Perché suoniamo a ballo?
Petizione a favore del ritorno della musica dal vivo all'interno dei corsi a ballo.
Perché suoniamo a ballo?
Petizione a favore del ritorno della musica dal vivo all'interno dei corsi a ballo.
A seguire, si ha deciso di anticipare la petizione in oggetto e proseguire poi con l’argomentazione, puramente per questioni pratiche: è nell’interesse di chi legge voler approfondire o meno quello che si sta cercando di comunicare.
Altresì vero che la petizione viene ripresa in conclusione dell’argomentazione, per facilitare la lettura del documento per intero.
Nella speranza d’un futuro confronto e collaborazione, buona lettura.
Indice
Petizione a favore del ritorno della musica dal vivo all’interno dei corsi a ballo.
Carə tuttə,
Perché balliamo? Perché suoniamo a ballo?
Ognunə ha la propria storia da raccontare; l’unico elemento in comune è il proprio coinvolgimento all’interno del balfolk, quel fenomeno francese che a tutti noi affascina. A partire dal balfolk, si arriva al repertorio bretone, scandinavo e via via d’Europa e del Mondo. È un universo talmente variegato che non basta l’esperienza d’una vita per approfondire a dovere ogni singola realtà da cui nacque il repertorio che si balla; nessunə si aspetta che chiunque lo faccia, anzi. Ciò che ci si può aspettare, è un certo approccio al ballo e alla ballabilità musicale, in quanto si ha a che fare con un repertorio che attinge dalla tradizione (più o meno nuova, ma pur sempre intesa come tale) e che quindi prevede una serie di elementi che la caratterizzano.
Il ballo tradizionale è un repertorio nato dalle piazze, le feste di paese, ma non per questo è immediato da interiorizzare, per quanto possa sembrare universalmente accessibile. Parte dell’insegnamento d’una danza tradizionale comporta la trasmissione d’una passione, nonché della propria propensione a permettere la continuità d’un determinato repertorio. A partire dalla stretta relazione tra i ritmi e le cadenze intrinseci a quest’ultimo, l’aspetto meno accessibile e da coltivare è la necessità d’un ascolto attivo della linea melodico-ritmica.
Un ascolto attivo è ciò che gradualmente sta venendo a mancare - in alcuni casi si può intuirne il motivo, in altri non necessariamente; questo documento non sta a puntare il dito contro qualcunə, bensì a proporre una collaborazione circolare tra i corsi e chi suona localmente. La proposta si compone a partire dalla relazione tra la musica dal vivo, l’insegnamento e la continuità del ballo.
È da considerare quanta differenza abbia comportato il rinnovo e l’aumento di materiale registrato, all’interno di questo ambiente: più ne è aumentata l’accessibilità, più ad ogni realtà adibita a corso è stato dato modo di rinnovarsi nelle proprie playlist. Ben venga, ma a che costo?
Nel ballo libero il repertorio registrato odierno non determina dei limiti su come, quanto e in quanto tempo si possano approfondire una serie di danze. Approcciandosi all’ambiente del ballo, e confrontarsi direttamente con una modalità [a playlist rinnovabili] che può arrivare a soddisfare qualsiasi richiesta, potenzialmente il capriccio del momento, è più probabile che si non educhi all’ascolto, bensì ad un approfondimento del ballo solo a livello stilistico.
In parallelo, per quanto possa riguardare l’insegnamento, il repertorio registrato non dà modo di separare la linea melodica da quella ritmica, processo fondamentale per educare neofitə e non ad interiorizzare gli elementi che compongono un repertorio a ballo.
Se la musica registrata viene proposta sia nell’insegnamento che nel ballo libero, comporta o una continua ricerca di repertorio “nuovo” con cui aggiornare le proprie playlist - un repertorio con cui alcunə spesso non fanno in tempo a familiarizzare e/o conoscere, a seconda della regolarità della propria partecipazione ai corsi -, o una serie di brani che si ripetono a rotazione o in playlist chiuse, in modo ossessivo. A prescindere, si rischia di normalizzare il repertorio registrato, limitandolo a fonte d’intrattenimento - a mo’ di jukebox.
Considerare il ritorno della musica dal vivo all’interno dei corsi, in affiancamento all’insegnamento, è considerare un processo di trasmissione del ballo, della propria passione, e può stimolare ad un ascolto attivo. A partire dalla possibilità dellə insegnanti di avere dellə musicistə a cui chiedere delle specifiche tecniche (frazionamenti diversi del tempo, separazione della linea melodica da quella ritmica, approccio variabile al ballo, breve storia dei propri strumenti all’interno della tradizione), il confronto diretto porta lə musicistə o futurə musicistə a far pratica, mantenersi attivə e rinnovatə nel repertorio (rinnovando a catena il repertorio locale all’interno dei boeuf), con l’aggiunta d’un colpo ad effetto passando poi al repertorio registrato.
Sia che si intenda trasmettere un ballo o che si suoni, l’intenzione è quella di raccontarsi, nelle proprie esperienze, portando avanti una passione. La speranza è che questo racconto possa continuare/tornare ad essere condiviso tra le parti. Un proposito idealmente da mantenere.
Una riflessione rivolta ai corsi di “danze popolari” a tema prevalente balfolk, escludendo i corsi più storici ed incentrati sui balli tradizionali locali e del mondo, per il semplice motivo che spesso, negli anni, hanno avvicinato o fondato gruppi folcloristici che hanno mantenuto attiva la musica dal vivo, per quanto in quel caso sia spesso selettiva di repertorio.
Disclaimer fatto, cerchiamo di contestualizzare al meglio possibile la situazione attuale all’interno del mondo balfolk in Italia e la sua con l’esperienza estera: con la Francia come fonte da cui attingere e lasciarsi ispirare, con i festival in giro per l’Europa e le nuove tendenze musicali che stanno prevalendo, nell’era di quella che sembra essere una quarta generazione danzante.
Perché “generazione”? Perché a seconda dei periodi e delle più o meno sentite aspettative dellə partecipanti, tanti, se non maggior parte dei gruppi, si sono ripensati nella loro offerta di repertorio a ballo, soprattutto sul fronte musicale.
Evitando, almeno per il momento, di approfondire una per una le ipotetiche generazioni, queste si potrebbero sintetizzare presentandole come:
[… una per una le ipotetiche generazioni, i cui nomi sono stati creati ad hoc per rendere il più chiaro possibile questo ragionamento]
Origini - prima generazione: secoli di repertorio, di creazione, in cui balli e musica erano totale motivo di vita per i popoli; la musica ed il ballo come segno d’appartenenza ad un territorio, in parallelo alle arti minori
Revival - seconda generazione: l’affermazione del balfolk (anni ’70) in quanto genere macro insieme per identificare più repertori a ballo francese; ripresa e ricerca di territorio in territorio, direttamente dalla tradizionale orale, scritta e del ballo, a partire da quello che ne è rimasto; ricerca fine a se stessa e innovazione iniziano ad andare di pari passo, affermando un repertorio a ballo in parte strettamente tradizionale ed in parte non - rimanendo relegato alla tradizione di una zona, o gradualmente diventando universale nell’ambiente; lə pionierə del genere
Travellers - terza generazione: l’ambiente diventa un fenomeno, ballerinə e musicistə da tutta Europa iniziano a viaggiare per entrare in contatto con l’ambiente balfolk direttamente alla fonte; via via i festival si ingrandiscono, spesso ci si inizia ad affezionare a una zona, specializzandosi nel suo repertorio, per poi da lì (forse) partire ed andare ad approfondire altre regioni, a contatto con lə locali, tra paesi in festa e carovane di artistə; si inizia a creare repertorio musicale nuovo, d’ispirazione tradizionale portando al contempo la propria esperienza dai generi musicali di “nascita” o di “contaminazione”
Baby travellers - tra terza e quarta generazione: cambio generazionale nel proprio senso del termine, aggiungendoci le nuove leve degli ultimi quindici anni; non necessariamente parte degli “anni d’oro” del balfolk fino ai primi 2000, soprattutto a festival, ma pur sempre sulla falsa riga dei travellers nello spirito, facendosi ispirare dalla tradizione, rimanendoci in contatto
NeoWhat? - quarta generazione: spinta a creare repertorio musicale completamente nuovo, non necessariamente in contatto con il tradizionale, attingendo dai repertori più svariati, dalla world music al jazz, dal pop all’elettronica, facendo però prevalere questi ultimi anziché contaminare con essi il balfolk, come accade invece con lə travellers; il balfolk inizia ad essere considerato prettamente nel suo repertorio a ballo, specificamente nel suo repertorio universale, accompagnandolo con composizioni ispirate al frazionamento, alla ritmica del ballo in sé, non in relazione all’area o aree storicamente di provenienza di quest’ultimo; il palco si afferma indiscutibilmente come spazio dedicato allə artistə, al pari con maggior parte del resto dei generi musicali.
Eccezion fatta per la prima generazione, ormai andata, travellers, baby travellers, neo ed in parte pionierə sono contemporaneə, condividono (a seconda degli eventi) gli stessi spazi, ma con visioni spesso nettamente diverse riguardanti il balfolk in quanto universo musicale e danzante.
La domanda che facilmente si pone è:
Ambiente o comunità?
A partire dall’esplosione d’entusiasmo di ricerca, anche e soprattutto dall’estero, quello che inizialmente era pensato come repertorio a ballo rappresentativo di una zona ristretta viene presto allargato a più popoli, anch’essi spesso con un bagaglio culturale da condividere e dunque stimolando una condivisione circolare. Alla base del ballo tradizionale, quello che da subito affascina è il senso di comunità che inevitabilmente porta con sé, e che tuttora rimane uno se non l’elemento principale a conquistare chi ci entra in contatto.
Dalla realtà del paese rurale, si passa presto alle piazze delle grandi città, per poi portarsi sui palchi d’Europa e oltre. È un processo che non ha richiesto così tanto tempo per affermare il balfolk come genere internazionalmente riconosciuto, se si pensa che lə pionierə hanno iniziato a lavorar sodo a partire dagli anni ’60 e ’70.
La creazione a nuovo, a partire dall’interiorizzazione del tradizionale, ha portato quasi da subito a non solo riscoprire gli strumenti più antichi, quanto ancor più ripensarli a seconda delle necessità di ogni singolə musicista, allargando la ricerca alla liuteria, per ampliare e brevettare parti di alcuni strumenti musicali. Fino a qualche decennio prima, i suddetti erano sì affascinanti e protagonisti di molti repertori popolari, ma si erano andati gradualmente a perdere, non avendo una vera e propria forma compiuta a livello d’esecuzione, limitati nella loro gamma di note - spesso distribuite senza seguire una logica convenzionata. Con l’avvento di entrambi i conflitti mondiali della prima metà del Novecento, maggior parte di questi strumenti smettono di esistere in tante aree europee, lasciando il posto a strumenti più completi ed alla portata di più repertori musicali.
In questo contesto storico, al revival della musica tradizionale si deve la riscoperta e la riaffermazione di strumenti quali ghironda, fisarmonica diatonica, pifferi, bombarde, doppie ance a sacca, tambourin guascone e via dicendo, dando la possibilità di addentrarsi in un universo di suoni densi, caldi, aspri, voce di un popolo che grida di gioia e di fatica. Una voce comune che spesso risuona familiare pure oltre confine; una voce comune per una nuova e ritrovata tradizione da condividere.
Alla base dell’arte in generale, tanto più nello specifico musica e danza, l’obiettivo, più o meno implicito, è quello di raccontare e raccontarsi. Considerando il racconto come collettivo, non di unə singolə che spicca, il risultato è spesso a dir poco travolgente; la comunione di più esperienze, la spinta a creare a contatto con l’altrə, la danza a completare il momento, un bordone evocativo, un’impostazione semplice su cui poter modulare all’infinito, spazio dedicato a qualsiasi componente, canoro, danzante, strumentale; un rito, forza di una voce condivisa.
Di rito, però, non è tanto quello di cui si occupa il balfolk, per quanto ce l’abbia insito. D’un rito se ne deve tener presente la sacralità, quell’elemento aggiunto che per alcuni popoli il proprio repertorio porterà sempre con sé, ovunque si presenti, indiscriminatamente. Tutto ruota intorno ad uno scambio, in un continuo equilibrio tra dono e riconoscenza: ballo e musica vengono donati dalla terra di provenienza, per aver un punto di contatto con l’esterno; sta ai riceventi coglierlo come dono e passarlo oltre. Non risulta essere così utopistico o romantico, all’interno del balfolk, malgrado non si possa idealizzare, facendone una costante.
Scambio, dono - trasmissione, continuità. L’ambiente preso in causa è piuttosto atipico rispetto a molti altri generi a ballo, perché non prevede un regolamento, ha mille sfaccettature e varianti a seconda della zona di provenienza. È un macro insieme di tante piccole realtà, quindi difficile da approfondire con un denominatore comune; cercare di trasmetterne la qualunque, con lo stesso trasporto, è particolarmente difficile. È dato a molti trasmettere una sequenza di passi, una coreografia, una struttura da cui poter partire a comporre, ma aggiungerci il carattere, lo spirito, è ben altro discorso. Ci si può accontentare di pura forma, ma è inevitabile che così si vada gradualmente a normalizzare, perdendo poi completamente di significato.
Guidare, seguire - donare, ricevere. Punti di contatto che si innescano, a prescindere dal contesto d’incontro, ma che se applicati alla collettività, ad un gruppo di persone, richiedono la presenza di una o più figure guida. È il caso dei corsi a ballo, in particolare, in cui si presenta la necessità che alcunə si facciano “bussola” - guidare, non limitando la trasmissione del repertorio ad una sequenza di passi, di ritmo o melodie da memorizzare. Non è poca la fiducia che viene riposta nelle mani di chi si propone a trasmettere a favore dell’apprendimento di questo repertorio.
A seconda del colore, del contesto, delle emozioni che si fanno scaturire ed immaginare all’interno di questi percorsi, si ha più o meno modo di arrivare al cuore delle persone e farle sentire partecipi di quello che stanno sperimentando.
Negli ultimi anni, è cambiata molto la relazione tra musicistə e la sala, considerando il passaggio al palco, come spazio esclusivo dedicato allə artistə. Il palco, di per sé, è uno strumento scenico previsto da ormai secoli per offrire arte ad un pubblico, ma per un lungo periodo non lo è stato nel balfolk. Arrivando dalle piazze dei paesi, passando poi alle sale comunali/distrettuali, questo genere ha permesso allə musicistə di formarsi a stretto contatto con il pubblico danzante, apprendendo sul campo i limiti e le sfumature d’un determinato repertorio a ballo. A differenza di molti altri ambienti, la relazione tra musica e ballo è intrinseca, l’una non si fa valere senza il secondo, e viceversa; è proprio a partire da questo bisogno che è quasi prerogativa per chi suona immergersi nello spirito del ballo, prima ancora di proporsi con il proprio strumento al seguito. Questo processo è in continua definizione, una continua scoperta, che per un lungo periodo ha visto moltə artistə rimanere in mezzo alla folla, fondendosi con essa, animando il ballo. L’interazione diretta con lə ballerinə, determinava un’atmosfera unica, di condivisione alla pari, calpestando un suolo comune e facendone diventare un luogo d’incontro.
Al contempo, la transizione al palco ha comportato un maggior riconoscimento allə artistə, dando loro modo di costruire delle sonorità più complesse, armonizzandosi ancor più grazie ai mezzi d’amplificazione. Il perfezionamento del repertorio nacque anche e soprattutto a partire da questo graduale cambiamento, che vide maggior parte dei gruppi musicali prendere confidenza ed iniziare a proporsi pure in ambienti non a ballo. Dal punto di vista dellə musicista in carriera, va da sé che ciò abbia giocato particolarmente a favore della propria professione.
Da un lato, quindi, si deve considerare il bisogno di fondersi con lə ballerinə per creare un’atmosfera unica, a stretto contatto per costruire insieme, imparando dalle proprie esperienze; dall’altro, invece, si riconosce l’importanza d’un palco, d’uno spazio dedicato a chi suona, stimolando una ricerca del suono che senza il mezzo dell’amplificazione non sarebbe dato a tuttə gustare - senza considerare il riconoscimento aggiunto a livello professionale.
Ma è pur sempre da recuperare la questione che all’interno del balfolk musica e ballo sono una in funzione dell’altro. È inevitabile che, una volta affrontato il passaggio al palco, non si ritorni indietro; ma come si può ripensare la relazione con la sala?
Il palco, in questo contesto, non arriverà mai ad essere puro podio per lə artistə, da cui adorarlə ed incitarlə alla migliore performance di sempre. In maggior parte dei casi, lə musicistə in questione sono passatə dall’esser parte integrante della sala, in mezzo alla folla, a viverla in terza persona. Il palco, dal punto di vista dell’artista, può limitarsi ad essere un piano rialzato da cui osservare; osservare gli effetti che la propria musica stimola nellə ballerinə. Se lo stimolo non viene recepito e viene a mancare del tutto la comunicazione con la sala, l’evento si smonta, si limita a pura esecuzione. Viene a mancare uno scambio concreto, quella sensazione “di pancia” che si fatica ad esprimere a parole ma ch’è intrinseca a musica e danza in quanto arte. Di pura esecuzione si può alimentare chiunque, anche lə primə malcapitatə di passaggio, senza che si abbia bisogno di un contesto, di una storia, d’un’esperienza da raccontare. Non è possibile, però, limitarsi alla superficie, in un ambiente che, per quanto recente come revival del tradizionale (inteso come materiale di recupero, ripensato e coreografato a nuovo), ha pur sempre a che fare con il mantenimento d’una tradizione, più o meno nuova o antica che sia. Di pura esecuzione, non ci campa a lungo nessunə, non si avrebbe a che fare con un fenomeno che ormai ha pure sconfinato oltre Europa. Il carburante che ha permesso tutto ciò si compone in gran parte della relazione tra musicistə e ballerinə, del dialogo che ne nasce: si crea musica e il ballo prende forma; il ballo si perfeziona e la musica ci si adatta. È un flusso continuo di creazione comunitaria, in cui la conduzione ne è l’elemento protagonista, che sia dal palco alla sala o viceversa.
Affinché quest’esperienza si mantenga genuina, non ci si può limitare ad una sequenza di passi, una figura, uno spartito - è prerogativa investire, approfondire, condividere una passione. Una passione da coltivare, a partire dal dialogo tra artistə e ballerinə; un dialogo che sia il più possibilmente diretto, altrimenti una delle due parti ne va a perdere. Non può applicarsi a qualsiasi contesto, sarebbe pretendere troppo, ma tenerlo presente come obiettivo finale non nuoce, anzi. Se musicalmente viene a mancare ritmo, energia, cadenza, l’atmosfera nel ballo si spegne; viceversa, se da parte dellə ballerinə non c’è alcun ascolto, riscontro, armonia, chi suona si sente esclusə e fatica a motivarsi nella propria ricerca del suono.
La cultura è collettiva, non individuale.
Per dare un seguito ad un repertorio, bisogna prima di tutto considerare il contesto da cui arriva, senza limitarsi alla superficie, alla sequenza di note e passi, altrimenti si può tranquillamente parlare di appropriazione culturale.
Facilmente si presenta lo scoglio a livello organizzativo: “Quanto tempo o quanto ci si può permettere di approfondire, in base alle proprie esperienze dirette?” Non è una questione di limitarsi, di sentirsi inferiori, bensì di continuamente ricordarsi d’una fonte culturale primaria: non è una cultura che per nascita ci appartiene - a meno che non si sia natə e cresciutə in realtà tutt’ora attive in Francia - ma pur sempre che si può assimilare e alimentare col tempo. Nulla esclude che si possa prendere parte alla storia del balfolk dall’Italia, posto che ci sia rispetto nei confronti delle origini del repertorio che comprende. Estrapolare figure e coreografie da un genere tradizionale, per farne qualcosa di proprio, è possibile, ma non può essere spacciato per il repertorio da cui si ha attinto. Un conto è se un virtuosismo stilistico rimane personale e condiviso come tale, ma è ben diverso insegnare il ballo, presentato come tradizionale, con modifiche assimilate non dalla fonte diretta e apportate per vie traverse col tempo. Sia a livello musicale che nel ballo, ognuno è ovviamente libero di approfondire generi e stili diversi, però per farsi contaminare e dare una sfumatura aggiunta ad un repertorio che ha consolidato. La contaminazione esterna è stimolo ad ampliare la propria creatività, ben diversa dalla graduale transizione ad un genere che di balfolk mantiene solo il ballo come sequenza di passi e figure. Nel repertorio tradizionale, passi e figure non sono previsti isolati da ritmi, cadenze e sonorità ben specifici, inscindibili tra di loro.
È pur sempre da considerare che maggior parte del repertorio, a partire da suddetta fonte, non sia mai stato puramente codificato; tuttavia, essendo la ricerca partita dagli anni ’70 e considerando che le fonti più antiche che abbiamo appartengono a quel periodo, sia che è stato ricavato da quella ricerca è ciò che si può considerare tradizionale oggi. A distanza di poco più di 50 anni, andare a modificare detti balli può finire per danneggiare la “nuova” tradizione.
[da non confondere “nuova” tradizione con “NeoTrad”, concept ben poco chiaro, che per scelta personale non starò ad approfondire]
Il lavoro più importante (forse l’unico) è la trasmissione della passione e della curiosità nei confronti di questo genere poliedrico. Stimolare la curiosità delle persone a partire dalle basi del ballo, non è semplice, data la semplicità apparente delle sequenze e figure, ma è fondamentale, che si stia parlando di ballerinə fine a se stessə o ancor più futurə musicistə del genere. Solo a partire da una curiosità stimolata verso gli elementi fondamentali d’un ballo, si può gradualmente sperare in un ascolto attivo e conseguente coinvolgimento nel ballo e creazione in musica.
Un ascolto attivo, in un universo di balli con sequenze di passi generalmente semplici ma strettamente vincolati da cadenze ben marcate, è prerogativa, che si stia guidando o seguendo nel ballo, tanto più conducendo la linea melodico-ritmica (suonando).
Un ascolto attivo non si induce nelle persone, ma si può coltivare. Con linee melodico-ritmiche apparentemente semplici, spesso si rischia di provocare noia, soprattutto nellə neofitə, ma il repertorio è quello e se si vuole portare avanti un testimone si deve partire dalle basi.
Qualsiasi processo di creazione musicale è una continua messa alla prova dei propri talenti, in cui determinazione personale e confronto con l’esterno hanno un ruolo chiave. Nel caso particolare del balfolk, confronto, supporto e stimolo dall’esterno sono fondamentali per la continuità del repertorio - più sono i sottogeneri che si vogliono approfondire, più è necessario che musicistə e ballerinə si confrontino, condividendo dal vivo le proprie esperienze e nozioni al riguardo. Si ricordi che in questo ambiente si ha a che fare con un repertorio composto di ritmi, cadenze e sonorità ben specifiche, inscindibili tra di loro e intrinseche al ballo ed agli strumenti tradizionali. Ne consegue la necessità che lə musicistə facciano pratica imparando a ballare e mettendosi in relazione con il ballo, prima ancora che lə stessə possano arrivare a proporsi con un prodotto finito da mettere in commercio. Arrivando alla registrazione, un prodotto finito è solo una testimonianza della propria ricerca; può essere una meta da raggiungere, ma non sarà mai un capolinea. Per quanto una registrazione in studio possa avere una resa armonica più raffinata, dal vivo musicistə e ballerinə si confrontano, entrano in dialogo, creando assieme a nuovo. Il distacco tra musica dal vivo e registrata si fa spesso sottile, essendo l’una il processo di ricerca in vista della seconda.
Con una registrazione ci si presenta e si evoca un ricordo; dal vivo ci si confronta e contamina.
Petizione a favore del ritorno della musica dal vivo all’interno dei corsi a ballo.
Carə tuttə,
Perché balliamo? Perché suoniamo a ballo?
Ognunə ha la propria storia da raccontare; l’unico elemento in comune è il proprio coinvolgimento all’interno del balfolk, quel fenomeno francese che a tutti noi affascina. A partire dal balfolk, si arriva al repertorio bretone, scandinavo e via via d’Europa e del Mondo. È un universo talmente variegato che non basta l’esperienza d’una vita per approfondire a dovere ogni singola realtà da cui nacque il repertorio che si balla; nessunə si aspetta che chiunque lo faccia, anzi. Ciò che ci si può aspettare, è un certo approccio al ballo e alla ballabilità musicale, in quanto si ha a che fare con un repertorio che attinge dalla tradizione (più o meno nuova, ma pur sempre intesa come tale) e che quindi prevede una serie di elementi che la caratterizzano.
Il ballo tradizionale è un repertorio nato dalle piazze, le feste di paese, ma non per questo è immediato da interiorizzare, per quanto possa sembrare universalmente accessibile. Parte dell’insegnamento d’una danza tradizionale comporta la trasmissione d’una passione, nonché della propria propensione a permettere la continuità d’un determinato repertorio. A partire dalla stretta relazione tra i ritmi e le cadenze intrinseci a quest’ultimo, l’aspetto meno accessibile e da coltivare è la necessità d’un ascolto attivo della linea melodico-ritmica.
Un ascolto attivo è ciò che gradualmente sta venendo a mancare - in alcuni casi si può intuirne il motivo, in altri non necessariamente; questo documento non sta a puntare il dito contro qualcunə, bensì a proporre una collaborazione circolare tra i corsi e chi suona localmente. La proposta si compone a partire dalla relazione tra la musica dal vivo, l’insegnamento e la continuità del ballo.
È da considerare quanta differenza abbia comportato il rinnovo e l’aumento di materiale registrato, all’interno di questo ambiente: più ne è aumentata l’accessibilità, più ad ogni realtà adibita a corso è stato dato modo di rinnovarsi nelle proprie playlist. Ben venga, ma a che costo?
Nel ballo libero il repertorio registrato odierno non determina dei limiti su come, quanto e in quanto tempo si possano approfondire una serie di danze. Approcciandosi all’ambiente del ballo, e confrontarsi direttamente con una modalità [a playlist rinnovabili] che può arrivare a soddisfare qualsiasi richiesta, potenzialmente il capriccio del momento, è più probabile che si non educhi all’ascolto, bensì ad un approfondimento del ballo solo a livello stilistico.
In parallelo, per quanto possa riguardare l’insegnamento, il repertorio registrato non dà modo di separare la linea melodica da quella ritmica, processo fondamentale per educare neofitə e non ad interiorizzare gli elementi che compongono un repertorio a ballo.
Se la musica registrata viene proposta sia nell’insegnamento che nel ballo libero, comporta o una continua ricerca di repertorio “nuovo” con cui aggiornare le proprie playlist - un repertorio con cui alcunə spesso non fanno in tempo a familiarizzare e/o conoscere, a seconda della regolarità della propria partecipazione ai corsi -, o una serie di brani che si ripetono a rotazione o in playlist chiuse, in modo ossessivo. A prescindere, si rischia di normalizzare il repertorio registrato, limitandolo a fonte d’intrattenimento - a mo’ di jukebox.
Considerare il ritorno della musica dal vivo all’interno dei corsi, in affiancamento all’insegnamento, è considerare un processo di trasmissione del ballo, della propria passione, e può stimolare ad un ascolto attivo. A partire dalla possibilità dellə insegnanti di avere dellə musicistə a cui chiedere delle specifiche tecniche (frazionamenti diversi del tempo, separazione della linea melodica da quella ritmica, approccio variabile al ballo, breve storia dei propri strumenti all’interno della tradizione), il confronto diretto porta lə musicistə o futurə musicistə a far pratica, mantenersi attivə e rinnovatə nel repertorio (rinnovando a catena il repertorio locale all’interno dei boeuf), con l’aggiunta d’un colpo ad effetto passando poi al repertorio registrato.
Sia che si intenda trasmettere un ballo o che si suoni, l’intenzione è quella di raccontarsi, nelle proprie esperienze, portando avanti una passione. La speranza è che questo racconto possa continuare/tornare ad essere condiviso tra le parti. Un proposito idealmente da mantenere.
Buona continuazione in danza e in musica!!
Jasper Stewart, "Perché suoniamo a ballo?" - Petizione a favore del ritorno della musica dal vivo all'interno dei corsi a ballo, (Maggio 2024)