27 luglio 2021

Daniele Schön e John Sloboda tra abilità musicali e cognitivismo: una paraf

Quando parliamo di abilità musicali, non possiamo non parlare di formazione musicale, e se questa formazione sia presente o meno in un individuo.

Daniele Schön riporta come la maggior parte delle persone che non hanno una formazione musicale riesca comunque ad apprezzare la musica o a mettere in atto alcune capacità anche complesse, come possono essere cantare una melodia, discernere capacità tecniche dell’esecutore e così via. Queste capacità sono sì collegate ad un ambito ben preciso, ma in questo caso diventano frutto di un apprendimento implicito (questo tipo di apprendimento, come nei primi stadi del linguaggio, sta a significare l'utilizzo di alcune regole o conoscenze senza che il soggetto ne sia consapevole). È d’altra parte palese come anche un'educazione musicale contribuisca a far conoscere e formalizzare competenze nuove in un individuo. Parlando più precisamente dell'elaborazione di un discorso musicale, soprattutto quando questa avviene in tempi rapidi e quando avviene in maniera pressoché automatica, si può dire che essa sia data dall'insieme di due elementi: il risultato di quel che sono i nostri meccanismi cerebrali ed una componente esterna riferita al sostegno ambientale.

Visione importante è anche quella lasciataci da John Sloboda, il quale afferma che le abilità musicali si acquisiscono nell'interazione con un ambiente musicale, e che esse consistano nella capacità di mettere in atto una serie di comportamenti relativi alla nostra cultura ed ai suoni musicali che percepiamo. Vediamo quindi che in entrambi i casi è presente una fusione delle caratteristiche e delle predisposizioni biologiche e genetiche, e di quello che sono l’ambiente e l'influenza dei fattori esterni.

A questo proposito, è bene discutere della concezione ormai radicata e quasi idolatrata del talento musicale. Tale caratteristica viene spesso vista sotto una luce assolutamente selettiva e personale, quasi a voler richiamare un qualcosa di assolutamente innato e concepito come un "dono". Non a caso, se dovessimo parlare della classica figura del "bambino prodigio", notiamo subito come la maggior parte delle considerazioni sul genio e sulla selettività siano riportate da genitori, maestri, stretti conoscenti e spesso, purtroppo, considerazioni percepite tali soltanto dopo la morte del soggetto. Analizzando però l'interazione con la realtà e con gli studi basati sul processo vero e proprio, anche integrando la visione diretta dei soggetti stessi, risulta naturale che per arrivare a capacità così straordinarie ed eccezionali siano necessarie migliaia di ore di studio. Si passa quindi dal concetto selettivo e personale di "talento", a quello più umano e realistico di "motivazione", che è ciò che veramente caratterizza lo studioso nella sua crescita, studio e nel suo forte attaccamento alla musica e all'arte.

L'apprendimento di capacità musicali e la percezione delle informazioni musicali, comunque, non è cosa di nicchia. Sempre Schön ci riferisce di alcuni test che certificherebbero la presenza di abilità musicali percettive e altre in diverse fasce d'età. Stupirà forse sentire che già nei neonati, all'età di 6-10 mesi, si possa verificare, basandosi sul tempo di fissazione del neonato, un grado di percezione musicale tale per cui il neonato già a quell'età riesca a discriminare l'uguaglianza o la diversità tra due suoni e a riconoscere ed elaborare informazioni musicali specifiche basate sulla manipolazione degli stimoli proposti. Addirittura il feto all'interno dell'utero è soggetto a questo tipo di percezioni, e non solo riesce a captare l'informazione musicale, ma anche a ricordarla dopo la nascita. Come avviene quando una madre racconta una stessa storia più e più volte durante la gestazione, dall'ottavo mese di gravidanza in poi il feto interiorizza il tono della voce, i respiri e le pause della madre, che fanno in modo che questa storia sia preferita dal neonato dopo la nascita rispetto ad una storia diversa o mai letta.

Anche l'orecchio assoluto concorre all'apprendimento di capacità che sembrano non appartenere a tutti, o che comunque, per la sua rarità, impossibilità di apprendimento dopo una certa soglia e la facilità e automaticità con cui questa capacità viene messa in atto dai soggetti che la possiedono, sembra appartenere ad una selezionata élite. Il fatto però che in Paesi come il Giappone, in cui l'educazione musicale inizia a stadi precocissimi, questa capacità sia largamente più diffusa rispetto ad altre realtà, certifica il fatto che l'orecchio assoluto potrebbe essere appreso da chiunque prima di una certa età, definita intorno ai 5-6 anni. Circostanze formative e musicali sconosciute, occasioni proposte in ambito famigliare, e geni legati alla codifica delle altezze insieme alla nostra immaginazione mnemonica e all'ambiente, sarebbero alcuni degli elementi che determinano la formazione di questa interessante e curiosissima capacità.

Anche il cognitivismo offre un interessante spaccato sui processi mentali coinvolti nell'ascolto musicale. Esso può essere inteso come l'analisi dei processi che ci permettono di conoscere e dello studio delle forme che noi utilizziamo per rappresentare tali conoscenze. Per quanto riguarda l'ascolto musicale, la percezione umana può essere intesa partendo da quello che ci propone la visione del cervello e come i processi mentali elaborano l'informazione musicale.

Nella musica e nel linguaggio, nella percezione delle informazioni in generale, il cervello è visto secondo una divisione in due emisferi. Questa concezione di "plasticità cerebrale" ci permette di identificare le funzioni dell'emisfero sinistro e di quello destro, al momento dell’ascolto musicale. È stato infatti affermato che nell'emisfero sinistro risiede la nostra parte razionale, quella che percepisce ed elabora informazioni come linguaggio, sillabe e ritmo. L'emisfero destro invece, è adibito alla creatività e all'elaborazione delle informazioni di musica, melodia e linguaggio musicale. In questa suddivisione possiamo però notare una importante differenza principale tra il cervello di un musicista e di un non musicista. Infatti, se il non musicista tende ad utilizzare soltanto la parte creativa e irrazionale all'ascolto della musica, il musicista le utilizza entrambe, percependo sia la dimensione emotiva, che quella complessa e analitica dell'informazione musicale.

Nonostante queste differenze, il cervello umano e le nostre aree cerebrali tendono a percepire ed elaborare informazioni come quelle melodiche e temporali, e a creare in ogni caso delle modalità di percezione. È stato infatti visto che già a 2 mesi si è in grado di identificare leggeri cambiamenti di velocità in una serie di suoni ad intervalli regolari, e che i bambini e gli adulti sono in grado di percepire con facilità rispettivamente delle variazioni nel contorno melodico (forma della melodia) e negli intervalli, nella presentazione di una melodia.

Ciò che è interessante è notare come il cervello umano tenda a raggruppare informazioni temporali secondo una cosiddetta "ritmizzazione soggettiva" in cui, come nella scuola della Gestalt, una serie di suoni identici fatti susseguire ad intervalli di tempo uguali e regolari, vengono percepiti in gruppi detti "chunks" che poi contano come unità nella nostra memoria.

Si vede quindi come la percezione e l'elaborazione di informazioni da parte del cervello umano contribuiscano allo studio e all'analisi delle modalità di queste azioni, e quindi ai processi mentali e i fenomeni che danno vita alla concezione cognitivista.


Demetrio Schintu

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