Fonti in altri autori: lirici

Propertius, Elegiae III, 18

Clausus ab umbroso qua ludit pontus Averno,

umida Baiarum stagna tepentis aquae,

qua iacet et Troiae tubicen Misenus harena,

et sonat Heirculeo structa labore via;

hic, ubi moitalis dextra cum quaereret urbes,

Cymbala Thebano concrepuere Deo;

at nunc invisae magno cum crimine Baiae,

quis deus in vestra constitit hostis aqua?

His pressus Stygias vultum demersit in undas;

errat et in vestro spiritus ille lacu.

Quid genus, aut virtus, aut optima profuit illi

mater, et amplexo Caesaris esse focos?

Aut modo tam pleno fluitantia vela theatro,

et per maternas omnia gesta manus?

Occidit, et misero steterat vicesimus annus.

Tot bona tam parvo clausit in orbe dies,

i nunc, tolle animos, et tecum finge triumphos,

stantiaque in plausum tota theatra iuvent.

Attalicas supera vestes, atque omnia magnis

gemmea sint ludis: ignibus usta dabis.

Sed tamen huc omnes: huc primus et ultimus ordo:

est mala, sed cunctis ista terenda via.

Exoranda canis tria sunt latrantia colla:

scandenda est torvi publica cymba senis.

Ille licet ferro cautus se condat et aere,

mors tamen inclusum protrahit inde caput.

Nirea non facies, non vis exemit Achillem,

Croesum aut, Pactoli quas parit humor, opes.

At tibi, nauta, pias hominum qui tracjicis umbras,

hoc animae portes corpus inane suae,

qua Siculae victor telluris Claudius, et qua

Caesar ab humana cessit in astra via.

Qua dove chiuso dall'ombroso Averno il mare percuote gli stagni fumanti della tiepida acqua di Baia, sulla spiaggia dove giace il trombettiere troiano Miseno, e risuona le strada costruita col lavoro di Ercole; qui dove, visitando benigno le città degli uomini, risuonarono i cembali per il dio Tebano, ma ora con grande colpa dell'odiata Baia, oscura per il profondo senso di colpa, quale dio si fermò ostile nella tua acqua? - qui è affondato, colpito dall'onda dello Stige, e quello spirito nobile vaga sopra al tuo lago.

A cosa gli è servita la nascita, la virtù o la pietà della madre? A cosa gli è servita la sua unione con la casa di Cesare, o i veli poc’anzi ondeggianti del teatro così affollato o tutto ciò che le mani di sua madre avevano fatto per lui? È morto, e l’infelice era arrivato al suo ventesimo anno di vita. Tale gloria raggiunse in così poco tempo!

Va’ ora, ergiti altero nell’animo e sogna di trionfare, gioisci quando interi teatri si alzano in piedi per applaudire, supera le vesti attaliche, ai grandi giochi lascia che tutti brillino di gemme: tutte queste glorie cederai ai fuochi della morte. Eppure qui alla fine giungono tutti, i nobili e i poveri; la via è amara, ma tutti devono percorrerla; tutti devono supplicare la triplice gola latrante del cane e salire sulla barca di quell'orribile vecchio dalla barba grigia che aspetta tutti. Anche se un uomo cerca di salvarsi per mezzo di muri di ferro e di ottone, la morte trascinerà la sua testa fuori dal suo rifugio. La bellezza non salvò Nireo, né il valore Achille, né Creso fu salvato dalla ricchezza nata dalle acque del Pattolo.

Ma a te, o traghettatore di anime pie, fa' che portino questo corpo vuoto del suo spirito; per dove Claudio, vincitore della Sicilia, e Cesare passarono dall’umana via agli astri.

Se Lucrezio avesse letto l’espressione virgiliana “si qua fata aspera rumpas” (v. 882) l’avrebbe considerata solo una grand’iperbole, sostenendo lui l’impossibilità di rompere le leggi della fisica epicurea da lui definite fatum (Rer. Nat. 2, 254). Questa è però anche una forzatura, riferendosi i due autori a concetti leggermente diversi. I “fata” che si spera invano vengano volati dal giovane non sono dissimili dai destini dei bambini travolti dalla guerra civile in Phars. 2, 107. Altrove (LVCAN. Phars. 1, 264 e STAT. silu. 4, 6, 71) è il fatum a rompere qualcosa (gli indugi e le imprese di Alessandro rispettivamente), non il contrario.

Evidentissima la somiglianza di “Sed nox atra caput tristi circumvolat umbra” (v. 866) con Hor. Sat. 2, 158, in cui il poeta afferma che non rinuncerebbe a scrivere satire neppure se la morte girasse intorno alla sua testa; parallelamente nelle Puniche di Silio Italico, 9, 45, la nox Stygia gira intorno a delle vite innocenti il che è una palese citazione. Silio fa uso del termine in varie occasioni, in cui ad aggirarsi non è mai nulla di positivo.

L’espressione miserandus puer (v. 882) non è così solita come un semplice “miser puer”, ed entrambe possono avere due sfumature opposte di significato; ci risulta che in relazione ad un puer la usi solo Stazio, ma ciò non è molto degno di nota in quanto ha lì il significato di “esecrando”.