26 febbraio 2021

Destinato alla grandezza, con gufata alle spalle

Ce lo dicono fin da quando siamo pupetti ancora incapaci di inanellare quattro passi un dopo l'altro. "Sento che farà grandi cose", "voglio che diventi qualcuno", "Supererà se stesso"

...Mentre questo accade, ignoriamo il gufo che bofonchia tra gli alberi.

L’unico destino possibile, per non dire degno, è l’eccezionale. La vetta, il nirvana, l’elevarsi ai posteri. Ritengo quest’inclinazione della società odierna a dir poco pericolosa. E ritengo che sia fondamentale costruirci sopra un ragionamento sano, partendo dalle cause, andando a ritroso.

Fondamentale premessa. Molte delle supposizioni che farò penso derivino in gran parte dal chiacchiericcio che tiene banco nel MIO ambiente di lavoro. Che aria tiri “all’esterno” non lo so, ma mi pare possa essere condiviso anche in altre situazioni.

Uno. Viviamo in un contesto umano dominato dalla competizione, che permea ogni cosa, a qualsiasi livello. L’ambito educativo, scolastico o universitario poco importa, di fatto non è più una zona di comfort dove edificare diverse sensibilità, ma solo uno dei tanti quadrati da combattimento che possiamo trovare nelle nostre vite. Non c’è da acquisire competenza. C’è da essere i migliori e sbaragliare la concorrenza. E se non lo si è, si diventa cibo per le mosche. E’ chiaro che venendo al mondo in un simile habitat l’aspettativa sul singolo si elevi alle stelle.

Due. Non esiste una vera e propria “scala di impiego”, che offra diverse opportunità crescenti per richiesta e prestigio, e tale da non creare zone di limbo tra un gradino e l’altro. Pensiamo a un neolaureato in campo artistico. Possiamo considerare chiunque rientri nel magico calderone delle arti performative. C’è il luogo di formazione, Conservatorio, Accademia, scuola di teatro, private istituzioni. E ci sono i grandi teatri, le eminenti gallerie, le famose compagnie. Al centro, il vuoto cosmico. Non una piccola orchestra in un capoluogo di dimensioni medio-piccole, non una piccola realtà per la diffusione delle nuove frontiere artistiche, non un reale motivo che eviti a chiunque prima o dopo di considerare di andarsene all’estero in cerca di fortuna. Non una opportunità che non si riveli o non all’altezza oppure un buco al portafogli (iperbolica come affermazione, ma non lontana dalla realtà). Non un’idea concreta di rinnovamento del sistema da anni.

Dunque si arriva al sunto che tutto genera, la causa di ogni male, la pizza in faccia che tutti ci siamo sentiti arrivare a un certo punto. “O arrivi lassù, o non sei nessuno. E per farlo o sei un bimbo prodigio, o sei raccomandato. E prima lo fai, meglio è”.

E’ arrivato il momento di dire basta. Signore e signori, rullo di tamburi: tutto quello che è scritto nel precedente paragrafo è falso! E’ allarmismo sterile, che a nulla serve se non a far danno a vite che non se lo meritano.

Prima di tutto eliminiamo questa convinzione generale secondo cui il parere degli altri faccia la nostra realizzazione. C’è una persona sulla faccia della terra che bisogna convincere, accontentare, e ha il nostro stesso cognome e nome. E ripeto, cognome e nome, contemporaneamente.

E forse è vero, come dice qualcuno, che non partiamo tutti con lo stesso “equipaggiamento di base”, ma tutti partiamo invece con le stesse possibilità di essere felici. E nella stragrande maggioranza dei casi, con la stessa capacità di discernere su a che altezza la nostra asticella del “salto alla felicità” sia posta.

Poi veniamo alla prima metà del vero nucleo del discorso, ed eleviamolo a postulato, come le 95 tesi di Lutero. Appendiamolo su bacheche e pagine principali dei siti web, tatuiamocelo in fronte. Quella che l’opinione pubblica attuale definisce “normalità”, ovvero una non particolare ricerca di fama, prestigio e similari, non è un disonore, anzi.

Per quanto mi riguarda ritengo che la ricerca della “stabilità”, senza eccessi particolari in alto o in basso, concetto che fino a poco tempo fa era molto più condiviso, sia una nobilissima attività di vita. E penso pure che piuttosto che parlare di raggiungere la felicità, che può risultare abbastanza poco definito come obiettivo, bisognerebbe raggiungere l’equilibrio, che invece presenta dei dettagli vagamente sottovalutati. Una persona con l’obiettivo di andare a vivere da sola ed essere indipendente economicamente ha la stessa identica dignità di un’altra che vuole diventare capo di stato, o il frontman di una band famosa in tutto il mondo.

Non esiste una carriera più onorevole di un’altra. Non esiste una passione di livello superiore ad altre. Non esiste opinione di levatura sufficiente a decidere per alcuno.

In “Al di là del bene e del male”, Friedrich Nietzsche scrive: “Occorre sbarazzarsi del cattivo gusto di voler andare d’accordo con tutti. Le cose grandi ai grandi, gli abissi ai profondi, le finezze ai sottili e le rarità ai rari”. E io dico: dategli una medaglia.

Infine, il fattore tempo. Qui le frasi fatte si sprecherebbero. “Non esiste un tempo prestabilito, sei nei tuoi tempi”, “non è mai troppo tardi” e quant’altro, qui sarebbero al posto giusto, seppur forse un po’ telefonate. Quello che importa è che c’è un ingrediente interpretativo della vita che solo l’età può offrire. Esistono innumerevoli esempi di realizzazioni illustri avvenute in età avanzatissime, di cambi di rotta repentini in direzione del proprio cuore, di progetti all’inizio mediocri e solo dopo anni di lavoro divenuti veramente spaccamascella. Quindi, siccome non mi risulta che abbiamo qualche potere da mettere in campo sulla capacità di nascere divinità scese in terra, tanto vale intraprendere un percorso di istruzione serio, investendo il tempo in maniera appropriata.

E poi, quando si prendono in considerazione i bambini prodigio, o più in generale, le figure di rilevanza internazionale, bisognerebbe porsi la questione di quale sia il prezzo che è a costoro richiesto per stare dove stanno. Visto e considerato che nessun risultato casca dal cielo, della stessa materia di cui sono fatti i sogni, e resta così in perpetuo. L’infanzia? Ogni scampolo di tempo libero? Qualunque tipo di rapporto umano? Un patrimonio di famiglia?

Siamo davvero sicuri che tutti siano disposti a quel tenore di vita?

La risposta che personalmente mi sento di dare è no. Non credo che tutti siano disposti a farlo. E trovo che sia la normalità più assoluta. Sarei preoccupato se fosse il contrario. Da che mondo è mondo, il “progresso”, la “scoperta”, le “grandi imprese” non sono mai stati fatti da sette miliardi di individui, ma da una fetta infinitesimale della torta chiamata genere umano. A ogni Einstein o Bach, sono sempre corrisposti centinaia di migliaia di Tizio, Caio e Sempronio fraternizzanti con la tranquillità, così come centinaia di migliaia di altri che sulla base di quelle scoperte hanno costruito una nuova idea di “presente”. C’è posto per caratteri predisposti a ricoprire posizioni rilevanti, ma c’è posto anche e soprattutto per la coltivazione del proprio orticello.

Non è mai troppo tardi per seguire i nostri sogni.

Ma nemmeno per cambiarli.

Tommaso Nista

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