Abstract
Due casse (boxes) vengono posizionate una vicina all’altra ma distanziate. All’interno vi sono due persone, le quali rimarranno “custodite” nella propria cassa per circa una settimana, senza mai uscire. I performer possono comunicare con l’esterno attraverso cassetti fisici e sistemi digitali ma non possono interagire fisicamente con il pubblico né tra di loro. In particolare, uno dei due performer, interagirà con l’esterno realizzando incisioni a punta secca attraverso un robot. La performance artistica ha una forte valenza simbolica: nella complessità della società moderna la tecnologia modifica profondamente la nostra quotidianità: da una parte potenzia la comunicazione espressiva; dall’altra tende a isolare il soggetto.
Keywords: Intelligenza artificiale, arte robotica, arte generative, algoritmo, boxes
Background
Malgrado la società moderna faccia un uso massiccio delle tecnologie di comunicazione, l’essere umano fa spesso esperienza di un isolamento sociale. Le boxes oggetto della performance, elementi tecnologici, sistemi osmotici che filtrano e trasformano le informazioni in input e output, generano isolamento e una sorta di deprivazione sensoriale. Le due boxes hanno la funzione di stigmatizzare tale condizione. La simbologia non è di per sé negativa; esprime solo una condizione post-moderna dell’essere umano, in cui egli entra in simbiosi con la tecnologia, fino al punto di modificare i paradigmi della comunicazione sociale. D’altronde la tecnologia comunicativa è anche un’opportunità; essa ha prodotto e continuerà a produrre nuovi livelli di astrazione che incrementano le modalità espressive e le percezioni. Se agli inizi del novecento, nella società e in ogni classe sociale, il centro nevralgico della comunicazione era rappresentato da esperienze aggregative semplificate in cui semplicemente si discorreva attorno a un fuoco o all’interno di una stalla, oggi il “far filò[1]” si è arricchito di strumenti.
L’utilizzare le boxes come strumenti artistici simbolici garantisce un impatto visivo ed emotivo sul pubblico. Il motivo principale deriva dal fatto che le boxes, bloccando ogni contatto del performer con il pubblico (che può letteralmente toccare le boxes), rimandano all’esperienza della deprivazione e della detenzione.
Le scatole non sono forme nuove nella storia dell’arte. L’artista Waltraud Lehner, sperimentando con la libertà di gestione del corpo, nel 1968 permetteva ai fruitori di infilare le mani nella scatola che ricopriva il suo corpo per pochi secondi (Touch Cinema).
Fig. 1. Waltraud Lehner durante una performance pubblica.
Negli stessi anni, Vito Acconci si è infilato sotto una sorta di bassa pedana, sufficiente solo a contenere il suo corpo disteso, mentre il pubblico camminava al di sopra ascoltando le sue fantasie sessuali.
Ma forse chi, più di ogni altro, fece della deprivazione un potente strumento comunicativo fu Tehching Hsieh. Nel 1978 rimase volontariamente rinchiuso in una sorta di prigione scatola di 3.5 x 2.7 x 2.4 m.
Fig. 2. Cage Piece: performance di Tehching Hsieh.
Hsieh voleva stigmatizzare le costrizioni della vita quotidiana attraverso l’impatto amplificante che derivava dalla consapevolezza del pubblico che la performance durava un anno intero.
Il mio intento espressivo si distanzia dai messaggi artistici degli esempi descritti, sia per significato che per modalità. Innanzitutto non vi è alcun messaggio provocatorio. Il fatto che le tecnologie digitali abbiano modificato le nostre modalità comunicative e i meccanismi di aggregazione è un dato di fatto. Nessuna denuncia perciò. Come ho evidenziato con approccio scientifico e sistematico nei miei saggi[2], l’uomo è legato a un tecnodestino che lo contraddistingue dalle altre specie animali. Ciò non è né un bene né un male; è una constatazione.
Le boxes perciò rappresentano in modo ironico e semplificato per rappresentare un uomo e la sua vita comunicativa. Contengono la mia passione per la robotica e la produzione artistica robotica, la percezione dell’isolamento come individuo, la sensazione di “produrre idee” in solitudine in mezzo al fluire della società che circonda.
La performance
La performance consiste nell’impiegare due “scatole” di dimensioni sufficienti per ospitare ognuna una persona per un periodo di una settimana. Le scatole vengono poste a una certa distanza l’una dall’altra ma all’interno di uno spazio espositivo.
Le scatole possono essere viste e letteralmente toccate dai visitatori. All’interno, i due artisti trascorreranno l’intera settimana senza comunicare fisicamente con l’esterno. Potranno infatti comunicare solo digitalmente o scambiando materiale attraverso un sistema di “cassetti”.
Un componente non secondario della performance è la presenza di un robot antropomorfo
Il robot impiegato per la performance consiste in un robot collaborativo dotato di un un’intelligenza artificiale “guidata” dall’artista situato all’interno di una delle due scatole: un algoritmo sviluppato per imitare la gestualità di un ritrattista.
Il robot è in grado di dipingere ad acquarello, ma per la performance si realizzeranno delle lastre incise con tecnica a “punta secca”.
[1] Termile dialettate che indica il “parlare del più e del meno”, ripreso recentemente e modernizzato da Marco Paolini (https://www.jolefilm.com/spettacolo-teatrale/filo-filo/).
[2] L’anima delle machine, Dedalo Ed. 2016 e La mente liquida, Dedalo Ed., 2018