26 febbraio 2021

Le passanti che non siamo riusciti a trattenere

Giacomo Leopardi scrisse nel suo Zibaldone: “Le parole irrevocabile, irremeabile e altre tali, produrranno sempre una sensazione piacevole (se l’uomo non vi si avvezza troppo), perché destano un’idea senza limiti, e non possibile a concepirsi interamente. E però saranno sempre poeticissime: e di queste tali parole sa far uso, e giovarsi con grandissimo effetto il vero poeta.” In queste parole, Leopardi illustra la sua teoria sul “vago e l’indefinito” che caratterizza gran parte della sua poesia, basti pensare all’idea di indeterminatezza che dà nell’Infinito, o anche quando evoca l’immagine della luna, delle stelle, della notte, dolce, chiara e senza vento, del vento che fruscia tra le foglie o di un’alba scorta in lontananza. Eppure, la poetica del “vago e dell’indefinito” non si limita esclusivamente a immagini fisiche, ma va oltre: di essa fanno parte anche i ricordi, soprattutto quelli legati all’infanzia e alla giovinezza, proprio perché i loro contorni sono più sfumati; ne fanno parte le speranze per il futuro, che non è ancora determinato, e anche i rimandi ad un passato antico, affascinante proprio perché non ne si sa nulla. Le osservazioni di Leopardi, inaspettatamente, hanno colto nel segno: studi neuroscientifici affermano che quando, facendo uso di immagini dai contorni incerti, viene lasciato spazio all’immaginazione, l’effetto ottenuto piace molto di più perché stimola di più il lettore (o l’osservatore), spingendolo a riempire i vuoti. Come diceva Calvino, “In letteratura sono più importanti le cose non dette”: perché, in fondo, il compito di poeti, scrittori e artisti non è di essere il più oggettivi e analitici possibile (per quanto ne possano dire Realisti e Veristi), ma di muovere l’animo di chi usufruisce delle loro opere e, per farlo, non hanno bisogno di raccontare ogni singolo dettaglio.

Nell’arte, un perfetto supporto alla poetica leopardiana è portato da questo quadro del pittore americano Edward Hopper, “Western Motel”. Hopper è conosciuto per gli spazi vasti e anonimi che rappresentava e per i silenzi sovrumani in cui sono immerse le sue opere: anche questo quadro, infatti, attrae l’osservatore per il senso di mistero che suscita. Non si sa chi o che cosa stia guardando la donna rappresentata, il motel e il paesaggio circostante sono talmente tanto anonimi che potrebbero trovarsi ovunque, non si riesce a capire se la protagonista sia appena arrivata o se sia in procinto di partire, non si può dedurre in che momento della giornata sia ambientata la scena. L’aspetto più particolare di tutto il quadro, tuttavia, è che nessuno degli elementi raffigurati è visibile nella sua interezza: della stanza è rappresentato solo un angolo, la poltrona, il letto, le valigie, la finestra, la luce proiettata sul soffitto sono tagliati dall’inquadratura; il paesaggio circostante, il comodino, l’automobile e la stessa donna sono seminascosti dietro ad altri oggetti. Questa caratteristica del dipinto, per quanto l’osservatore, ad una prima occhiata, possa non accorgersene, accresce il senso di mistero che pervade l’opera grazie, soprattutto, al silenzio assordante che comunica. D’altronde, è questa la caratteristica che divide Leopardi e un pittore come Hopper: mentre il primo usa immagini vaghe per creare una “sensazione piacevole” nei suoi lettori, il secondo lo fa non solo per esprimere uno stato di tensione, di immobilità e di incompletezza ma anche per comunicare la solitudine, lo straniamento dei suoi personaggi e, tramite essi, di ogni uomo del suo tempo.


Per Leopardi, inoltre, provocano piacere anche le idee di ciò che non è più possibile recuperare ed è perduto per sempre o di ciò che poteva accadere ma non è successo. “I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo”. In questa frase, tratta dal “Libro dell'Inquietudine”, Fernando Pessoa conferma la tesi del poeta e afferma che sono proprio l’assurdità dei sentimenti, il fatto che questi non sono mai accaduti e che, di conseguenza vanno solo immaginati, a renderli più pungenti. In fondo la realtà può colpire molto forte, ma altrettanto lo può fare qualcosa che poteva succedere e non è successo, il sapere che potevamo avere qualcosa ma che non abbiamo colto l’occasione e che ora è perso per sempre. Questa sensazione viene espressa da Charles Baudelaire in una sua poesia tratta da “I Fiori del Male”, “Ad una passante”. Egli racconta di aver incontrato per una via di Parigi una donna dalla bellezza statuaria ma che, in un lampo, poi, è scomparsa. Eppure, quell’attimo al poeta è bastato per immaginare cosa sarebbe successo se fra lui e la passante fosse nato qualcosa: pur essendo consapevole che non si incontreranno mai più, se non al di là della vita, e pur non sapendo dove lei vada, pensa che lui l’avrebbe amata profondamente, e che l’avrebbe fatto anche lei. Alla fine, la passante diventa un simbolo di tutte le donne che hanno sfiorato la vita del poeta e che lui ha lasciato andare e che si rimpiange tanto amaramente proprio perché non si sa cosa sarebbe potuto succedere.


Ma c’è una soluzione a queste emozioni assurde? No, se non di cercare di cogliere ogni occasione possibile per non avere rimpianti. Eppure non possiamo percorrere ogni sentiero, dunque queste sensazioni resteranno inevitabili, perchè ci sarà sempre qualche opportunità mancata, qualche passante che non siamo riusciti a trattenere, e non potremo non essere attratti dal dubbio e dalla vaghezza di ciò che sarebbe potuta essere la nostra vita se avessimo scelto una strada diversa.


Caterina Sartori

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