Commento di Davide Agnolin

Virgilio ai versi 756-787 presenta i futuri eroi di Roma, discendenti di Enea. Primo tra essi Silvio, figlio di Enea e Lavinia, che poggia su un'asta priva di cuspide, il premio riservato ai giovani combattenti per un successo militare. In varianti della tradizione Silvio può figurare il figlio di Ascanio, secondo la ricostruzione genealogica di un lignaggio maschile: nei due versi seguenti Virgilio dà ragione del suo nome, definendo quella di Silvio una “denominazione albana” che allude senz'altro alla latina lingua dei futuri Albani. Proseguendo il discorso il poeta latino cita Proca; poi Capi; poi Numitore, figlio di Proca e nonno di Romolo e Remo: privato del regno del fratello Amelio, egli lo riottenne grazie ai nipoti, che uccisero l'usurpatore; poi Silvio Enea: vero nipote di Enea, il cui nome viene chiarito da Servio, il quale menziona un tutore che avrebbe usurpato il regno di Silvio Enea per cinquantatré anni. Altre testimonianze antiche, invece, smentiscono il grammatico e attribuiscono a Silvio Enea un lungo regno durato trentuno anni. In seguito Virgilio esalta il vigore dei discendenti, i quali “portano le tempie ombrate della civica quercia”: la corona di quercia, chiamata “civica”, veniva conferita al cittadino romano che avesse salvato di sua mano un altro cittadino dal nemico. Coloro che la ottenevano avevano il diritto di portarla tutta la vita e godevano persino di particolari privilegi, anche di natura fiscale. Infine l'autore del poema epico cita Romolo, a cui conferisce l'epiteto di “mavorzio”, costituito dalla nomenclatura arcaica in quanto figlio di Marte, e afferma che Romolo stesso con i suoi auspici “l'impero [...] e sette cime circonderà per sé con un unico muro, fertile per progenie d'eroi”. In riferimento a ciò, da una parte Virgilio parla di “fortezze” (arces) pertinenti alla pianificazione urbanistica, e ne annovera sette, secondo ciò che sarebbe stato divulgato nei secoli a venire (Roma, città dei “sette colli”); dall'altra parla della “madre berecinzia”, epiteto di Cibele, considerata la “Madre”, che i Greci identificarono con Rea, madre degli dèi olimpii fratelli di Giove.