20 novembre 2020

Il rito del caffè


Che stanchezza! No, dico sul serio, dopo otto ore di lezioni online osservo, assorta da un monologo interiore piuttosto lagnante, lo schermo di un pc che ormai è diventato l’unica opzione di interazione con il mondo esterno.

Le palpebre non sbattono nemmeno, eddai! Svegliati pigra di una donna. No, no, ancora un minuto, poi mi alzo, lo giuro.

Aspetto un segno per trovare la forza di chiudere e staccare davvero. Dev’essere qualcosa di convincente. Uno stimolo esterno.

Poi arriva la fatidica domanda, percepita da lontano, al di fuori di quello stato comatoso da luci led puntate sulle pupille: “Leti, vuoi un caffè?”

Che domanda è mai questa, c’è davvero bisogno di una risposta?


Il nettare degli dei, lo chiamerei io. Eppure i nomi attribuitigli sono stati molto vari nei pochi secoli di adozione occidentale. Paragonato al vino, per via dell’effetto eccitante, il caffè è stato amato e odiato. Il fascino di questa bevanda scura ha delle implicazioni intertestuali davvero interessanti. La prima sta forse nel rituale che gli si accosta. Non è il gusto, che a volte amaro, non viene apprezzato da tutti, ma la momentanea sensazione di pausa. Un break point che, come ogni concessione, rimane piacevole dal primo all’ultimo sorso. Che sia preso al bancone e trangugiato come uno shottino per non fare tardi al lavoro, o sorseggiato per ore davanti a un paio di amici da aggiornare sulle conquiste degli ultimi mesi, è un compagno onnipresente nella vita di quasi ognuno di noi.

Un altro aspetto affascinante è la tradizione odierna del caffè come bevanda popolare, accessibile a tutti: il caffè viene visto oggi come paritario. Acquistabile al modico prezzo di un euro nei bar, o con il fai date della moka, dell’infusione o della macchinetta. Ce n’è per tutti i gusti, si consideri che le tipologie di piante di caffè esistenti sono più di sessanta, e le modalità di preparazione e di sorseggiate sono più di venti. Il caffè si associa alle dinamiche della ecologia profonda, ovvero si oppone alla scala gerarchica che impone il mondo occidentale in quasi ogni elemento della vita economica, creando invece reti. Lo si assapora chiacchierando del più o del meno o esplorando idee piuttosto complicate, comunque, le più delle volte, in compagnia. Diventa un modo per conoscere persone molto diverse, una merce di scambio a favori prestati gratuitamente, con quel classico “Dai, ti offro un caffè”. Offre ampi spazi di manovra nella creazioni di reti sociali, senza rendere invadente o indiscreto l’individuo che lo propone.

C’è un aspetto poi di tipo assolutamente idealizzato, nato sin dal 1764 con le pubblicazioni del periodico Il Caffè dei fratelli Verri. L’Illuminismo ne ha connotato il significato come bevanda dell’incontro intellettuale. Discussioni e ideologie mescolate come lo zucchero, assaporate e immaginate. Dalla Milano Illuminista sono nate moltissime testate e rubriche che ne hanno rubato il nome e il mondo ideale ad esso collegato. I bristot della Parigi anni ‘20 frequentati dalla Gioventù bruciata ne sono un altro esempio. Queste immagini influenzano il modo di prendere il caffè tutt’oggi e lo idealizzano come “momento” culturale, di arricchimento personale.

C’è però un aspetto molto cupo legato alla consumazione attuale della bevanda. Se nella visione di noi occidentali privilegiati si trovano tutte queste idee romantiche legate a una cultura che ora pare Europea -vista la quantità di consumazione annua- ma che in realtà è stata importata e demonizzata all’inizio dell’importazione, nella realtà pragmatica della produzione della bevanda, il romanticismo decade completamente. I minori lavoratori sono oltre i 250 milioni al mondo, i più, vengono sfruttati per il lavoro nell’ambito agricolo e la raccolta nelle piantagioni di caffè detiene una fetta del numero dei lavoratori sfruttati. C’è un motivo per cui il caffè può essere considerato in Europa “paritario, legato alla creazione di reti o intellettuale”, il modico prezzo deriva da una riduzione del costo di consumazione pari al 60% in soli 30 anni, quantità di denaro che non può garantire l’adeguato sostentamento degli agricoltori. I lavoratori sfruttati vivono in condizioni precarie, malnutriti e sottopagati per un orario di lavoro che sconfina le 12 ore giornaliere. Inchieste sullo sfruttamento minorile nelle piantagioni in Guatemala, decimo Paese esportatore al mondo, sono state avviate anche sulle multinazionali Nespresso e Starbucks.

Il caffè a basso prezzo è un privilegio che non dovremmo essere grati di poter avere, se il reale prezzo da pagare lo si carica sulle spalle di lavoratori, minori o non, quotidianamente sfruttati. Ci sono delle alternative per la consumazione di caffè sostenibile, per la promozione della vera economia profonda. Non si dovrà rinunciare alla piacevolezza della bevanda eccitante e delle chiacchiere davanti a una tazzina, quello che si può fare è invece informarsi, leggere le etichette, assicurarsi della provenienza del prodotto e decidere di promuovere una consumazione sostenibile.


Letizia Chesini


FONTI:

https://www.unicef.it/Allegati/I_bambini_che_lavorano.pdf

https://www.repubblica.it/esteri/2020/02/26/news/i_chicchi_di_caffe_nespresso_di_george_clooney_li_raccolgono_bambini_guatemaltechi_-249610157/

https://europa.today.it/lavoro/in-30-anni-il-costo-del-caffe-ridotto-del-60-l-europa-ponga-fine-allo-sfruttamento-minorile-nelle-piantagioni.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Caff%C3%A8_(Verri)

https://www.sorsidicaffe.it/i-tipi-di-caffe/



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