LE INTERVISTE

INTERVISTA ALLA SIGNORA ANNA CARRABBA, VEDOVA ROSELLI

1. Come mai suo marito si è trovato nei campi di concentramento tedeschi?

- Perché essendo militare stava presso la caserma di Peschiera del Garda quando vi fu l’armistizio del nove di settembre del ’43, i Tedeschi lo catturarono insieme a tutti gli altri (perché non vollero collaborare con i Tedeschi), lo portarono come prigioniero politico in Germania

2. Che cosa le raccontava suo marito della detenzione nei campi di concentramento?

- Raccontava che, dopo essere arrivato al campo di Dachau, dove era stato destinato, i Tedeschi tolsero tutti gli effetti personali, anche i vestiti e in cambio gli dettero una divisa che era come un pigiama a righe e con un numero scritto sulla giacca. Da quel momento non erano più delle persone, ma erano soltanto dei numeri. questo glielo misero al braccio (mostra un braccialetto di filo di ferro con una placca di metallo) e quando lo chiamavano doveva rispondere a questo numero (riferendosi al numero inciso sulla placca del braccialetto).

3. Dove dormivano i prigionieri di guerra?

- Nel campo c’erano delle baracche numerate, con dei letti a castello fatti in legno e per ogni letto dormivano due prigionieri, per cui erano costretti a dormire un a capo e uno a piedi.

4. Suo marito le ha raccontato di qualche episodio di fuga dai campi di concentramento?

- Sì, non solo qualcuno. Spesso qualcuno voleva evadere, ma poi venivano sempre catturati e poi giustiziati. Quando li giustiziavano, per impiccagione o per le botte, gli altri dovevano stare intorno intorno, finchè il povero malcapitato non esalava l’ultimo respiro.

5. Che cosa facevano nei campi di concentramento i soldati prigionieri?

- Formavano delle squadre che avevano il compito o di togliere i detriti dalle stazioni o dovevano andare sulle bombe cadute che non erano esplose per togliere le navette, per non farle esplodere e qualche volta esplodeva la bomba e i prigionieri andavano anche loro a pezzi. Poi ci fu un altro episodio: un giorno fu addetto al lavaggio dei morti, c’erano dei rubinetti che buttavano l’acqua giù e con i morti che passavano e con una spazzola li dovevano spazzolare, con spazzola e sapone e questi morti erano messi in contenitori e portati ai forni crematori.

6. Come è riuscito suo marito a salvarsi e a ritornare a casa?

- Si salvò perché quando arrivarono gli Americani, per liberarli, prima i Tedeschi li incolonnavano e li portavano su in montagna e li facevano entrare nelle grotte che erano là. Lui entro per primo poi, quando entrarono tutti i Tedeschi avanti all’imboccatura della grotta incominciarono a mitragliare. Essendo lui entrato per primo si salvò dopo essere stato ferito alle gambe per parecchie volte.

7. E’ stato curato da qualcuno?

- Sì perché gli Americani lo portarono dal campo di Dachau a Bolzano, dove fu ricoverato per un mese dopo delle cure lo trasferirono e gli dettero un biglietto per Foggia. Ma siccome lui era malandato e pesava 44 chili allora il distretto militare di Foggia lo mandò in un ospedale militare a Gioia del Colle dove stette ricoverato per tre anni.

8. Quanti anni aveva suo marito quando è stato catturato e quanti ne aveva quando è tornato a casa?

- 21 quando è stato catturato e 23 quando è tornato in Italia.

9. Suo marito ha lasciato qualcosa di scritto circa la sua detenzione?

- Ha scritto un memoriale nel 1964 e adesso voglio leggervi quello che ha scritto alla fine di questo memoriale. “Ancora oggi continua la mia odissea, ma mi consola la speranza che l’umanità, finalmente rinsavita non vorrà pensare più a guerre e cose del genere e che ai governanti di ogni paese sia di monito il flagello che colpì la nostra generazione”


Intervista ai figli di Giovanni Battista Roselli.

Abbiamo elaborato diverse domande dopo aver letto il memoriale. Giancarlo (1953) ha risposto alle domande n. 1 - n. 3 e n. 5; Adele (1955) ha risposto alla domanda n. 4 e n. 8; Gilberto (1959) ha risposto alla domanda n. 2; Roberto (1964) ha risposto alle domande n. 6 e n. 7.

Domande

1. Gli orrori dei campi di concentramento hanno provocato in molti reduci un ripiegamento su se stessi e un disimpegno, quasi un desiderio di isolamento. Ciò non è successo in Giovanni Battista Roselli, per il quale il ritorno alla vita civile è coinciso con un impegno politico, civico e morale. Come mai? Quale tratto del suo carattere lo ha spinto?

3. Qual era la sua visione della vita? Come giudicava i tempi che stava vivendo? Come avrebbe giudicato il mondo contemporaneo?

5. Roselli racconta i suoi anni di prigionia, ma poco o nulla sappiamo della sua vita successiva, se non del suo impegno politico. Con che spirito ha affrontato i non pochi problemi di salute eredità della prigionia?

RISPONDE GIANCARLO

L’esperienza negativa vissuta da mio padre nei campi di concentramento non ha provocato in lui un desiderio di isolamento, isolamento che certamente lo avrebbe portato a tacere i soprusi che, insieme a milioni di persone, aveva subito da parte del regime nazista. Si trattava di una pulizia etnica, di un genocidio programmato, scaturito dalla mente di alti uomini che si ritenevano appartenenti a una razza superiore.

Il mondo tutto questo lo doveva sapere, perciò è scaturito in lui un impegno nei confronti delle future generazioni.

Bisognava fare in modo che tutto quanto ciò che era accaduto non venisse dimenticato. Bisognava affrontare con la verità tutte le tesi che, ancora oggi, negano l’esistenza dell’Olocausto.

Lui era pronto alla sfida con determinazione e carattere.

La sua prigionia è durata tutta la vita. I problemi fisici e i segni evidenti sul suo corpo, ricordavano in ogni momento quanto vissuto nei campi di sterminio.

Ma tutto veniva affrontato con la massima serenità e rassegnazione.

era sopravvissuto alla morte e tutto questo bastava. La sua visione della vita era ottimistica. Sperava nei giovani ed era certo che la memoria tramandata attraverso il racconto dei superstiti di quelle brutture avrebbe contribuito a migliorare i rapporti fra i popoli.

Non so se oggi questa è realtà, visto quanto accade in diverse parti del mondo.

Poche ore prima di morire era seduto alla sua scrivania a lavorare per l’associazione Mutilati e invalidi di guerra, alla quale aveva riservato molti anni della sua vita. Una crisi respiratoria, sempre frutto del regalo avuto nei campi del concentramento, ha portato via il suo corpo, ma non il suo spirito che, attraverso noi, vive nel cuore di molti. Grazie.

Domanda

2- Abbiamo notato come la prosa del memoriale sia sintetica, seppur amara, senza fronzoli, distaccata, ma brutale in certe brevi descrizioni.

Cosa ha portato con sé Roselli dall’esperienza dei campi di concentramento? Quali erano i suoi ricordi, gli aneddoti i racconti famigliari? Come ricordava quei momenti?

RISPONDE GILBERTO

Avrete notato come la prosa del promemoria, così come lo intitolava mio padre, è molto sintetica al cospetto dei 23 mesi passati nei campi di sterminio.

Perché? Perché sintetica?

Il papà cercava di raccontare il meno possibile di quei suoi amari momenti, di quei suoi amari ricordi, specie con noi figli.

Era come un proteggere i propri cari, cioè noi, da qualcosa che anche lui, sì anche lui, forse nel profondo non credeva fosse accaduto, ma che aveva intensamente vissuto.

Ecco il perché delle brevi descrizioni. Infatti lo scritto del promemoria è datato luglio ‘64, a ben 19 anni dopo la liberazione, che avvenne nel maggio del ‘45 .

I suoi ricordi non erano al passato. E’ stato un uomo sempre con una visione del futuro. Questa esperienza negativa l’aveva trasformata in forza la stessa forza che riversava sulla sua famiglia, sul benessere morale, sui valori. E questo fece sì che lui si impegnasse anche verso i più deboli.

Domande

4- A volte i modi di esprimersi, le frasi, i motti, rappresentano meglio di una biografia il carattere e il modo di pensare di una persona. Aveva Roselli delle frasi ricorrenti con cui giudicava gli eventi e che rappresentano il suo modo di essere e di pensare?

8- Un ricordo di Roselli nella famiglia, come marito e padre e con gli amici…….

RISPONDE ADELE

Salve, sono Adele Roselli figlia di Giovanni Battista. Cosa posso dire di mio padre? Un uomo la cui vita è stata segnata dalla sua permanenza nei campi di concentramento. Non amava raccontare le sue vicissitudini ma, prendendo spunto da azioni quotidiane, lo faceva attraverso degli aneddoti. Ad esempio era solito raccogliere con un coltello delle briciole dalla tovaglia e ci raccontava che ai prigionieri era dato una filone di pane nero al giorno da dividere in 12; le briciole andavano a coloro ai quali erano capitate le estremità. E ci esortava con una frase ricorrente a camminare a testa alta. Quindi ad essere onesti, a rispettare le regole a non tradire, rispettare l’amicizia. Ringraziava il Signore ogni giorno della sua vita; ci diceva che durante la prigionia il suo desiderio era riabbracciare la madre; il Signore non solo aveva esaudito questo suo desiderio, ma gli aveva fatto conoscere l’amore, gli aveva concesso di diventare padre di veder crescere i suoi figli e di diventare nonno.

Domande

6- Cosa pensava delle onorificenze ricevute?

7 - Come avete accolto la notizia che il Comune di Foggia ha dedicato una di una strada a Giovanni Battista Roselli?

RISPONDE ROBERTO

Io sono Roberto, l’ultimo figlio di una famiglia composta da 4 fratelli, quando venne a mancare, nell’aprile del 1989 io avevo 24 anni ed essendo ancora non sposato ero l’unico figlio che viveva ancora in casa con i genitori.

E’ stato sicuramente il mio punto di riferimento, in particolare nel periodo della mia adolescenza.

La sua prima onorificenza, che risale al 1955, circa dieci anni dalla fine del Secondo Conflitto Mondiale, è quella della Croce di Merito di Guerra e poi il susseguirsi di altre onorificenze sono state accolte da lui senza grandi esternazioni, ma con grande commozione, anche perché in quei campi di sterminio aveva visto morire molti patrioti, suoi amici di baracca e di campo che, purtroppo, non sono stati fortunati come lui a riabbracciare i loro cari.

Il comune di Foggia ha voluto intitolare una strada a suo nome con l’allora Sindaco Giovanni Mongelli, che ha voluto inaugurare non in un giorno qualunque, ma in un giorno dedicato alla memoria che è coinciso con il 27 gennaio del 2012.

E’ stata per noi famigliari una grandissima emozione, commozione.

Ricordo tantissima gente che volle partecipare. Persone che avevano avuto contatti con mio padre erano lì, a distanza di 23 anni dalla sua morte. C’erano delle scolaresche e la banda che suonava l’Inno Nazionale.

Però stampate nella mia mente sono le parole del Sindaco Mongelli che disse:”Sull’esempio di queste persone i giovani dovrebbero porre le basi per costruire il proprio futuro.

Per concludere ancora oggi, quando mi presento per lavoro o per altro, al mio interlocutore, sentendo il mio cognome mi chiedono: “Ma per caso lei appartiene al Cavalier Giovanni Battista Roselli?”. E io rispondo:” Sì, io sono il figlio di Giovanni Battista Roselli”. Mi dicono ancora: ”Io ho conosciuto suo padre, una bravissima persona, una persona perbene e con grandi valori umani”. Io, come figlio, di questo ne vado molto, molto, ma molto orgoglioso.

Grazie