26 febbraio 2021

Odio razziale contro gli asiatici in america



La diffusione della pandemia per il covid-19 ha dato vita, tra le altre cose, a un’ondata di razzismo contro gli asiatici, in particolare in America, di cui si discute poco. Tra marzo 2020 e febbraio 2021 sono stati registrati all’incirca 3800 casi di bullismo, razzismo e aggressioni in varie forme nei confronti di asioamericani. Tra questi episodi, secondo lo Stop AAPI Hate, organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di annotare episodi di discriminazione, odio e xenofobia verso asioamericani e isolani del Pacifico negli Stati Uniti, 2100 sono avvenuti tra marzo e giugno 2020.

Moltissimi sono gli episodi di aggressioni nei confronti di anziani: nel luglio scorso a Brooklyn due uomini hanno picchiato e dato fuoco ai vestiti di una 89enne (da qui nasce il movimento #TheyCantBurnUsAll), nel gennaio 2021 a San Francisco l’84enne thailandese Vicha Ratanapakdee viene spinto a terra riportano ferite che lo portano alla morte, pochi giorni dopo a Oakland a Chinatown un 91enne viene brutalmente aggredito e gettato a terra mentre camminava per strada, a febbraio a Manhattan Noel Quintana, 61enne filippino, viene aggredito nella metropolitana. Questi sono solo alcuni esempi di aggressioni nei confronti di quella che è la classe sociale fisicamente più debole della popolazione, ovvero gli anziani.

Uno degli attacchi verso asioamericani più recenti è quello del 16 marzo, in cui vennero uccise 8 donne in 3 sale massaggi nei pressi di Atlanta; le forze dell’ordine hanno dichiarato di non poter definirlo con certezza un crimine dettato dall’odio razziale.

Per contrastare questi episodi d’odio, nell’ottobre 2020 venne istituita la “Asia hate crime task force”, che ha tuttavia creato una divisione interna alla comunità asiatica, in cui convivono opinioni contrastanti nei confronti della polizia.

La brutalità della polizia e la retorica d’odio nei confronti degli asiatici, così come verso quasi tutte le minoranze presenti in America, non è certo qualcosa che dovrebbe passare inosservato. Lo Stop AAPI Hate reporting center (gestito dallo Stop AAPI Hate) ha recentemente evidenziato come il bullismo e l’odio razziale verso gli asioamericani siano talmente normalizzati negli States che la gente ha smesso di parlarne, facendo in modo che certi avvenimenti passino inosservati senza creare dibattiti o suscitare scalpore.

L’ex presidente Trump non ha di certo cercato di contenere quest’ondata d’odio, ma l’ha incrementata con la propaganda e la retorica, chiamando ad esempio il covid-19 “china virus”, “Wuhan virus” o “Kung flu”.

Questa retorica ha preso il sopravvento anche sui social: lo Stop AAPI Hate ha riportato come, negli 8 mesi che hanno preceduto le ultime elezioni americane, all’incirca 1 su 10 tweets riguardanti gli asioamericani contenevano ideologie razziste. Questa retorica anti-asiatica è usata frequentemente dai politici: molti di questi tweets infatti provenivano da repubblicani, che volevano incolpare la Cina (e più in generale i cinesi) per la pandemia.

Se si pensa però che questo sia un fenomeno recente si fa un grande errore: l’odio nei confronti degli asiatici è presente negli Stati Uniti fin dalla loro fondazione. Tra la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 infatti si diffuse l’idea di “yellow peril”, pericolo giallo, che vedeva gli est-asiatici-americani come una minaccia per i nativi, in quanto considerati una “razza sporca”. Nell’800, a causa della povertà, moltissimi cinesi migrarono in USA e trovarono lavoro nel settore delle infrastrutture, portando al diffondersi dell’ideologia che stessero rubando lavoro agli americani. Nel 1882 abbiamo il “chinese exclusion act” che limitava l’immigrazione in relazione all’etnia, incrementando il razzismo e la propaganda riguardo la poca igiene e pulizia dei cinesi. Di conseguenza, tra gli anni ’70 e ’80 dell’800 ci furono circa 150 sommosse anti-asiatiche, che portarono a diversi episodi di xenofobia anche all’inizio del ‘900. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’incarcerazione di migliaia di giapponesi (anche di seconda o terza generazione, o cittadini naturalizzati americani) dopo l’attacco di Pearl Harbor venne giustificato con il fatto che non si erano dimostrati abbastanza fedeli all’America (e questo vale anche per coloro che nella Prima Guerra Mondiale avevano servito nel 422° reggimento di fanteria). Nel 1965 assistiamo a una parziale inversione di rotta: venne redatto l’Immigration Act, che permise a molti asiatici di migrare in America, ma su un sistema meritocratico portando a una comunità di immigrati in prevalenza appartenenti ai ceti più abbienti. In America si diffuse l’idea di una società con individui con abilità sopra la media, che eccellevano in diversi campi. Nel 1982 abbiamo quello che è l’evento che ha fatto nascere l’attivismo contro i crimini d’odio razziale: Vincent Chin, cinese-americano, stava festeggiando il suo addio al celibato quando due uomini lo uccisero. All’epoca Detroit era luogo di una crisi del settore americano delle auto, mentre procedeva bene quello giapponese, così i due lavoratori, scambiando Chin per un giapponese, lo uccisero incolpandolo della crisi del loro settore, portando a un aumento di proteste per dare visibilità a questo genere di crimini dettati dall’odio, che tuttavia non diminuirono. Dall’attacco alle torri gemelle nel 2001, negli USA abbiamo una crescita di crimini dettati dalla ricerca di vendetta verso Hindu, arabi, Sikh e sud-asiatici, che da allora sono perseguitati; da notare come questi reati non siano diminuiti con gli anni, ma continuano fino ad oggi.

Nonostante ciò, sin dall’Immigration Act, si diffonde sempre più il preconcetto degli immigrati asiatici come individui particolarmente intelligenti , arrivando a quello che il sociologo William Petersen chiamò “model minority”, stereotipo per cui i membri di una minoranza demografica sono visti come destinati a raggiungere un livello d’istruzione più alto e un successo socioeconomico maggiori della popolazione media.

Ancora oggi, in America la comunità asiatica viene vista come una comunità formata da individui con un alto livello d’istruzione e quindi che guadagnano più di un americano medio, tuttavia, quella asiatica è la minoranza presente in America con il maggior divario per quanto riguarda il reddito: il 10% più abbiente degli asioamericani guadagna 10.7 volte di più del 10% più povero (gli individui che non parlano inglese sono più poveri e meno istruiti di coloro che conoscono la lingua). Allo stesso tempo, all’interno della comunità asiatica abbiamo differenze per quanto riguarda l’istruzione legate al Paese d’origine: il 72% dei coreani-americani tra i 18 e i 24 anni sono iscritti al college, ma solo il 44,3% dei filippini.

Il grandissimo problema che affligge la comunità asioamericani e che non permette di superare i pregiudizi legati all’etnia è proprio la mancanza di informazione: associare degli asiatici con la diffusione di malattie, incolparli della crisi durante periodi di scarsità economica, l’affermarsi del model minority portano ancora oggi moltissimi cittadini a dover difendersi sottolineando la loro appartenenza al luogo in cui vivono, ma raramente questa realtà viene raccontata alla popolazione.


Carolina Broll


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