31 agosto 2020

Letizia Chesini

L’esistenza virtuale di un personaggio può appartenere a chiunque voglia contribuire a costruirla.

Marco Gatti

Se ci pensiamo bene non ci si può inventare un Autore; si può inventare un personaggio, mai un autore.


  • Gatti, per te cos’è l’arte?


  • Leti, che domanda difficile! Per definire cos’è arte partirei con il dire che è un codice, un linguaggio specificatamente umano (anche se si potrebbe obiettare) che vuole ricercare il “bello” disinteressato qualunque cosa esso voglia dire. Mi sembra importante distinguerla dalla tecnica intesa come “téchne”, che è semplicemente l’atto pratico (spesso con un fine secondario) che non cerca il suddetto bello.


  • Mi stai dicendo che, per te, l’arte si riduce al bello? Alla sola futile considerazione soggettiva di qualsiasi individuo che trova gratificazione in uno stimolo visivo? Non ti sembra un po’ riduttivo? O forse, un po’ troppo vago, considerando che il bello può essere estremamente soggettivo … Ma poniamo anche che una qualche opera d’arte venga oggettivamente considerata bella, che ne sarebbe dell’arte concettuale? O dell’arte informale? La banana attaccata al muro? Il bello, fortunatamente, non è l’unico discriminante del risultato creativo. Io ho provato quindi a definirla come la produzione umana, che, raggiungendo la mente con diversi stimoli sensoriali, è in grado di emozionare.


  • Povere sono le mie parole per dire il male, lo scempio, la bestemmia che risiede in quello che or ora ebbi il coraggio di pronunziare!, e allora un bambino (più “produzione umana” di così!) che ti emoziona è arte? è troppo generica come definizione...


  • Okay, per produzione umana non intendevo proprio quello … ma troppo vago effettivamente, e quindi?


  • Proviamo a pensare cosa normalmente definiamo arte, a molti verrà in mente un museo con grandi quadri dai colori sgargianti, o la Cappella Sistina satura di affreschi del Buonarroti, o magari quelle splendide statue tanto realistiche. Allo stesso modo potrei pensare ad una tela squarciata in una stanza asettica dai muri bianchi di un museo di arte contemporanea. Certo è che se trovassi un mucchio di foglie (come mi è capitato di vedere in un museo) per strada non starei a etichettarla come arte, come una scena vista a teatro se venisse vissuta in prima persona nella quotidianità non sarebbe che una banalità, tutt'altro che “arte”. Secondo me quindi è fondamentale, per la definizione dell’arte, il contesto in cui essa vive e si pratica, in sociologia si direbbe “contesti e cornici”.


  • Sì, posso essere d’accordo riguardo alla definizione di opera d’arte tramite il contesto nel quale questa viene riconosciuta, ma cosa mi dici di un dipinto, magari anche molto “bello”, che si trova però nascosto in una cantina? Solo perché al di fuori del contesto, della cornice naturale, non può essere considerato arte? Senza critici e mostre, un’opera può essere tale. Ma il tuo discorso mi ha fatto pensare al tema del valore. Il valore artistico, e non per forza monetario, è determinato quasi solo esclusivamente dal mondo sociale dell’arte. Se i critici non riconoscono un valore a una certa opera questa non avrà la possibilità di essere ammirata come altre di un valore maggiore. Quindi sì, il dipinto nella cantina è arte nel suo essere intrinseco, ma senza un pubblico, una rilevanza, ha importanza l’esistenza di quell’opera? Forse il valore, e quindi il riconoscimento, nel contesto artistico ha più importanza dell’esistenza dell’opera in sé.


  • Mi fai venire in mente il famoso esempio di Joshua Bell, uno dei violinisti classici più affermati al mondo, che ha provato a suonare nella metropolitana di Washington come se fosse stato in un’importante sala da concerto, senza dimenticare il suo pregiatissimo violino Stradivari del 1713. Il risultato è stato che nessuno o quasi dei passanti si è fermato ad ascoltare e tanto meno ne hanno riconosciuto le altissime capacità artistiche. Quindi lui stava facendo arte? I pezzi che ha suonava (come la celeberrima Ciaccona di Bach) non si mette in dubbio fossero capolavori artistici eppure il suo valore era nullo, come un quadro in una cantina abbandonata. Possiamo dire che sta facendo arte, ma non essendo riconosciuto da nessuno il suo operato artistico non crea “valore artistico”.


  • Esatto! Uno dei più grandi violinisti al mondo che non viene ascoltato in una metropolitana non fa pensare che alla fine, l’arte è riconosciuta quando diventa rappresentazione di uno status? Quando questa è nel proprio contesto originario sembra così sofisticata, alta, in un certo senso di nicchia, e anche tutto il discorso dell’emotività, di per sé, può essere trascurato e lasciare il posto ad un’interpretazione brillante di qualcuno che ha una certa fama per averne date altre. Questo mi ricorda la storia della biografia di Nat Tate. Quando William Boyd, aiutato da alcuni scrittori di biografie, compreso John Richardson, il biografo di Picasso, cercò di portare alla luce questa immaginaria figura artistica parlando di quanto fu ingiustamente trascurato dalla critica. Nessuno dei critici dichiarò di non conoscere Nat Tate, nonostante l’artista fosse stato inventato. Questo non fa che incrementare l’idea di inadeguatezza nel caso di una, anche giustificata, ignoranza all’interno di un ambiente che si promette di essere esclusivo. L’arte è di nicchia e proprio per questo accresce, in coloro che la seguono e praticano, l’idea di un mondo romantico fatto di ispirazione ed emozione costante. La realtà artistica può però essere più cruda di quanto pensiamo. Dover terminare un lavoro entro un tempo prestabilito, scadenze continue negli artisti di oggi, illustratori, designer ecc., porta allo smorzamento dell’ispirazione per lasciare posto alla tecnica, al rimescolamento. Un bricolage, un crogiuolo di idee già avute o rubate per poter presentare un prodotto entro la scadenza prestabilita.


  • Se ci pensi è sempre stato così, mi viene in mente Haendel che ha usato la stessa aria in 3 opere diverse perché aveva successo, o comunque ogni sua "nuova" opera era costituita per un terzo da lavori precedenti riarrangiati, perché spesso il tempo per completare il lavoro erano poche settimane.


  • Eppure anche quella è arte. Una copertina del New Yorker che contiene in sé comunicazione, messaggi, colore, tipografia, che deve aiutare il compratore ad entrare nel mondo che il giornale vuole offrire o per lo meno, al quale vuole collegarsi, è genialità su carta. Ma ragionata e scartata, poi riprodotta. Non è l’impulso di un momento. E tutte quelle bozze scartate, post-it, moodboard, non sono parte dell’opera in sé? Sono un percorso, un viaggio verso l’opera, però sotto forma di reperti nascosti, le bozze non saranno mai fruibili al pubblico che osserverà un prodotto “perfetto”, fittizio quasi, dopo tutto il lavoro di rielaborazione. Un prodotto che poco rispecchia l’umanità, eppure le dice così tanto.


  • Hai ragione, se ci pensiamo bene l’opera d’arte non è che un risultato, la fine di un percorso, che spesso è esso stesso di interesse artistico: mi viene in mente che lavorava solo alle prove (seguite dal pubblico) senza mai mandare in scena lo spettacolo. Ma a parte questo spesso si guarda all’opera d’arte come una cosa in sé, che va al di là del suo autore. Tu hai prima citato Nate Tate, ebbene come ci si comporta con le sue opere d’arte, se lui non è mai esistito? Le sue opere hanno valore? Però la vera domanda dovrebbe essere: cos’è un autore inventato? Se ci pensiamo bene non ci si può inventare un Autore; si può inventare un personaggio, mai un autore. L’autore non ha Vita, non ne avrà mai al di fuori della sua “fenomenologia”, quindi nelle sole creazioni artistiche, suoi unici fenomeni, che lo fanno denominare proprio come Autore. Ma quel misterioso processo che noi denominiamo vita (biologica) è tutt’altro, quello non possiamo inventarlo, forse. Inventare vorrebbe dire falsificare, dire il falso, Nate Tate, Andrea Barca sono solo alcuni esempi di tale falsità. In questo modo si stanno inventando le cause, non le conseguenze, mi spiego meglio: i personaggi-autori fittizi sono le cause intellettuali dei prodotti culturali, comprese in primis le loro biografie, e questi esistono di per sé senza nessuna falsificazione. Non si sta dicendo che le opere d’arte non abbiano falsità al loro interno come significato, per capirci possono anche dire che gli elefanti volano, restano “vere” come significante, come fenomeni di cui possiamo fruire.


  • Credo che la differenza tra causa e effetto nel caso delle opere di questi “autori inventati” dipenda dall’intento dell’autore reale, o degli autori reali, ovvero coloro che hanno inventato, arricchendola di eventi ed opere, la vita stessa dell’autore. Le opere di Jusep Torres Campalans, altro artista immaginario, non possono essere la causa della necessità di far credere Campalans reale? La vita stessa dell’autore sarebbe così un’opera d’arte. L’inganno che non ha il fine di diventare bufala, di inculcare un’idea fittizia, l’inganno benigno, ingenuo se così si può chiamare, di un autore che crea su più livelli, prima un autore e poi le sue opere. Sì potrebbe quindi affermare che la falsità dell’opera, e quindi dell’arte, non possa esistere. Esiste però la falsità dell’origine dell’opera. Se per esempio le teste di Modigliani possono essere considerate arte in quanto esistono e sono riconosciute e discusse dal mondo sociale artistico (ed esposte in un museo), non si può dire che non siano false in quanto, per un periodo, associate a Modigliani, senza essere state create da lui. Qui sta la falsità, la bufala artistica, far passare un’opera come creazione di un artista reale. Se fossero state attribuite a Nat Tate, la falsità di attribuzione non sussisterebbe. Questo perché l’identità di un artista mai nato, può celarsi dietro a mille volti di persone “reali”. Perché limitarsi ad un inventore? L’esistenza virtuale di un personaggio può appartenere a chiunque voglia contribuire a costruirla.


  • Tutta colpa del romanticismo cara Leti! Con esso l’artista si è costruito una bella torre d’avorio credendo di aver contatto con il divino e dovendo essere quindi proclamato superiore! Il vero problema è che l’autore diventa in qualche modo parte dell’opera e quindi chiave di lettura della stessa. Quando in realtà penso sia fondamentale valutare un’opera per quello che è in sé e per sé, la dimensione dell’autore è solo un valore aggiunto. Si sente dire spesso, se i vaccini li avesse inventati Hitler non si userebbero? Così per l’arte, le opere di Wagner devono essere messe al bando perché l’autore era un antisemita convinto? Perché se ci pensiamo bene, non conosciamo davvero gli artisti o meglio gli esseri umani che stanno dietro le opere, è per quello che anche un personaggio inventato può funzionare. Tutto sommato è davvero più realistico un Omero vissuto nella Ionia dell’VIII secolo a.C. rispetto ad uno dei nomi prima citati come autori fittizi? Ma anche lo stesso Leopardi per esempio è sempre rievocato con un'aura di miticità molto lontana da ciò che è stato quel geniale ragazzo di due secoli fa.

  • Così parrebbe che l’arte sia indipendente, se non per lo stesso fatto di esistere, dal proprio autore … o per lo meno, fino a che non si conoscono i retroscena del pensiero e della vita dell’autore, è difficile trovarne traccia nell’opera stessa, quindi questa ignoranza del pubblico trasforma l’opera in entità indipendente da qualunque altra cosa, compreso il proprio autore. Ma che lo si consideri o meno, l’arte rimane il frutto di un processo più o meno ragionato di creazione, un artista che inventa può generare qualsiasi cosa, anche una vita che esiste solo nella propria mente. Banalizzando, l’arte è quindi il processo di creazione stesso? Nemmeno questa definizione si avvicina alla verità, ma, in fin dei conti, la creatività, che è il nettare necessario per la formazione dell’arte, implica tautologicamente la creazione.



Marco Gatti, Letizia Chesini