Commento di Lisa Dotta

Virgilio fa in questa parte finale del libro VI una lunga dedica al giovane Marco Claudio Marcello, scomparso prematuramente a dispetto della brillante carriera politico-militare che gli si prospettava: protetto di Ottaviano, egli era uno dei candidati alla successione in quanto suo nipote, figlio di Ottavia. Tale era la predilezione di Ottaviano nei confronti del giovane che, oltre ad essergli stata concessa la mano di Giulia, sua unica figlia, fu accelerato di dieci anni il suo cursus honorum. Marcello, ventenne, già poteva entrare in Senato, e candidarsi alla carica di console: a quel punto, il giovane aveva già prestato servizio militare in Spagna, al fianco di Tiberio, come tribuno militare. Terribile, veder stroncata dalla malattia una promettente giovane vita così vicina all’imperatore: l’epicedio di Marcello è intenso e commovente. Le lacrime che versa Anchise nel testo, parlando in enjambement che sembrano singhiozzi (videbis/funera, invictaque bello/dextera, fungar inani/munere), sono le stesse che la leggenda dipinge sul volto di Ottavia, che sviene tra le braccia del fratello dopo aver sentito declamare questi versi dal poeta. Perfettamente collocato, in chiusura rispetto alla lunga fila di illustri personalità della grande città che verrà, senza imporsi su nessuno di loro né togliere il focus dovuto ad ognuno, Ottaviano in primis, l’epicedio del giovane Marcello prende il suo rilievo e il suo significato anche come prova della duplicità della gloria di Roma: giovani morti come quella del nipote di Ottaviano costellano la storia di una potenza che nasce. Marcello Minore è il primo ad apparire, nel poema, degli eroi morti prematuramente, e Anchise è il primo dei padri in lutto. Il sesto libro serve anche a questo, concludere il viaggio di Enea e dare inizio alla sua guerra per il Lazio, e lo fa anticipando, con la figura di Marcello in armi, maestoso e triste, simbolo di gloria e di morte, ciò che vivremo andando avanti nella lettura.