24 aprile 2020

Essere volontario: la gioia di dire sì

“Volontariato = prestazione volontaria e gratuita della propria opera, e dei mezzi di cui si dispone, a favore di categorie di persone che hanno gravi necessità e assoluto e urgente bisogno di aiuto.”

- Treccani -


Personalmente posso in parte concordare con questa definizione, ma penso di voler andare un po’ più a fondo nella questione. Il tema è molto ampio, si può scegliere di essere volontari per mille motivi diversi e in mille modalità diverse. Non ce n’è una giusta e una sbagliata, io vi illustrerò semplicemente il mio punto di vista, e la ragione per la quale secondo me vale la pena fare questa scelta.


Diversi modi di fare volontariato

Nelle piccole e varie esperienze di volontariato che ho fatto mi è capitato più volte di sentirmi inutile. Spesso all’inizio partivo con una grande aspettativa e poi invece mi rendevo conto che ce l’avrebbero fatta benissimo anche senza di me; volevo fare tante cose pratiche perché era nel concreto che la mia utilità diventava tangibile.

C’erano però altri aspetti ancora a me sconosciuti, come banalmente riuscire a spendere un po’ del proprio tempo con un’altra persona, a chiacchierare o ad ascoltare.

Quando ci propongono di fare un’esperienza di volontariato ci concentriamo fin da subito sul cosa potremmo fare per l’altro, quando forse ogni tanto sarebbe meglio prima chiedersi perché e come scegliamo di esserci per l’altro.


FARE il volontario o ESSERE volontario

“Perché fai la volontaria? Per gli altri o per te stessa?” Spesso mi sono posta questa domanda, ed oggi mi risponderei: “probabilmente per entrambi”.

Io penso che ci sia una leggera differenza tra scegliere di FARE il volontario o SENTIRSI volontario. Nel primo caso probabilmente il fine è quello di prendersi l’impegno di andare a fare qualcosa per qualcuno, così da sentirsi gratificati e felici di aver fatto una buona azione verso gli altri. Anche nel secondo caso si può provare un sentimento simile, ma forse più maturo, perché le due ore passate alla casa di riposo o al doposcuola con i bambini non rimangono solamente un impegno settimanale, come potrebbe esserlo anche l’allenamento di pallavolo (senza nulla togliere agli sportivi), ma diventano un modo di vivere il mondo.

Ecco perché io scelgo di essere volontaria, perché questa scelta mi spinge e mi sprona ogni giorno a stare al mondo con gli occhi e le orecchie aperte, con la gioia di dire eccomi, e con la voglia di essere disponibile anche quando magari sono stanca o ho mille altre cose da fare.

Con il tempo ho capito anche che essere volontari vuol dire crescere donando, ma rimanendo in un rapporto alla pari. Non sono io che do il piatto di minestra a chi non ce l’ha, gli sorrido e me ne vado, ma sono io che gli do il piatto, mi siedo a tavola con lui e, al massimo delle mie capacità, provo ad infondergli tutta la gioia e la speranza che la vita, fortunatamente, mi ha regalato. La cosa più importante e forse anche la più difficile, è proprio quella di riuscire a mantenere, nell’atto d’aiuto, lo stesso livello dell’altra persona. Non porsi dall’alto verso il basso, arrogantemente, non provare pietà, ma ricordarsi che l’altro è persona tanto quanto me, e la sua dignità vale quanto la mia, anche se io dormo in un letto e lei sopra un cartone in un angolo di Piazza Dante. Ed è allora che il rapporto con l’altro diventa uno scambio reciproco, di genuina sincerità.

Quando rivedo la mia esperienza personale penso proprio a questo scambio, ricco di amore e di attenzione tra persone. Quando rinunciamo a qualcosa che magari in quel momento sembrava essenziale, scegli di andare a dare una mano senza aspettarti nulla in cambio e invece, inaspettatamente, un bambino che ci ha visto per la prima volta nella sua vita il giorno prima e che possiede a malapena una casa, ci corre incontro con degli occhi pieni di speranza e con un sorriso gigante, ci rendiamo realmente conto che se basta così poco per ricevere così tanto amore da non riuscire a contenerlo nel tempo di un attimo, potremmo non essere più in grado di smettere.

Ognuno ha il suo posto nel mondo

A volte mi sono chiesta se il mio aiuto potesse essere più fruttuoso qui in Italia oppure dove c’è più necessità.

Ad oggi direi che, se in posti come l’Africa magari c’è più bisogno, questo non vuol dire che qui non ce ne sia; sono anche convinta però che ognuno abbia il suo posto nel mondo, e il suo tempo per ogni cosa.

Se una persona vuole andare in Repubblica del Congo perché pensa che solo così potrà essere d’aiuto, non bisogna dirgli “Perché? Pensi di salvare il mondo in questo modo?”, ma si deve lasciarglielo fare. Probabilmente dopo neanche un giorno si accorgerà che la sua partenza di certo non ha salvato il mondo, e che lo stesso aiuto lo avrebbe potuto dare anche stando nel proprio stato, ma si vede che il posto giusto per lei in quel momento era quello.

Se, viceversa, una persona pensa che andare a trovare la madre che è sola sia il suo modo di donarsi all’altro, non deve sentirsi dire “Beh ma è tua madre, non è che fai un grande sforzo!”, perché magari se non ci fosse andata lei non ci sarebbe andato nessuno, e sua madre si sarebbe sentita sola tanto quanto la vecchietta in Repubblica del Congo.


E allora mi sento di concludere sottoscrivendo la risposta che un giorno qualcuno mi diede mentre mi stavo chiedendo se stessi facendo abbastanza per gli altri: NON QUANTIFICARE, mi disse. Se ci si pensa è vero, nel proprio atto da volontario non è importante quanto tempo si dà, quanto lavoro si fa, se è abbastanza oppure no.

La cosa veramente importante è volerlo fare non solo egoisticamente per gratitudine personale, e chiedersi ogni volta perché lo si fa, cosa ci spinge a fare questa scelta di vita.

Personalmente, spero di riuscire a farla ogni mattina quando mi alzo dal letto, e lo auguro anche a voi, perché è veramente un grande regalo.


Emanuela Wolynski

emanuela.wolynski@gmail.com