Commento di Anna Scodellaro

I versi 860-883 sono inseriti nella sezione del libro sesto dedicata alla discesa agli Inferi, in cui Enea incontra anche le anime degli uomini che renderanno grande Roma. Qui, accanto a Marco Claudio Marcello (virum, verso 863), vincitore della battaglia di Clastidium del 222 a.C., troviamo Marco Claudio Marcello il Giovane, suo pronipote per parte paterna. Tale valoroso giovane è avvolto da una nube oscura e triste, che preannuncia la sua morte, avvenuta nel 23 a.C., a soli diciannove anni. Il suo luogo di sepoltura sarà un tumulum recentem (v.874), il mausoleo di Augusto, costruito sulla riva del Tevere nel 28 a.C. Di qui ha inizio l’epicedio di Marcello, recitato da Anchise e, forse, ispirato all’orazione funebre pronunciata in suo onore da Augusto, che lo aveva adottato e, probabilmente, scelto come suo successore. Esso è particolarmente commovente, tanto che si narra che Ottavia, madre di Marcello e sorella di Augusto, svenne quando lo sentì recitare. Degna di nota è l’espressione “Manibus date lilia plenis” (Spargete gigli a piene mani), ripresa da Dante Alighieri in Purgatorio XXX, verso 21, dove viene pronunciata dagli angeli nei momenti che precedono l’apparizione di Beatrice per dare una maggiore solennità all’evento. Interessante è, inoltre, l’utilizzo dell’aggettivo inanis, che sottolinea come l’onore sia ormai inutile, dal momento che Marcello non sarà in grado di sfuggire all’inevitabile disegno del Fato. Questo episodio ricorda gli ultimi istanti di vita del giovane Pallante (Eneide X, vv. 457-465), nei quali Ercole versa lacrime vane, ben sapendo che il destino del giovane principe è ormai segnato. Aggettivi ed espressioni come nox atra (v. 866), tristi umbra (v. 866), lacrimis (v. 867) e miserande puer (v. 882), insieme alle speranze riposte nel ragazzo suscitano commozione per il destino funesto del giovane e provocano un effetto di pathos nel lettore, il quale partecipa, anche a secoli di distanza, a questo ingentem luctum.