Nell’estate del 2024 il Rover Perseverance della NASA ha trovato su Marte la sua "roccia più enigmatica, complessa e potenzialmente importante" (come l’ha definita uno scienziato della missione), che ha mostrato antiche tracce di acqua, materiale organico e indizi che suggeriscono reazioni chimiche da parte di vita microbica. Oggi, dopo un rigoroso processo di revisione durato un anno, durante il quale scienziati esterni alla missione hanno esaminato attentamente i dati e le analisi del team di Mars 2020, la rivista Nature ha pubblicato i risultati: il campione "Sapphire Canyon", raccolto in un antico letto di fiume asciutto nel cratere Jezero, contiene potenziali biofirme. Come suggerisce il nome, il termine biofirma deriva da “bio”-“vita” e “firma”-“traccia”; “una potenziale biofirma” è quindi una sostanza o una struttura che potrebbe avere un'origine biologica, ma che richiede ulteriori studi. Spesso, quando si pensa alle biofirme, si pensa a segni di vita passata solitamente conservati nella documentazione rocciosa, a volte nei gas atmosferici e, in generale, si tratta di un segno che conferma la presenza di vita in un ambiente o in un luogo, in un momento del passato. Nel caso del Pianeta Rosso si cercano particolari minerali associati a molecole organiche (la vita su altri pianeti può essere molto diversa dalla vita sulla Terra e potrebbe essersi sviluppata non con uguali processi).
«Questa scoperta di Perseverance, missione lanciata nel 2020, è la più vicina alla scoperta della vita su Marte. L'identificazione di una potenziale firma biologica sul Pianeta Rosso è una scoperta rivoluzionaria che farà progredire la nostra comprensione di Marte», ha dichiarato l'amministratore facente funzioni della NASA Sean Duffy. Perseverance si è imbattuto nelle cascate di Cheyava nel luglio 2024 mentre esplorava la formazione "Bright Angel", un insieme di affioramenti rocciosi sui margini settentrionali e meridionali della valle della Neretva, un'antica valle fluviale larga 400 metri, scavata molto tempo fa dall'acqua che si riversava nel cratere di Jezero. «Abbiamo progettato il percorso di Perseverance per garantire che raggiungesse aree potenzialmente ricche di campioni scientifici interessanti», ha affermato Nicola Fox, amministratore associato della Science Mission Directorate presso la sede centrale della NASA a Washington.
Inoltre, gli strumenti scientifici del Rover hanno scoperto che le rocce sedimentarie della formazione erano composte da argilla e limo, che sulla Terra sono eccellenti conservanti della vita microbica passata, ed erano ricche anche di carbonio organico, zolfo, ferro ossidato (ruggine) e fosforo. «La combinazione dei composti chimici che abbiamo trovato nella formazione Bright Angel avrebbe potuto essere una ricca fonte di energia per il metabolismo microbico», ha affermato Joel Hurowitz, scienziato di Perseverance della Stony Brook University di New York e autore principale dello studio.
I primi a raccogliere i dati sono stati gli strumenti PIXL e SHERLOC di Perseverance. PIXL è uno spettrometro (strumento che riesce a capire quali elementi sono presenti nel campione in base all’assorbimento o all’emissione di luce a lunghezze d’onda caratteristiche) a fluorescenza a raggi X (XRF), montato sul braccio robotico del Rover. SHERLOC è invece uno spettrometro Raman a fluorescenza UV (montato anch’esso sul braccio del Rover), progettato specificatamente per cercare molecole organiche e minerali legati all’acqua. Durante le indagini presso le Cheyava Falls, una roccia a forma di punta di freccia, gli strumenti hanno scoperto quelle che sembravano macchie scure irregolari che potevano essere state lasciate dalla vita microbica: dato che ricordavano le macchie del mantello di un leopardo sono state soprannominate “leopard spots” e sono ben visibili nelle immagini ravvicinate fatte da WATSON (la fotocamera del braccio di Perseverance). Ogni “spot” è ricco di minerali specifici come Greigite (solfuro di ferro) e Vivianite (fosfato di ferro); sulla Terra, i minerali come la Greigite si formano spesso in presenza di microbi (ad esempio batteri solfato-riduttori) e contengono tracce organiche che, combinate alla presenza di fosforo e zolfo, possono essere considerate potenziali biofirme.
Le ipotesi principali su come si siano formate queste “macchie di leopardo” sono principalmente due: 1) origine abiotica (non biologica), cioè si sono formate da semplici reazioni chimiche tra ferro, zolfo e fosforo in ambienti riducenti (senza ossigeno) con presenza di acqua. Ciò è del tutto possibile su Marte, ma questi processi richiedono alte temperature, mentre le analisi mineralogiche indicano che questa roccia si è formata in un ambiente freddo; 2) origine biotica (microbica), cioè si sono formate da microbi antichi che vivevano in ambienti ricchi di ferro e zolfo. Sulla Terra, infatti, batteri simili formano biofilm che poi si mineralizzano, lasciando “macchie” ricche di specifici minerali. Questa seconda ipotesi, con la presenza di ferro ridotto (cioè che ha acquisito elettroni) in un ambiente come quello marziano in cui il ferro è quasi tutto ossidato (cioè che ha ceduto elettroni), ha catturato l'interesse degli scienziati.
Per quanto riguarda l’arrivo dei campioni sulla Terra per effettuare le analisi, la missione deve essere effettuata in tre step: dopo la raccolta da parte del Rover Perseverance, che stiva i campioni in apposite capsule, un piccolo Rover su Marte le raccoglie per portarle su una piattaforma di lancio che le “spari” in orbita, dove serve una sonda che le intercetta e le porta sulla Terra. Come si può immaginare, si tratta di un programma estremamente complesso e costoso. Il problema è che le linee guida del budget NASA per l'anno 2026 rilasciate ad Aprile dall'amministrazione Trump-Vance prevedono un abbandono da parte degli USA dell'intero programma. Nello specifico, una nota rilasciata dalla NASA riporta che “coerentemente con la priorità dell’amministrazione di tornare sulla Luna prima della Cina e di mandare un americano su Marte, il bilancio farà avanzare missioni e progetti scientifici e di ricerca prioritari, ponendo fine a programmi finanziariamente insostenibili, tra cui il Mars Sample Return”.
Senza la partecipazione della NASA, al momento sembra quindi improbabile che in un prossimo futuro sia possibile analizzare i campioni marziani nei laboratori terrestri. Dovremo dunque ancora attendere a lungo prima di poter affermare con certezza l’esistenza di una reale forma di vita, passata o presente, su Marte. Fino ad allora, non ci resta che custodire queste ipotesi in preziose capsule della memoria, in attesa che la scienza trovi la chiave capace di aprirle al momento opportuno.