Commento di Maria Vittoria Villalta

Il passo consiste nell’introduzione e nel primo assaggio di quella che sarà la futura prole dell’eroe Enea. All’interno di questi primi versi introduttivi appaiono due cruciali espressioni: “Dardania proles” e “Itala de gente nepotes”, l’una che pone a capo della grande discendenza romana la “pura” famiglia troiana di Enea, l’altra che indica la discendenza “mista” di sangue troiano e italico. L’anziano padre Anchise, infatti, illustra i discendenti del figlio a partire da quello più vicino per sorte: Silvio, “albanum nomen”. L’espressione sta a indicare che il nome, in seguito, divenne comune ad Alba, come dice Livio 1.3. “mansit Silvius postea omnibus cognomen qui Albae regnaverunt” (Conington). Silvio viene inoltre definito “postumus”, aggettivo che può essere applicato ai bambini nati dopo la morte del padre. Vengono successivamente citati altri “iuvenes” quali Proca, Capi, Numitore e Silvio Enea, destinati a diventare eroi romani; prima che Anchise introduca la figura di Romolo. Romolo viene rappresentato in questi versi con un elmo a doppio pennacchio, elemento tipico di suo padre Marte, con cui il fondatore di Roma veniva spesso raffigurato. Il passo si chiude infine con una similitudine che paragona Roma feconda d’eroi alla madre Berecinzia (Cibele) feconda di dei, che avanza fra i borghi di Frigia abbracciando cento nipoti celesti tutti. La similitudine conclusiva vuole quindi forse stabilire una connessione storico-culturale fra Roma e Troia. È infine interessante notare che la storia della futura capitale dell’impero viene rappresentata come un cammino di eroi, che avanza verso il proprio futuro.