Fonti in altri autori: Silvio

Aulo Gellio, Noctes Atticae, II, 16

Quod Caesellius Vindex a Sulpicio Apollinari reprehensus est in sensus Vergiliani enarratione I Vergilii versus sunt e libro sexto:

ille, vides, pura iuvenis qui nititur hasta, proxima sorte tenet lucis loca. Primus ad auras aetherias Italo commixtus sanguine surget Silvius, Albanum nomen, tua postuma proles, quem tibi longaevo serum

Lavinia coniunx educet silvis regem regumque parentem: unde genus Longa nostrum dominabitur Alba. Videbantur haec nequaquam convenire: tua postuma proles, et: quem tibi longaevo serum Lavinia coniunx educet silvis. Nam si hic Silvius, ita ut in omnium ferme annalium monumentis scriptum est, post patris mortem natus est ob eamque causam praenomen ei Postumo fuit, qua ratione subiectum est: quem tibi longaevo serum Lavinia coniunx educet silvis? Haec enim verba significare videri possunt Aenea vivo ac iam sene natum ei Silvium et educatum. Itaque hanc sententiam esse verborum istorum Caesellius opinatus in commentario lectionum antiquarum: ""postuma"" inquit ""proles"" non eum significat, qui patre mortuo, sed qui postremo loco natus est, sicuti Silvius, qui Aenea iam sene tardo seroque partu est editus." Sed huius historiae auctorem idoneum nullum nominat; Silvium autem post Aeneae mortem, sicuti diximus, natum esse multi tradiderunt. Idcirco Apollinaris Sulpicius inter cetera, in quis Caesellium reprehendit, hoc quoque eius quasi erratum animadvertit errorisque istius hanc esse causam dixit, quod scriptum ita sit "Quem tibi longaevo". ""Longaevo"" inquit "non seni significat - hoc enim est contra historiae fidem, sed in longum iam aevum et perpetuum recepto immortalique facto. Anchises enim, qui haec ad filium dicit, sciebat eum, cum hominum vita discessisset, immortalem atque indigetem futurum et longo perpetuoque aevo potiturum."10 Hoc sane Apollinaris argute. Sed aliud tamen est "longum aevum", aliud "perpetuum", neque dii "longaevi" appellantur, sed "inmortales".

Il fatto che Cesellio Vindice fu criticato da Sulpicio Apollinare nella spiegazione di un significato di Virgilio. I versi di Virgilio dal sesto libro sono:

vedi, quel giovane che si poggia con l'asta spuntata, raggiunge con la prossima sorte i luoghi della luce. Per primo alle arie eteree misto col sangue italico sorgerà Silvio, nome albano, tua postuma prole, che a te longevo tardivamente

Lavinia la sposa alleverà re e padre di re nelle selve: onde la nostra stirpe dominerà Albalonga. Queste parole non sembravano affatto conciliarsi: tua postuma prole, e: che a te vecchio tardivamente Lavinia la sposa alleverà nelle selve. Infatti se questo Silvio, così come fu scritto nelle testimoniane di quasi tutti gli annali, nacque dopo a morte del padre e per questo motivo ci fu per lui il prenome Postumo, in che senso fu inteso: che a te anziano tardivamente Lavinia la sposa alleverà nelle selve? Infatti queste parole possono sembrare significare che vivo Enea e ormai vecchio nato a lui Silvio ed allevato. Perciò Cesellio nel commento delle antiche letture aver pensato essere quest'affermazione di questi significati: "postuma prole" dice "non significa lui, che era nato dopo morto il padre, ma per ultimo, come Silvio, che è generato ad Enea ormai vecchio e con una nascita tardiva". Ma non cita nessun autore affidabile di questa storia; Molti tramandarono che Silvio era nato poi dopo la morte di Enea, come abbiamo detto. Perciò Sulpicio Apollinare fra le altre cose, su cui criticò Cesellio, vide anche questo come un suo errore e disse che questo era il motivo di quest'errore, poiché è stato scritto così "Che a te longevo". "Longevo-dice-non significa vecchio-infatti ciò è contro la verità della storia, ma accolto in ormai lunga e continuativa età e reso immortale. Infatti Anchise, che dice al figlio queste cose, sapeva che lui, quando si sarebbe staccato dalla vita degli uomini, sarebbe stato immortale e divinità del luogo e avrebbe goduto di un'età lunga e perpetua". Certo argutamente questo di Apollinare. Ma tuttavia una cosa è "lunga età", un'altra "perpetua", né gli dei sono detti "longevi", ma "immortali".

Livio, Ab Urbe Condita, 1, 3

Silvius deinde regnat Ascani filius, casu quodam in silvis natus; is Aeneam Silvium creat; is deinde Latinum Silvium. Ab eo coloniae aliquot deductae, Prisci Latini appellati. Mansit Silviis postea omnibus cognomen, qui Albae regnarunt. Latino Alba ortus, Alba Atys, Atye Capys, Capye Capetus, Capeto Tiberinus, qui in traiectu Albulae amnis submersus celebre ad posteros nomen flumini dedit. Agrippa inde Tiberini filius, post Agrippam Romulus Silvius a patre accepto imperio regnat. Aventino fulmine ipse ictus regnum per manus tradidit. Is sepultus in eo colle qui nunc pars Romanae est urbis, cognomen colli fecit.

Poi regna Silvio figlio di Ascanio, per caso nato in una selva; egli genera Enea Silvio; questo poi (genera) Latino Silvio. Da lui alcune colonie furono fondate, chiamate dei prischi latini. Rimase poi il nome di Silvio a tutti, quelli che regnarono in Alba. Da Latino nacque Alba, da Alba Atys, da Atys Capys, da Capys Capeto, da Capeto Tiberino, che nel passaggio del fiume Ambula annegato diede al fiume il nome celebre presso i posteri. Agrippa poi figlio di Tiberino, dopo Agrippa Romolo Silvio regna ricevuto il comando dal padre. Colpito egli stesso da un fulmine lasciò il regno direttamente ad Aventino. Egli sepolto su quel colle che ora è parte della città di Roma, diede il nome al colle stesso.

Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, I, 70-71,1

Ἀσκανίου δὲ ὀγδόῳ καὶ τριακοστῷ ἔτει τῆς βασιλείας τελευτήσαντος παρέλαβε τὴν ἡγεμονίαν Σιλούιος ἀδελφὸς ὢν Ἀσκανίου, μετὰ τὸν Αἰνείου θάνατον γενόμενος ἐκ Λαύνας τῆς Λατίνου θυγατρός, ὅν φασιν ἐν τοῖς ὄρεσιν ὑπὸ τῶν νομέων ἐκτραφῆναι. τοῦ γὰρ Ἀσκανίου παραλαβόντος τὴν βασιλείαν περιδεὴς ἡ Λαῦνα γενομένη μή τι δεινὸν ὑπ' αὐτοῦ πάθῃ κατὰ τὸ τῆς μητρυιᾶς ὄνομα, ἐγκύμων οὖσα δίδωσιν ἑαυτὴν Τυρρηνῷ τινι συοφορβίων ἐπιμελητῇ βασιλικῶν, ὃν ᾔδει Λατίνῳ γενόμενον ἐν τοῖς μάλιστα προσήγορον. ὁ δ' εἰς ὕλας ἐρήμους ἀγαγὼν αὐτὴν ὡς τῶν ἐπιτυχουσῶν τινα, φυλαττόμενος ὀφθῆναι τοῖς εἰδόσιν ἔτρεφεν ἐν τῇ νάπῃ κατασκευάσας οἴκησιν οὐ πολλοῖς γνώριμον καὶ τὸ παιδίον γενόμενον ἀναιρεῖταί τε καὶ τρέφει Σιλούιον ὀνομάσας ἀπὸ τῆς ὕλης, ὥσπερ ἂν εἴ τις Ἑλλάδι γλώσσῃ λέξειεν Ὑλαῖον. χρόνου δὲ προϊόντος ὡς πολλὴν ζήτησιν ἔγνω τῆς γυναικὸς ὑπὸ τῶν Λατίνων γινομένην καὶ δι' αἰτίας ὄντα παρὰ τῷ πλήθει τὸν Ἀσκάνιον, ὡς ἀνῃρηκότα τὴν παιδίσκην, φράζει τῷ δήμῳ τὸ πρᾶγμα καὶ τὴν ἄνθρωπον ἄγει μετὰ τοῦ παιδὸς ἐκ τῆς νάπης. τύχῃ μὲν δὴ τοιαύτῃ χρησάμενος ὁ Σιλούϊος τὴν εἰρημένην ἔσχεν ὀνομασίαν καὶ τὸ ἐξ ἐκείνου γένος ἅπαν, τὴν ‹δὲ› βασιλείαν παρέλαβεν, ἐπειδὴ τὸν ἀδελφὸν αὐτοῦ τελευτῆσαι συνέπεσεν, ἀμφίλογον γενομένην πρὸς ἕνα τὸν πρεσβεύσαντα τῶν Ἀσκανίου παίδων Ἴουλον ἀξιοῦντα τὴν πατρῴαν ἀρχὴν διαδέξασθαι. τὴν δὲ δίκην ἐπεψήφισεν ὁ δῆμος ἄλλοις τε ὑπαχθεὶς λόγοις καὶ οὐχ ἥκιστα ὅτι μητρὸς ἦν ὁ Σιλούϊος ἐπικλήρου τῆς ἀρχῆς. Ἰούλῳ δὲ ἀντὶ τῆς βασιλείας ἱερά τις ἐξουσία προσετέθη καὶ τιμὴ τῷ τε ἀκινδύνῳ προὔχουσα τῆς μοναρχίας καὶ τῇ ῥαστώνῃ τοῦ βίου, ἣν ἔτι καὶ εἰς ἐμὲ τὸ ἐξ αὐτοῦ γένος ἐκαρποῦτο, Ἰούλιοι κληθέντες ἀπ' ἐκείνου. ἐγένετο δὲ μέγιστος ἅμα καὶ λαμπρότατος οἴκων οὗτος, ὧν ἡμεῖς ἴσμεν, ἄνδρας τε διαφορωτάτους ἡγεμόνων ἤνεγκεν, οἷς τὸ εὐγενὲς αἱ ἀρεταὶ μὴ ἀπιστεῖσθαι παρέσχον· ὑπὲρ ὧν ἐν ἄλλῳ δηλωθήσεται λόγῳ τὰ προσήκοντα. Σιλουΐου δ' ἑνὸς δέοντα τριάκοντα ἔτη κατασχόντος τὴν ἀρχὴν Αἰνείας υἱὸς αὐτοῦ διαδεξάμενος τὴν δυναστείαν ἑνὶ πλείω τριάκοντα ἐτῶν ἐβασίλευσεν.

Alla morte di Ascanio nel trentottesimo anno del suo regno, Silvio, suo fratello, succedette al governo. Egli era nato da Lavinia, figlia di Latino, dopo la morte di Enea, e si dice che sia stato allevato sui monti dai pastori. Infatti, quando Ascanio assunse il comando, Lavinia, allarmata dal fatto che il suo rapporto di matrigna potesse attirare su di lei qualche severità da parte di lui, ed essendo allora incinta, si affidò a un certo Tirreno, che aveva la responsabilità delle mandrie reali di porci e che sapeva essere in rapporti molto intimi con Latino. Egli, portandola nei boschi solitari come se fosse una donna qualunque, e facendo attenzione che non fosse vista da nessuno che la conoscesse, la mantenne in una casa da lui costruita nella foresta, che era nota a pochi. E quando il bambino nacque, lo prese e lo allevò, chiamandolo, dal bosco, Silvius, o, come si direbbe in greco, Hylaios. Ma nel corso del tempo, scoprendo che i Latini cercavano con insistenza la donna e che il popolo accusava Ascanio di averla messa a morte, egli fece loro conoscere l'intera faccenda e fece uscire la donna e suo figlio dalla foresta. Da questa esperienza Silvio prese il suo nome, come ho raccontato, e così fece tutta la sua posterità. E divenne re dopo la morte di suo fratello, anche se non senza una contesa con uno dei figli di Ascanio, Iulo, il maggiore, che rivendicava la successione al regno di suo padre; la questione fu decisa dal voto del popolo, influenzato soprattutto da questa considerazione, tra le altre, che la madre di Silvio era erede del regno. A Iulo fu conferita, invece della sovranità, una certa autorità sacra e un onore preferibile alla dignità reale sia per la sicurezza che per la comodità della vita, e questa prerogativa fu goduta fino ai miei giorni dai suoi posteri, che da lui furono chiamati Julii. Questa casa divenne la più grande e allo stesso tempo la più illustre di tutte quelle che conosciamo, e produsse i comandanti più illustri, le cui virtù erano altrettante prove della loro nobiltà. Ma su di loro dirò ciò che è necessario in un altro luogo. Silvio, dopo aver tenuto la sovranità ventinove anni, fu succeduto da Enea, suo figlio, che regnò trentuno anni.