Figlio unico

01. -Incipit-

Oggi, 1 gennaio 2021, solennità che celebra la Gran Madre di Dio, e giornata della Pace, prego che Maria possa guidarmi a condividere quanto del mio vissuto, può confortare, nei conflitti interiori ed esteriori, ciascun mio lettore.

Ho l'età in cui si lascia la vita attiva e più di uno ritiene di poter fare un bilancio della propria vita o scrivere delle memorie; una mia parente si è dedicata a ricerche genealogiche sulla nostra famiglia. Ricerca fatua, sterile riempimento di caselle...

Non credo di aver voglia di scrivere del passato, ma del futuro; non mi appagherebbe una rievocazione nostalgica o addirittura fatta di recriminazioni.

Nella mia povertà che spero rimanga dignitosa, sebbene non ci sia più uno stipendio e la pensione si sia ridotto da "appannaggio" buono per vivere in paradisi tropicali, in mera indennità di sussistenza, mi riscopro finalmente ricco di tempo per riflettere.

Non vivo di ricordi ma di speranze e sto per raccontare non il mio passato ma il futuro. Non voglio memorie ma sogni, perché anche un vecchio inutile pu sognare e non è mancanza di realismo.

I carismatici definiscono questo miracolo come "guarigione della memoria".

Conosciamo le categorie della psicologia: traumi, rimozioni, complessi, che deformano la personalità autentica.

L'introspezione apre ad esperienze di consapevolezza che risveglia l'umanità rattrappita.

Ma esiste anche una definizione artistica di genio, che nasce dalla sublimazione delle frustrazioni.

Un tempo fantasticavo sul possibile titolo di un'autobiografia e sempre ho sentito irrinunciabile il titolo di "Figlio unico" e non avrei saputo spiegare cosa me lo faceva sentire appropriato. Ora mi appare più chiaro, perché "unico" allude ad una natura solitaria in senso doloroso, quello di sentirsi emarginato, ridicolizzato; forse dietro c'è anche una dinamica edipica: morbosamente legato alla mamma e impaurito dalla figura paterna.

Mi è rimasta nella memoria di bambino l'invidia per un coetaneo che il papà si spupazzava con acrobazie e che rideva felice abbandonato fiducioso a quei giochi.

Ero ripiegato su me stesso e questo accartocciamento è diventato sempre più acuto nel procedere dall'infanzia all'adolescenza.

Le mie narrazioni non sono invenzioni ma neppure realtà e credo di poter spiegare l'entusiasmo che anima il racconto con una metafora: non mi sento succube della dimensione temporale che è ineluttabile nel segnare il passato, piuttosto sono fuori del tempo e la vita è come un dipinto che l'artista può contemplare e sublimare in ogni fase, per cui anche il passato è "contemporaneità" che si rivive aprendola ad ogni possibilità -forse mi suggestionano le teorie sugli "universi paralleli"-; perfino le vicende trumatiche, che tanti preferiscono rimuovere, con questo spirito possono essere riscattate e diventare liberatorie. Neppure rimpianti e nostalgie diventano opprimenti.

Concludo l'introduzione con un aforisma "non fummo fatti per viver come bruti... e neppure per essere brutalizzati!".

Da quanto già scritto, colgo la necessità di creare dei capitoli.