Espressioni significative

Miserande puer

Queste parole si riferiscono a Marcello, il cui infausto destino è già scritto. Nell’Eneide di Virgilio vengono utilizzate con il significato di “fanciullo degno di compianto” anche in altre occasioni in cui si piange la morte di un valoroso giovane.

In Aen. X, v. 825, viene usata da Enea relativamente a Lauso morente, che genera in lui compassione.

"Quid tibi nunc, miserande puer, pro laudibus istis,

Quid pius Aeneas tanta dabit indole dignum?

Arma, quibus laetatus, habe tua; teque parentum

Manibus et cineri, si qua est ea cura, remitto.

Hoc tamen infelix miseram solabere mortem:

Aeneae magni dextra cadis" (…).


“Che cosa, o miserando fanciullo, per questa tua gloria,

il pio Enea ti darà, degno di tale cuore?

Le armi di cui ti allietavi, abbile tue. Ti rimando

ai Mani e al cenere degli avi, se di ciò ti curi.

Questo tuttavia, o infelice, consolerà la sventurata morte:

cadi per la destra del grande Enea.” (…).


La ritroviamo in Aen. XI, v. 42, pronunciata, anche in questo caso, da Enea dopo la morte di Pallante.

Ipse caput nivei fultum Pallantis et ora

Vt vidit levique patens in pectore vulnus

Cuspidis Ausoniae, lacrimis ita fatur obortis:

"Tene", inquit, "miserande puer, cum laeta veniret,

Invidit Fortuna mihi, ne regna videres

Nostra neque ad sedes victor veherere paternas? (...).”


Egli, come vide il capo poggiato e il volto del niveo

Pallante, e nel delicato petto la ferita aperta

della punta ausonia, parla tra lo sgorgare delle lacrime:

“La Fortuna, o sventurato fanciullo appena veniva propizia,

ti tolse a me affinché non vedessi il nostro regno,

e non fossi riportato vittorioso alla casa paterna? (…).”


Inani munere

Per Marcello l’onore è inutile, in quanto non potrà goderne a lungo. La parola munus, all’interno del libro sesto, si trova anche al v. 142 (Hoc sibi pulchra suum ferri Proserpina munus / instituit.) e si riferisce al ramo d’oro che Proserpina richiede come dono. Compare nuovamente al v. 526 in riferimento alla vicenda di Deifobo nel passo di seguito riportato:

Intra tecta uocat Menelaum et limina pandit,

scilicet id magnum sperans fore munus amanti,

et famam exstingui ueterum sic posse malorum.


Chiama Menelao nelle stanze, e apre le porte,

certo sperando che questo sarebbe un gran dono all’amante,

e che potesse così estinguersi la fama delle antiche colpe.


Compare poi al v. 629:

Haec ubi dicta dedit Phoebi longaeua sacerdos,

"Sed iam age, carpe uiam et susceptum perfice munus;

acceleremus", ait;


Detto così, l’annosa sacerdotessa di Febo:

“Avanti” esclama, “prendi la via e compi

il proposito; (…)”.


Inanis compare nelle Georgiche e nell’Eneide con il significato di vuoto, vano, inutile o senza vita. Possiamo trovare alcuni esempi nei passi di seguito riportati.

Verg., Georg. I, 493-497

Scilicet et tempus ueniet cum finibus illis

Agricola incuruo terram molitus aratro

Exesa inueniet scabra robigine pila,

Aut grauibus rastris galeas pulsabit inanis,

Grandiaque effossis mirabitur ossa sepulchris.


Tempo verrà in cui il contadino,

smuovendo con l'aratro la terra di quei luoghi,

troverà lance corrose dal morso della ruggine,

con la forza dei rastri urterà elmi senza vita

e guarderà stupito ossa smisurate

nell'alveo dei sepolcri.


Verg., Aen. VI, 648-651

Hic genus antiquum Teucri, pulcherrima proles,

Magnanimi heroes, nati melioribus annis,

Ilusque Assaracusque et Troiae Dardanus auctor.

Arma procul currusque uirum mirantur inanis.


Qui l’antica stirpe di Teucro, bellissima prole,

magnanimi eroi, nati in anni migliori,

Ilo e Anassaraco e Dardano fondatore di Troia.

Lontano Enea ammira le armi e i vuoti carri degli eroi.


Verg., Aen. X, 457-465

Hunc ubi contiguum missae fore credidit hastae,

Ire prior Pallas, si qua fors adiuuet ausum

Viribus imparibus, magnumque ita ad aethera fatur:

"Per patris hospitium et mensas, quas aduena adisti,

Te precor, Alcide, coeptis ingentibus adsis.

Cernat semineci sibi me rapere arma cruenta

Victoremque ferant morientia lumina Turni."

Audiit Alcides iuuenem magnumque sub imo

Corde premit gemitum lacrimasque effundit inanis.


Quando credette che fosse a tiro di lancia, Pallante

muove per primo, sperando che la sorte aiuti l’audacia

della sua impari forza, e parla così al grande cielo:

“Per l’ospitalità del padre e per la mensa a cui giungesti straniero,

ti prego, Alcide, assistimi nell’ardua impresa.

Agonizzante, mi veda strappargli le armi insanguinate,

e gli occhi morenti di Turno sopportino me vincitore”.

Ercole ode il giovane, e soffoca un grande gemito

nel profondo del petto, e versa lagrime vane.


Questo passo precede il commovente episodio della morte di Pallante. Le lacrime di Ercole sono definite vane perché il destino funesto del giovane è già stabilito. Anche qui l’aggettivo inanis precede un evento tragico che dovrà inevitabilmente avere luogo.