12 marzo 2021

METTI UN PO' DI MUSICA LEGGERA, ANZI LEGGERISSIMA


Alla ricerca di ispirazione, un barlume di passabilità per un argomento degno della firma “Il Cardellino”. Ebbene i temi da trattare sono infiniti, i miei interessi si avvicinano alla definizione del tutto, ma la vaghezza che mi assale in questi giorni è come una pugnalata alle spalle. No, non parlo del buon vecchio vago e indefinito leopardiano, ma dell’entusiasmo che a quanto pare si sta omologando all’apatia data dalla conformità dei miei giorni tinti di blu, colore complementare alla zona in cui il mio comune risiederà fino a lunedì. In questo contesto particolarmente vivace, la mia mente vaga (non dovrei abusare di questo termine) alla ricerca di un qualcosa con il quale definirsi, un'ancora di salvezza per il solo fastidio che mi travolge ultimamente -e mi ritengo fortunata che si tratti solo di questo- ovvero la noia.


Come concentrarsi su delle lezioni poco stimolanti se il proprio umore è ugualmente colorito? Forse in questi casi è meglio compiere una scelta saggia quanto radicale. Premere quel pulsante rosso (oppure blu?) “Lascia riunione” che il nostro buon vecchio Zoom ci rende visibile. Se la concentrazione non è sufficiente per resistere ad alberi di refutazione e analisi sintattica si può scegliere di impiegare il proprio tempo in altro modo per poi recuperare quello che si dovrebbe imparare in un momento diverso. Così lascio la lezione per la prima volta nel semestre e cerco di fare qualcosa che stimoli il mio stato d’animo.

Osservando il comportamento di amici e conoscenti scopro che la condizione corrente della maggior parte dei miei coetanei post sessione invernale è la stessa: voglia di fare qualcosa, ricerca del sé, stanchezza per una situazione che ci sovrasta da ormai un anno compiuto e senso del dovere e del rispetto. Tutto questo è umanamente comprensibile, e credo che il rispetto delle norme e delle regole impostoci sia vissuto con particolare attenzione da una buona parte di popolazione universitaria. Sembra che i giovani siano la causa della continua alimentazione del contagio da Covid, o almeno questo è il ritratto che dipingono quotidianamente i telegiornali.

La visione del singolo purtroppo è sempre ristretta, limitata alle proprie esperienze, alla cerchia dei propri conoscenti, per questo la mia affermazione non può che ritenersi una percezione, ma tra i giovani che conosco, pochi sono quelli che prestano scarsa attenzione alla situazione corrente, minimizzando i rischi di far proseguire il contagio. Certo noi universitari siamo una fascia di popolazione privilegiata, i sintomi della malattia non sono solitamente così pesanti rispetto a quelli riscontrati da persone meno giovani, spesso, vivendo nelle case dei genitori non dobbiamo affrontare grossi problemi economici, anche se questo dipende dal singolo caso. Nonostante questo, quello che la pandemia sta modificando maggiormente in questa fascia di età è la possibilità di sognare. L’idea di un futuro che non si concretizza, un avvenire così indeterminato da sembrare nebbia, introduce nelle vite di tutti un senso di instabilità. L’ordine delle cose, che probabilmente non esiste, sembra ancora più utopico in un momento storico dove l’unica certezza è una mascherina color pastello. Ripeto, i problemi dei giovani non risultano maggiori di quelli di altre generazioni durante la pandemia, ma feriscono su un punto cruciale: la prospettiva futura. Se la percezione che la situazione non possa cambiare nei prossimi anni, se non per qualche spiraglio di luce estiva, come si può pensare a costruire un progetto di vita futuro? Fino a poche ore fa non sapevo di quale colore sarebbe stata la mia regione a partire da lunedì. L’ultima volta che ho salutato i miei compagni di università ci siamo detti incerti “alla settimana prossima? Forse a tra un mese”.


Instabilità e futuro. Un punto esclamativo e uno di domanda. E ci si pensa, ma non troppo, tanto per non rendere il tutto più insopportabile. Una volta laureati? Ci sarà un’azienda, un concorso, un bando che sarà pronto ad accoglierci a braccia aperte?

E i problemi veri sono altri: morti e malati ogni giorni, la curva epidemica che non cala. Il senso di indefinitezza non è che una lieve conseguenza di una situazione apocalittica che stiamo imparando a vivere. Scusate lo sfogo, gli alberi di refutazione mi hanno dato alla testa.

Ma non che abbia voglia di fare qualcosa oggi.

Quindi accendo la tv, “Sanremo 2021”. L’Italia non è altro che un paese di canzonette mentre fuori c’è la morte - touché Willie (o forse dovremmo dire Boris). Eppure queste canzonette sono il distraente perfetto per l'entusiasmo smorzato. Magari mi ci metto anche io a scrivere due accordi stonati.


Il titolo dell’articolo l’ho scelto, soprattutto perché ormai è mainstream: “Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente”. Sì ora devo solo scrivere un testo che ci si colleghi. E poi forse è un po’ vero, non ho voglia di niente, o probabilmente di tutto. Si parlava di indefinito? Eccolo il vostro articolo e ora torno a Colapesce perché ho voglia di musica leggera, anzi no, leggerissima.



Letizia Chesini


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