toccare la lingua e la storia, e non può non nominare la geografia dei paesi della zona rossa, ma come una sospensione voluta ci porta alla memoria di chi narra, che a dieci anni conobbe Codogno per essere entrato in gita nel caseifico Polenghi, presagio che ovviamente acquisisce senso solo a posteriori. Quindi si entra in una narrazione diaristica dei morti e dei contagi, che non ci lascerà fino quasi al termine. Ad accumulare tensione anche formale si parla qui di un'indagine poliziesca che insegue il percorso del paziente 1, come se la squadra speciale stesse cacciando il pericoloso malvievente chiamato Covid 19. Tuttavia appare chiaro da subito, nelle parole di Capomastro, una figura di potere che comparirà anche più oltre, che ci si dovrà rassegnare a sospendere le libertà, e lasciare che “naturalmente, lo Stato uccida sé stesso, un colpo di stato inevitabile”. La ricostruzione dei giorni di buco del paziente 1 mostrano che è certamente impossibile arrivare a capire, mostrano che è pretenzioso arrivare a definire qualcosa di cui nessuno sa nulla.

A questo punto già si evince un dato essenziale del testo: la sospensione, non dal giudizio, ma dalla storia, dimensione nella quale tutti ci siamo trovati e che ora viene detta come se ogni conclusione più ovvia venisse interrotta e la consequenzialità delle cose venisse lasciata solo come reticolo per guardare più da vicino le cose.

Si è messo in risalto come sia, il nostro, un tempo privo della capacità di essere statue, un tempo di movimento e di velocità che fluiscono ininterrotti. Così a entrare nella narrazione c'è la descrizione di alcune architetture del potere e dell'incontro fra il sindaco di Milano e il sindaco di Bergamo, e le loro figure sono statue, adatte al movimento della storia, di questa storia ancora senza simboli. Il quinto capitolo si chiude con la profezia del sindaco di Bergamo che la città non si fermerà, e ancora aumenta l'elemento narrativo di sospensione e di incertezza. Si parla del grattacielo Isozaki, centro del potere economico di Milano, ora vuoto, e dell'inaugurazione della mostra a Palazzo Reale, destinata a restare poi chiusa, vista dall'autore come se la discesa agli inferi pensata dal curatore fosse il capogiro che tutta la città e tutta l'Italia si apprestavano a fare. Assistiamo poi a un nuovo cambio della linea narrativa, ed entriamo nella voce di una pneumologa che assiste alla morte di un paziente che è stato lasciato morire, privo di intubazione, per carenza di strutture. I suoi gesti sono cristallizzati dal suo stesso punto di vista: siamo dentro l'Inferno, mentre i numeri dei contagi e dei morti stanno salendo.

In questa chiave diaristica il 7 marzo ha un valore particolare, perché è il giorno precedente l'inizio della chiusura. E qui si torna a parlare dei giovani, dell'ultimo raduno, dell'indifferenza contro ogni norma di sicurezza, e poi dell'esodo sui treni. Giovani, gestore del locale, inizio della quarantena. Tutto procede in modo molto stigmatizzato, quasi schematico. L'idea di fine permea ogni ambito. Le parole sui giovani mostrano uno sguardo cupo e disilluso, ma non meno veritiero, che si dovrebbe avere il coraggio di portare nelle scuole, nonostante una crudezza che potrebbe essere malinterpretata. La scrittura sembra ambire a inserirsi fra le parole nuove e lo strato della coscienza addormentata di tutti. La parola, l'incisione, per così dire, è, come sempre in Genna, netta, chirurgica, asfissiante, e in quest'occasione lo è ancora di più. Si arriva? Non si arriva? Si riesce? Difficilmente si può rispondere a questa domanda, sembra anzi che il tentativo basti a sé stesso, e venga completato solo dai fatti. Da qui a trovare spazio è una visione generale, persino escatologica, dell'Italia, della sua posizione nel mondo e nella storia. Alla fine del capitolo l'autore si interroga su sé stesso, sulla propria funzione di veglia, di testimonianza della fine. In questo l'autore non si differenzia dai personaggi che fin qui hanno provato a loro modo a “possedere la fine del mondo”.

Ma i giorni passano. Genna si muove per la città, fuggendo i controlli e seguendo i propri contatti. La cifra stilistica di questo pellegrinaggio non è solamente dovuto alla città vuota e alla volontà di condurre una sorta di inchiesta, ma trova risposta precisa in un discorso letterario che l'autore milanese aveva iniziato a seguire con History, il suo penultimo libro, con cui per la prima volta la sua narrazione si era incrociata con dinamiche fantascientifiche rese realistiche dai movimenti del protagonista-narratore. Ma non solo per i palazzi vuoti e per i sotterranei labirintici degli ospedali che Reality segue History, quando ci si avventurava per i corridoi del laboratorio di ricerca dell'Intelligenza Artificiale. E neppure nel titolo, una parola secca, straniera, che però qui, in Reality scavalca il senso principale della parola affiancandosi almeno all'elemento del reality show. C'è un punto di raccordo sopratutto nel movimento. In History il protagonista, toccato dal dono di essere il solo a poter parlare con la bambina autistica, viaggiava per le stanze e per le idee come se inseguisse costantemente un bandolo che mettesse a posto le cose, pur sapendo probabilmente di non poterlo trovare. In Reality Genna sembra comportarsi come il protagonista di Reality: va, smonta, compone, chiede, ipotizza e verifica, sembra un folletto a spasso per una Milano vuota, senza punti di riferimento, almeno in apparenza. In questo movimento, peraltro tipicamente delilliano (si può rileggere Zero K, ma anche pensare a Body art e Cosmopolis) non può vedersi solo un muoversi alla ricerca di un unicum letterario puramente formale. Si tratta invece di un collegamento diretto fra sé stesso e i nostri pensieri nel tentativo di comprendere i fenomeni complessi e nuovi, come questo, un movimento che ci permette un'elasticità che ci spinge a comprendere completamente. Così per esempio Genna si reca a San Vittore dove il solito Capomastro riappare in veste letteraria e sociologica, a fornire spiegazioni più dettagliate di quel che mediamente si è saputo dai giornali e telegiornali, si reca in Duomo, nel Duomo vuoto, dove incontra Padre Steiner, un prete forse progressista ma sempre incisivo, che si scaglia contro la politica e la gestione del lockdown. La sua predicazione, pur forte, non ha nulla di mistico o di escatologico: si cerca la fine, ma chi la può nominare non lo fa, e padre Steiner lo farà solo più tardi, agonizzante. Lo stesso leitmotiv è nell'immagine dell'infermiera che dorme per la stanchezza, segno di uno spettacolo che appaga la voglia di sentirsi ammiratori di qualcuno che si vuole sia eroico, in una stadio di innocenza generale diffusa che essendo pura rappresentazione arriva a noi stessi percorrendo i soliti canali. Questo ci permette di guardare alla fine senza pensarla come tale, ma come salvezza, come pericolo scampato. “Nella dichiarazione universale dei diritto dell'uomo mancano queste due proprietà inalienabili, che sono la storia e la realtà. Intendiamo disporne come più ci piace.” Alla gente basta la connessione, basta che l'immagine dica quel che vogliamo intendere, e non importa se la realtà lì ritratta sia solo un pezzo di realtà. Genna ricostruisce l'immagine e da lì ricostruisce la forte solitudine che traspare nell'idea del suo ritorno a casa, che compare nelle immagini successive, che completerebbero la realtà di ciò che però non si vuole vedere.

La curiosità dell'autore arriva al polo logistico, i mercati generali, la centralità di Milano, e diventa, qui, Reality, un libro-documentario che in altri momenti sarebbe leggibile come un'inchiesta. Qui il virus non può arrivare, a sentire il Padrone, non fa altro se non piegare un'abitudine al lavoro a cui non ci si vuole sottrarre. Le regole qui sono ferree. Chi si ammala deve andarsene. Le creature che lavorano all'agroalimentare sono figure fisiche, capaci di contendersi un mese di lavoro senza code in cambio di un torneo di fight-clubbing. È un mondo a sé, con le sue regole, che soffre di un abbassamento generale della ricchezza che ha investito anche i comparti legati alle assunzioni in nero e la criminalità stessa.

La speranza sembra aver abbandonato ogni ambito, sembra persino superflua. Del resto non è possibile riporla nei runner e di chi canta dal balcone, due leitmotiv che tutti ricordiamo. Ci si interroga sul rovesciamento vita-morte, su come il cambiamento in atto sia irrevocabile, su come bisognerebbe riamare la morte, non potendo più amare questa vita, essendo noi tutti dentro un cambiamento più grosso di quanto non possiamo concepire.

All'improvviso appare il Papa.” Ed è una figura assoluta, nel vuoto assoluto di Roma. Ancora ritorna l'idea di fine della storia, in queste pagine così profonde. Il Papa ha sovvertito le epoche. Questo esserci in prima persona, la sua passeggiata per via della Conciliazione, l'invocazione all'unità, hanno modificato la percezione classica del guardare-guardato. Lui, immagine pura che tutti vedevano e assorbivano, ci guardava, ci richiamava, in un paradosso senza tempo che ha fermato tutto in un istante, senza parola, pura luce. Genna ci racconta il Papa come segno della fine di un'epoca, immagine mediatica profonda e capace di incidere la nostra coscienza collettiva. Ma naturalmente la tragedia collettiva si compone di tragedie singole, e c'è spazio anche per queste, quando si entra in una casa e si racconta di una donna che ha iniziato a sentirsi male e si è fatta aiutare dal marito a morire, mentre la figlia assisteva a tutto via telefono, da lontano. Il capitolo ripercorre la sua memoria, esplora le loro abitudini radicate, estrae definizioni che sanno di non poter arrivare all'eternità ma che vorrebbero rendere omaggio a quei morti e a tutti i morti. E poi l'arrivo degli infermieri, lo stordimento di provare a spiegare qualcosa che non si può capire, il tramestio per le scale. Ma non ci sono tamponi, nemmeno per lui. I problemi del sistema sanitario locale sono raccontati dagli episodi quotidiani, dalle parole del personale. La donna rimane tre giorni sul letto, morta. E lui “provava quasi vergogna a essere lì”, senza sapere che lui e sua moglie sono stati le vittime, e non i colpevoli. I colpevoli sì, dovrebbero provare vergogna.
La cronaca ci porta al 18 marzo, con la fila di bare che viene scortata dai camion militari che si muovono per Bergamo. Qui si racconta di come i corpi vengono cremati, in un sistema al collasso, che è come un sistema economico intero, come una masticazione della natura, un susseguirsi di atti di cui il fuoco dei forni è guida. Poi il discorso si allarga fino ai numeri di morti, un primato italiano che è segno stesso della fine in corso. L'apocalisse è giunta in silenzio e si è mangiata i domani. E anche l'entusiasmo da balcone dei giorni precedenti è spento. Ormai è il buio.
Le pagine più dolorose sono quelle dedicate ali psicotici che escono dalle case, che si mostrano, nudi o vestiti ma sempre espliciti, inconsapevoli che in quel vuoto di senso e di segni la loro voce sarà la più profonda. Questi finiscono per essere internati in reparti dove devono essere legati per non andare a infettare in giro. Anche le strutture per gli anziani soffrono di un dolore indicibile: troppo care e troppo cariche di dolore. Qui il personale denuncia l'assenza di protezioni e denuncia il mercato dei positivi, malati accettati indiscriminatamente per avere più introito. Sono luoghi della morte, privati di umanità, espressioni umane kafkiane senza speranza né redenzione. La casa di riposo è un luogo oltre la morte, dove la morte è rappresentata dai vecchi e da un tempo sospesissimo. Sono gente senza parenti, spesso mai reclamata. È la morte più nuda, è la morte protagonista nei reparti, nelle strutture assistenziali, nelle case, ovunque. E sono pagine di forte umanità, unica e necessaria ripartenza da perseguire e seguire ancora.

Nella parte finale del libro gli ultimi capitoli sono dedicati alle ricorrenze di quei giorni e dell'impianto narrativo del testo. C'è il Papa, di quando ha tenuto l'Angelus nella piazza San Pietro sguarnita di gente, il Papa che invoca la pietà e così facendo la concede. C'è un richiamo alla spiritualizzazione e alla spiritualità. Si riapre la storia. La sua voce da sola reinnesta il meccanismo, tutto sembra ricominciare. Il senso di un'espiazione riavvicina tutto, anche Dio e l'uomo. Qui Genna riconosce che nessuna scrittura può raccontare quel momento assoluto di pura spiritualità. In quell'istante tutto si è svolto: la storia ha ritrovato un'immagine e ha quindi potuto perdersi altrove.
C'è ancora Capomastro, che incontra un russo in una piccola cappella dimenticata nei pressi di Linate, e si parla di geopolitica, della necessità di transitare verso un sovranismo che contenga i processi disgreganti, il peso della Russia contro la presenza sempre più ingombrante dei cinesi. Capomastro esprime la propria desolazione per un mondo in cui l'Italia non ha più peso, e può solamente elemosinare un'attenzione abborracciata ora qui ora là, un colonialismo sincretico e illogico. Ci sono nuovamente gli psichiatri, il Sindaco di Milano, gli spacciatori. Tutti appaiono vittime di misure austere votate alla sottrazione, all'eliminazione delle necessità. E c'è nuovamente Padre Steiner, ora guarito, specchio di un legame fra noi e la malattia,

In conclusione Reality è un testo che va letto principalmente perché tenta di fare quello che tutti hanno sofferto durante la quarantena: non riuscire a dare un senso strutturato alle cose che stavano capitando, vittime dei difetti del sistema narrativo nostrano che si è rivelato fallace esattamente come il sistema sanitario nazionale. Il risultato è necessario, prima di essere giudicabile va reinterpretato un sistema letterario alla luce dei fatti recenti. Il tempo narrativo è il segno di questo cambiamento. Già in History si intravedeva qualcosa di nuovo, di ugualmente lineare (ugualmente nel senso classico delle sequenze narrative), ma di sospendibile. In ogni punto è possibile accorgersi che il narrato potrebbe interrompersi, come ogni cosa. Questo tempo sincopato è adatto ai tempi della fruizione delle serie tv, che permette visioni di svariate puntate interrompendo e riprendendo a proprio piacimento la visione, e ci mostra diversi da come vorremmo essere, o da come crediamo di essere. Ma questo è necessario, il necessario sforzo per comprendere, il necessario sforzo per, qui, superare. Reality è la voce del virus, novella Cassandra che mostra i problemi reali della nostra società, che si diffonde per illuminare spazi solitamente dati per scontato, consapevole che l'essere umano non è in grado di accorgersi fino in fondo di come stiano le cose.

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I FRATELLI TANNER

LA RECENSIONE

Esiste questo autore nel panorama letterario di inizio Novecento dell'area germanica, che non viene citato né letto come Kafka, Mann o Musil, ma che molti hanno già riconosciuto come, mi si passi la metafora fuor di materia, l'uomo in più di questo dream team: è Robert Walser. In un ipotetico lavorio di squadra lo stile di Walser sarebbe quello di cesellare il pensiero. La sua delicatezza, la sua raffinatezza stilistica, il suo sguardo puro e privo di inquietudine sono al centro della sua letteratura, di questo autore poco conosciuto ma filosoficamente molto denso, ma fluido. Peraltro è uno scrittore che, a suo dire, non si sarebbe mai corretto, specchio questo, oltreché forse di una certa leggenda, ci induce a mostrare un attitudine alla scrittura sicuramente profonda ma innocente, e dunque vivace, pura come un ruscello che scorre, prosaica e centrata. Pare, a leggerlo, di stare assistendo a uno spettacolo senza tempo: una scrittura senza tecnica, ma anche senza un giudizio possibile sulla tecnica, e quindi perfetta, inimitabile e imparagonabile, e imparagonabile perché assoluta, atemporale ed eterna, generatrice di sé stessa e non conclusiva.

Così anche I Fratelli Tanner, edito in Italia nel 1977 risponde alla stessa eterea e vitale caratteristica. Anche se il titolo allude a più personaggi, il protagonista è Simon Tanner, che dei 5 fratelli è quello che più assomiglia al perdigiorno, al giovane senza fissa dimora che compare in modo diffuso in tutto il primo Novecento. Pubblicato nel 1907, Simon Tanner ha senz'altro punti in comune con il giovane artista ritratto da Joyce, con Tonio Kroger di Mann, con gli inetti di Svevo e più in generale con tutta l'incertezza mitteleuropea e primonovecentesca, ma si distingue per un carattere fondamentale. Tutta questa incertezza è però vissuta come un privilegio. Non compaiono inquietudini che non siano redistribuite dall'animo puro di Simon, da una sua scelta, un suo gesto, l'osservazione di un panorama o addirittura una sua scorrettezza. Tutto è manifestazione umana, e come tale bella, pura. La maggior parte del testo è costituito dalle riflessioni o dalle azioni di Tanner, e si tratta sempre di riflessioni positive, ammantate di un fondo di felicità, di un desiderio di felicità. Simon Tanner è la prosecuzione ideale di Raskolnikov. Se non fosse molto giovane, intorno ai vent'anni, potrebbe pensare che abbia già riflettuto sulle colpe e abbia già espiato, e finalmente abbia imparato che tutto è gioia. Simon ne è così intimamente convinto da apparire come il vero personaggio vincente, nonostante Hedwig, sua sorella, sia una maestra elementare piena di generosità, e Klaus e Kaspar, maggiori di lui, siano sempre preoccupati dello scarso pragmatismo del fratello minore, della sua scarsa conclusività, del suo eterno restare senza soldi a vagabondare, a lasciare i lavori appena trovati per il solo gusto di cambiare, o di perderli. E gli atteggiamenti a volte ambigui di Simon, specialmente con Hedwig, a cui sottrae per lungo tempo ospitalità e denaro, non per questo rimangono moralmente condannabili, ma vengono raccontati, da lui stesso o dal perdono degli altri, sempre come inevitabili manifestazioni dell'uomo, di cui l'autore fa di tutto per mostrarceli infiocchettati di innocenza, di dolcezza, di amore. Solo il quinto fratello non compare mai, ma di lui si sa che è diventato pazzo, e ha una funzione di spettro dell'ottimismo di Simon, che allude sempre alla sua presenza senza peraltro mostrarsi mai.

In definitiva poco importa che la trama sia costituita solo dalle peregrinazioni di Simon e dai suoi incontri con i fratelli e dalle situazioni che vive. Ogni cosa costituisce un quadro generale che è dato dalla voce interiore del protagonista, il romanzo di una maturazione interiore che appare già completa senza mai concludersi del tutto.

Se poi guardiamo al passato non sarà difficile scovare punti di contatto in questa scrittura così dolce e liquida. Certo, se Dostojesvkji era un campione di profondità non possiamo dire che la direzione di Walser sia questa. La sua scrittura si muove più in superficie, in orizzontale, abbraccia dei punti di contatto fra poesia e prosa che non ricamano nulla da una prosa tipicamente ottocentesca, più scolastica. Anche per questo si può trovare un po' di Walser in altri scrittori novecenteschi, successivi, sostanzialmente ogni volta che la scrittura novecentesca ha provato a costruire romanzi da sé stessi, come fiori spontanei, in una ricerca che ha la sua base nel rapporto diretto con il lettore, con la sua più immediata azione del leggere, senza pretendere nulla, ma offrendosi nella sua innocenza, come una bambina.


QUESTA È L' AMERICA

LA RECENSIONE

Una narrazione attuale sugli Stati Uniti, condotta intelligentemente da Francesco Costa, esperto del Post, che ci aiuta a comprendere qualcosa di più di una terra la cui influenza mondiale resta altissima, ma i cui presupposti sono cambiati, e non poco, negli ultimi anni, da dopo il 2001, passando per le amministrazioni Obama e fino a oggi con Trump, con il razzismo più esasperato, Questa è l'America resta un libro utile a capire la direzione che stanno prendendo gli USA, e quindi dedurre quali aspetti anche nostrani potranno cambiare prossimamente, a livello socio-culturale e politico, dato che da sempre la sudditanza europea, l'atteggiamento europeo è debitore, e fortemente degli States. Questa è l'America si muove attraverso otto capitoli in cui emergono dei dati emblematici di aspetti particolari della società americana che normalmente non vengono citati nella narrazione ufficiale che arriva da noi. E' quindi uno sguardo approfondito che si spinge a guardare i cambiamenti più significativi di questi anni, già specchio di una nuova direzione che, se non ancora affermatasi dappertutto, può già mostrare i segni del cambiamento in atto. Dunque vediamo questi capitoli:

1) La piaga: dagli anni '90 gli Americani devono far fronte a un problema diffusissimo: il consumo di antidolorifici a base di oppio. Prescritti in troppe circostanze, prodotti in larghissima scala e pubblicizzati come panacea di ogni male, queste pillole hanno scatenato una vera e propria epidemia di dipendenze da oppiacei, fino a contare 800.000 persone morte per overdose in soli 20 anni. Un numero altissimo, un problema sociale larghissimo che è andato peggiorando, anche nei modi e nelle forme, coinvolgendo le stesse case farmaceutiche in battaglie legali senza esclusione di colpi. E non è certo un caso se in questi anni i cartelli della droga abbiano potuto reinserire i consumi di eroina su larga scala, consumi che sono arrivati a toccare parti della popolazione che normalmente erano al riparo da certi tipi di dipendenze, come le famiglie bianche degli stati rurali del Midwest. A che punto siamo, si chiede l'autore? Oramai molti stati hanno già ottenuto ricavi e risarcimenti dalle case farmaceutiche, e la Purdue Pharma, storica produttrice dell'Oxycontin, è praticamente fallita. Negli ultimi due anni stiamo però assistendo a una maggiore attenzione generale, più lavori di inchiesta, una sensibilità pubblica più approfondita, e questo potrebbe già essere un fattore determinante per accorgersi di una nuova direzione.

2) Contro il governo: in questo capitolo si parla di Cliven Bundy, un allevatore di mucche del Nevada che è entrato in lotta con il governo che riteneva che una parte del suo enorme pascolo dovesse appartenere a una riserva naturale. Dal 2014 ci sono state diverse situazioni di scontro fra la sua famiglia e la sua comunità e gli uomini del governo venuti per l'applicazione della legge. Questa storia, resa pubblica da diversi video su YouTube è diventata un tormentone pieno di fallacie e di invenzioni, dando però forma a un malcontento contro le attività del governo, e la protesta dei Bundy è diventata un ricettacolo di gruppi di estrema destra di svariata natura, tutti a cavalcare l'onda che non riconosce l'autorità del governo. La memoria di questi incontri, pericolosamente, andava a Waco (https://www.ilprimatonazionale.it/approfondimenti/waco-verita-infiamma-ancora-america-83049/) e mostrava una volta di più un rapporto controverso fra gli americani e il loro governo. La sfiducia degli americani è in caduta libera sin dai tempi di Nixon e non ha invertito la rotta in questo secolo, e questo ha ovviamente inasprito tutte le tendenze individualistiche e integraliste.

3) L'America nuova: qui, sempre attraverso storie particolari di indignazione e scontri sociali, si va a guardare il Texas, e si scopre che esso non è più la culla del Partito Repubblicano, non è più la culla del petrolio, ma fornisce da anni energie rinnovabili, biomasse ed energia solare, ed è perciò uno dei luoghi dove è più visibile il vero cambiamento in atto. Peraltro i dati stanno mostrando che la tanto decantata invasione messicana è in realtà un dato negativo, e la quantità di non-bianchi sta crescendo in modo diffuso, comprendendo neri e asiatici. Contraddizioni che ovviamente si rispecchiano anche nel suo essere di confine, il muro e l'immigrazione. Con l'amministrazione Trump abbiamo assistito alla costruzione del muro lungo la linea del Messico, idea che ha riscosso consensi sopratutto lontano dal Texas, senza risolvere veramente l'arrivo delle persone, ma sopratutto abbiamo assistito alla pratica deprecata di dividere i figli dai genitori, anche se molto piccoli. Trump ha infatti reso obsoleta il metodo abituale di richiedere il visto di ingresso, inasprendo i controlli sugli irregolari. Un dato su tutti qui può essere emblematico: le contee che nel 2016 hanno ospitato un comizio di Trump hanno successivamente riscontrato un aumento medio del 226% di aggressioni motivate dall'odio razziale.

4) L'interrutore: qui si parla della profonda crisi industriale del Michigan dovuta alla crescente tecnologizzazione del lavoro di fabbrica, di città come Detroit e soprattutto di Flint, la cui crisi dell'acqua (https://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_dell%27acqua_di_Flint) ha mostrato una disattenzione generale nei confronti dei paesi abitati dai neri da parte di tutte le parti del sistema sociale. Nonostante la crisi gravissima che ha investito tutto il Michigan sia una delle più gravi di tutti gli States, a sedurre l'elettorato di questa zona resta Trump, che raccoglie i bianchi rimasti, coloro che hanno potuto mettersi in salvo e che vedono l'innalzamento della povertà e anche della criminalità circostante come un problema prevalentemente razziale.

5) L'eclissi: il problema affrontato in questo capitolo riguarda l'economia in generale. Grazie all'iperproduttività e all'iperflessibilità di quasi tutti i settori dell'economia americana, essa resta in crescita, a livello di stima. Tuttavia ci sono contraddizioni sociali palesi e gigantesche. La zona economicamente più portante, più ricca, è quella degli stati del Sudovest, dove trovano spazio aziende come Google, Facebook, Universal Studios, Paramount, Sony, Netflix e molte, molte altre. Gli USA si contraddistinguono per la loro intraprendenza nel senso della creazione di impresa, del coraggio di andare oltre la tradizione, un senso che in Europa è decisamente inusuale. Ma in California è possibile organizzare referendum su materie di natura economica, e questo può essere ovviamente una causa di instabilità anche politica. In questa ricca zona la città che più rappresenta queste contraddizione è San Francisco, dove gli affitti sono altissimi, gli homeless tantissimi, il traffico congestionatissimo, un'area devastata quasi annualmente da incendi gravissimi, che oltre a essere lo specchio di una condizione climatica particolare, sono la conseguenza di politiche fallimentari e poco attente. Lo dimostrano i racconti sulla città di Paradise, una delle più colpite dagli incendi del 2018 (https://en.wikipedia.org/wiki/Paradise,_California), e le inadempienze di PG&E, la società energetica che è stata resa famosa dalle proteste di Erin Brockovich. Se a tutto questo si aggiunge il problema della deindustrializzazione, quello delle minoranze etniche sempre meno considerate dal discorso pubblico, dal costo della vita e molto altro ancora, si comprende che il senso di fiducia nelle istituzioni, nello Stato come protettore e garante di una certa sicurezza, sta venendo meno in modo lampante.

6) Perché le armi: qui il racconto preso in esame, quello della strage del Mandalay Bay per cui morirono più di 50 persone per mano di Stephan Paddock, un ex esattore delle tasse che sparò sulla folla dopo essersi serrato nella sua camera d'albergo, mostra che il crimine sta diventando a-ideologico, a-terroristico, e che il problema delle armi da fuoco è fuori controllo. In USA si contano più di cento morti al giorno per ferite da arma da fuoco. Sono il risultato di liti banali, di femminicidi, di errori di fabbrica, di atti di vendetta che non hanno paragoni in nessun altro paese al mondo. A possedere armi da fuoco, prosegue l'autore, è circa 1/3 della popolazione, ma fra loro molti ne possiedono diverse, tante. Si vive nel costante sospetto che gli altri possano sparare, si teme la polizia che a sua volta teme ogni sospettato. Del resto il Secondo Emendamento parla chiaro: tutti possono possedere armi da fuoco, e in anni come quelli di fine '800 e oltre era davvero normale vivere andando a caccia o difendendosi in zone rurali e selvagge, enormi e indifese. A oggi l'NRA è diventata una lobby che dall'interesse dei proprietari si è spostata all'interesse dei produttori, e in generale il Partito Repubblicano sta cavalcando sempre più la linea della legittimità del possesso e della cultura delle armi.

7) La radicalizzazione: la vicinanza dei due partiti americani si è fatta meno netta, le differenze si stanno accentuando da una cinquantina d'anni, cioè da quando la sfiducia generale per il mondo politico è aumentata. Una tendenza non certo solo americana, che ha negli USA il caso emblematico di Newt Gingrich, un esponente del Partito Repubblicano che ha spostato, negli anni, il discorso politico su un piano sempre più vicino allo scontro, alle accuse infondate, a modi di percepire il dialogo sempre più vicini all'infamia e allo scontro e distanti dal dialogo. Un altro cambiamento di rotta è rappresentato dal canale FOX, un canale di notizie che nasce per contrastare il politically correct della CNN, nell'idea che tutto ciò che riguarda ideali di sinistra sia lesivo per l'America. La pulsionalità della politica attuale, che ha in Trump solo un altro capitolo di una storia più complessa e radicata, sta mostrando un esacerbarsi dei conflitti, a cui il Partito Democratico sta rispondendo con una radicalizzazione dei contenuti proposti a sua volta.

8) Il bivio: l'ultimo capitolo è dedicato alla forte tradizione e al profondo rispetto di tutti gli americani per i Padri fondatori, e quindi per la democrazia. La riflessione verte sul fatto che la democrazia è universalmente riconosciuta come l'unico sistema utilizzabile, ma che essa può essere declinata in diversi modi, a tal punto che è facile snaturarne i presupposti. Si parla di gerrymandering, la pratica di disegnare i confini dei collegi in modo da prendersi l'elettorato possibile, alla luce di altre regole che mostrano che si possono vincere elezioni senza avere il numero più alto dei voti. (https://it.wikipedia.org/wiki/Gerrymandering) Questa pratica ha modificato gli esiti di molte votazioni, negli anni, ed è ancora oggetto di moltissimi dibattiti che puntano a cambiarne le regole, ma gli Stati Uniti hanno un sistema politico rigido, difficilmente modificabile. In conclusione l'autore, Francesco Costa, si chiede quale sia la direzione futura di una nazione ancora molto ricca e molto influente, ma piena di vizi e di contraddizioni. La risposta è affidata al discorso di Gettysburg di Abramo Lincoln, che non solo salvò l'unione, ma abolì la schiavitù, portando le parole della Costituzione al suo compimento finale.


BREVIARIO MEDITERRANEO

LA RECENSIONE


Questo testo vuole essere un tentativo di restituire centralità culturale alle culture del Mar Mediterraneo, le cui differenze potrebbero però essere viste come collante di uno spazio variegato e ricco che solo potrebbe rappresentare un modello, una visione diversa di un'area che molto spesso vive di spaccature e che si tende a vedere come spazio non unitario. L'autore, Predrag Matvejevic, vuole mettere in luce le differenze, ma attraverso un lavoro di inventario che riguarda tutti gli elementi presenti in ogni spazio di questo vasto mare. Così ci racconta del mare raccontandoci della gente, delle coste, dei fari, delle abitudini, delle colture e delle culture, in un inventario che molto presto può apparire potenzialmente infinito, in un racconto che taglia tutta l'area mostrando che spaziando a cambiare sono i significati delle stesse cose, degli stessi oggetti. Lo stile è didascalico, tende a non voler escludere nulla, e intreccia leggenda e storia perché in questa chiave è questo il modo per dare unità a uno spazio che storicamente ce l'ha solamente sotto alcune chiavi di lettura. Così acquisiscono peso le esperienze concrete, il sapere che si tramanda, e al contrario non pesa la diminuzione di un sapere più istituzionale, meno attento alle tradizioni della gente e quindi anche meno familiare.

La scrittura guarda quindi al presente e tende a incidere nel passato delle tradizioni e delle evoluzioni, e l'autore stesso, coinvolto dalla stesura del testo che avviene viaggiando, o raccogliendo le impressioni, è consapevole di non poter inventariare ogni cosa, né in senso spaziale, né in senso temporale.