Spunti in altri autori: Dante e Machiavelli

Dante in riferimento a Silvio:


Io cominciai: "Poeta che mi guidi,

guarda la mia virtù s’ell’è possente,

prima ch’a l’alto passo tu mi fidi.

Tu dici che di Silvïo il parente,

corruttibile ancora, ad immortale

secolo andò, e fu sensibilmente.

Però, se l’avversario d’ogne male

cortese i fu, pensando l’alto effetto

ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale

non pare indegno ad omo d’intelletto;

(Inferno, II, vv. 10-19)


In riferimento a Romolo:

Quinci addivien ch’Esaù si diparte

per seme da Iacòb; e vien Quirino

da sì vil padre, che si rende a Marte

(Paradiso, VIII, vv. 130-132)

Machiavelli:

In riferimento a Romolo in Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio (cap. 9):

Come egli è necessario essere solo

a volere ordinare una repubblica

di nuovo, o al tutto fuor degli antichi

suoi ordini riformarla.


Ei parrà forse ad alcuno, che io sia troppo trascorso dentro nella istoria romana, non avendo fatto alcuna menzione ancora degli ordinatori di quella republica, né di quelli ordini che alla religione o alla milizia riguardassero. E però, non volendo tenere più sospesi gli animi di coloro che sopra questa parte volessono intendere alcune cose; dico come molti per avventura giudicheranno di cattivo esemplo, che uno fondatore d’un vivere civile, quale fu Romolo, abbia prima morto un suo fratello, dipoi consentito alla morte di Tito Tazio Sabino, eletto da lui compagno nel regno; giudicando, per questo, che gli suoi cittadini potessono con l’autorità del loro principe, per ambizione e desiderio di comandare, offendere quelli che alla loro autorità si opponessero. La quale opinione sarebbe vera, quando non si considerasse che fine lo avesse indotto a fare tal omicidio. E debbesi pigliare questo per una regola generale: che mai o rado occorre che alcuna republica o regno sia, da principio, ordinato bene, o al tutto di nuovo, fuora degli ordini vecchi, riformato, se non è ordinato da uno; anzi è necessario che uno solo sia quello che dia il modo, e dalla cui mente dependa qualunque simile ordinazione. Però, uno prudente ordinatore d’una republica, e che abbia questo animo, di volere giovare non a sé ma al bene comune, non alla sua propria successione ma alla comune patria, debbe ingegnarsi di avere l’autorità, solo; né mai uno ingegno savio riprenderà alcuno di alcuna azione straordinaria, che, per ordinare un regno o constituire una republica, usasse. Conviene bene, che, accusandolo il fatto, lo effetto lo scusi; e quando sia buono, come quello di Romolo, sempre lo scuserà: perché colui che è violento per guastare, non quello che è per racconciare, si debbe riprendere. Debbi bene in tanto essere prudente e virtuoso, che quella autorità che si ha presa non la lasci ereditaria a un altro: perché, sendo gli uomini più proni al male che al bene, potrebbe il suo successore usare ambiziosamente quello che virtuosamente da lui fusse stato usato […]. E che Romolo fusse di quelli che nella morte del fratello e del compagno meritasse scusa, e che quello che fece, fusse per il bene comune, e non per ambizione propria, lo dimostra lo avere quello, subito ordinato uno Senato, con il quale si consigliasse, e secondo la opinione del quale deliberasse. E chi considerrà bene l’autorità che Romolo si riserbò, vedrà non se ne essere riserbata alcun’altra che comandare agli eserciti quando si era deliberata la guerra e di ragunare il Senato. Il che si vide poi, quando Roma divenne libera per la cacciata de’ Tarquini, dove da’ Romani non fu innovato alcun ordine dello antico, se non che, in luogo d’uno Re perpetuo, fossero due Consoli annuali; il che testifica, tutti gli ordini primi di quella città essere stati più conformi a uno vivere civile e libero, che ad uno assoluto e tirannico.

Potrebbesi dare in sostentamento delle cose soprascritte infiniti esempli; come Moises, Licurgo, Solone, ed altri fondatori di regni e di republiche, e’ quali poterono, per aversi attribuito un’autorità, formare leggi a proposito del bene comune: ma li voglio lasciare indietro, come cosa nota […]. Considerato adunque tutte queste cose, conchiudo, come a ordinare una republica è necessario essere solo; e Romolo, per la morte di Remo e di Tito Tazio, meritare iscusa e non biasimo.

Boccaccio, Il comento sopra la Commedia di Dante Alighieri (pp. 133-135):

E dice quivi Enea essere padre di Roma e dello imperio, perciocchè quegli che di lui nacque ro per sedici re, infino a Numitore, che fu l’ultimo della schiatta d’Enea, regnarono in Alba per ispazio di quattrocentoventiquattro anni: poi essendo di Numitore re nata Ilia, e Amulio fratello di Numitore, più giovane d’età, tolto a Numitore il regno, fece uccidere un figliuolo di Numitore chiamato Lauso: e per torre ad Ilia speranza di figliuoli, la fece vergine Vestale, alle quali era pena d’essere sotterrate vive, se in adulterio fossero state trovate. Nondimeno questa Ilia, comecchè ella si facesse, o con cui ch’ella si giacesse, ella ingravidò, e partorì due figliuoli ad un parto, de’ quali l’uno fu chiamato Romolo e l’altro Remulo: li quali, essendo già per comandamento di Amulio Ilia stata sotterrata viva, furono gittati da persone mandate dal re a ciò, non nel corso del Tevero, al quale perchè cresciuto era non si poteva andare, ma alla riva: e ’l fiume scemato, e essi trovati vivi da una chiamata Acca Laurenzia, moglie d’un pastore del re chiamato Faustulo, furono raccolti e nutricati, niente sapendone il re, e così nominati da Faustulo: li quali cresciuti, ed avendo reale animo, ed essendo pastori, e capitani e maggiori di ladroni e d’uomini violenti, ed avendo da Faustulo sentito cui figliuoli erano; composto il modo tra loro fu l’un di loro preso, e menato davanti dal re, e accusato: e l’altro, attendendo il re ad udire la querela, feritolo di dietro, l’uccise, e a Numitore loro avolo, che in villa si stava, restituirono il reame; ed essi tornatisene laddove allevati erano stati fecero quella città, la qual da Romolo dinominata Roma, divenne donna del mondo; per la qual cosa appare Enea pa dre di Roma. Appresso partitosi Julio Proculo, il quale fu bisnepote di Julio Silvio, da Romolo re d’Alba, e discendente come detto è d’Enea; e venutosene con Romolo ad abitare a Roma, quivi fondò la famiglia de’ Giulii, secondo che Eusebio, in libro temporum, dice: li quali poi in Roma, per continue successioni, perseverando infino a Gaio Julio Cesare pervennero: il quale non avendo alcun figliuolo, s’adottò in figliuolo Ottaviano Ottavio (li cui antichi, secondo che dice Svetonio, de xii. Caesaribus, furono di Velletri) figliuolo d’una sua sirocchia carnale chiamata Julia: ed in costui poi fu di pari consentimento del senato e del popolo di Roma, come davanti è detto, commesso il governo della repubblica, e fu cognominato Augusto: e fu il primo imperadore, e de’ discendenti di Enea: e così Enea fu similmente padre dell’imperio, cioè della dignità imperiale.