La stazione

Wislawa Szymborska, La stazione, 1967


Il mio non arrivo nella città di N.

È avvenuto puntualmente.


Sei stato avvertito

con una lettera non spedita.


Hai fatto in tempo a non venire

all'ora prevista.


Il treno è arrivato sul terzo binario.

È scesa molta gente.


La mia persona, assente,

si è avviata verso l'uscita tra la folla.


Alcune donne mi hanno sostituito

frettolosamente

in quella fretta.


A una è corso incontro

qualcuno che non conoscevo,

ma lei lo ha riconosciuto

immediatamente.


Si sono scambiati

un bacio non nostro,

intanto si è perduta

una valigia non mia.


La stazione della città di N.

Ha superato bene la prova

di esistenza oggettiva.


L'insieme restava al suo posto.

I particolari si muovevano

sui binari designati.


È avvenuto perfino

l'incontro fissato.


Fuori dalla portata

della nostra presenza.


Nel paradiso perduto

della probabilità.


Altrove.

Altrove.

Come risuona questa parolina.

_______


Ennio Flaiano diceva che "sempre caro mi fu quest'ermo colle a scuola diventa questa collina m'è sempre piaciuta". La stazione di Szymborska però non si lascia vandalizzare così facilmente: "Non sono arrivata nella città di N. puntualmente, ti ho avvertito senza spedire una lettera, non hai fatto in tempo a venire all'ora prevista" ecc. cambia significato. Un lettore un po’ più scaltro tratterebbe le negazioni paradossali come un vezzo poetico per quadrare il cerchio con eleganza: “Non è accaduto, ma sarei potuta arrivare nella città di N. puntualmente, avrei potuto avvertirti con una lettera e tu arrivare all’ora prefissata” ecc.. I conti non tornano comunque, e per dimostrarlo basta rileggere una delle strofe che non si prestano al gioco.


A una è corso incontro

qualcuno che non conoscevo,

ma lei lo ha riconosciuto

immediatamente.


L'ambientazione, il tempo verbale e persino l'uso di negazioni sono in perfetta continuità con le strofe precedenti, perciò chi legge la poesia scivola senza accorgersene dalle contorsioni linguistiche di prima ad una sfacciata banalità. Eppure sono banali anche la rotazione e la rivoluzione della Terra, ma ne prendiamo coscienza solo per alcuni momenti, e lo stesso vale per questo verso.

Per chi non si fidasse della poetessa si può scomodare un gigante della letteratura, Marcel Proust, che sottolinea una banalità simile e ancora più lampante, e sente perfino il bisogno di dimostrarla quasi fosse un teorema.

Gli esseri non cessano di mutar posizione rispetto a noi. Nel cammino insensibile ma eterno del mondo, li consideriamo come immobili in una visione istantanea troppo breve perché il moto che li sospinge sia percepito. Ma non abbiamo che da scegliere nella nostra memoria due immagini di essere prese in momenti differenti ma abbastanza ravvicinati perché non siano cambiati in se stesso almeno sensibilmente, e la differenza delle due immagini darà la misura dello spostamento che hanno subito in rapporto a noi.

Il passaggio non rende onore all'autore, ma è senz'altro chiarificatore. In questo caso non ci si riferisce come ne La stazione alla vita autonoma degli sconosciuti, bensì a quella delle persone che conosciamo, fatto ovvio e dimenticato come la rotazione della Terra. Se l'umanità per Nietzsche è un flutto che croscia intorno a noi*, Proust e Szymborska ne riescono a mettere a fuoco anche le particelle, per poi procedere, nel caso della poetessa polacca, e trarre le conseguenze: siamo per gli altri niente meno che una particella del flutto che li lambisce, o in altra metafora, un treno che non può che scorrere sul proprio binario, sfiorando costantemente altri treni e altri binari.


L'insieme restava al suo posto.

I particolari si muovevano

sui binari designati.


Ecco che potremmo sintetizzare la poesia un po’ come si faceva poco fa: “L’umanità è una rete ferroviaria, io un treno e dovunque mi sposti mi trovo sempre in una stazione.”, con buona pace di Flaiano e senza alcuna pretesa.


*L’espressione di Nietzsche è un po’ fuori contesto, perché si riferisce all’umanità che ci travolge in senso diacronico e non spaziale, ma mi sembrava utile per il discorso.


Davide Filippi


FONTI:

Friedrich Nietzsche, Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali, Milano, Adelphi, 2020, p. 219

Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Vol. IV, “Sodoma e Gomorra”, Milano, Rizzoli, 2017, pp. 520, 521

Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie (1945-2009), a cura di Pietro Marchesani, Cles, Adelphi, 2017, p. 199, 201



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