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Pagine segrete
Non chiamiamoli disegni, non chiamiamole poesie. Non c’è una parola, un’invenzione che possa definire esattamente due momenti così vicini del medesimo pensiero, oppure che li confonda, sospendendo per ogni istante ogni nostra distinzione? Senza una parola apriamo allora, semplicemente, queste pagine, questo diario segreto, notturno. Entriamo in questa indistinzione.
“C’è una naturale alleanza fra verità e dolore”. Trascrivo questo pensiero di Simone Weil perché mi sembra che riveli il segreto di ogni vera ricerca e di quella che anima le pagine del nostro libro in particolare. L’estremo, a volte disperato rigore di un itinerario, di un viaggio nella notte per il quale ciò che conta è mettere sempre in gioco il nucleo più profondo e ogni più segreto, imprevedibile frammento del nostro essere. Solitudine, assoluto soggettivismo ma poi, come speculare, una straordinaria capacità di guardare e di ascoltare, di amare. Sono queste le cellule che sprigionano la loro vitale energia in ogni pagina.
Una innata ma non inconsapevole qualità del segno e della scrittura che insieme, si può veramente dire l’uno per l’altra, tessono un ordito ricchissimo. Il disegno rimanda alla poesia, la poesia al disegno con una sorprendente fluidità. Non è certo frequente nella nostra cultura questa fluidità, questa naturale simbiosi. Quando parola e immagine provano a dialogare nella stessa pagina, quasi sempre la scrittura diventa commento se non addirittura didascalia dell’immagine o, al contrario, il segno si fa accompagnamento, estetico ornamento del testo, della poesia. Ora invece per incanto, segno e parola si accordano come due note dello stesso strumento. E allora il libro si apre, è l’abitazione, lo spazio intimo e profondo dove è ancora possibile ascoltare immediatamente, sensibilmente la vibrazione di un segno, il suono, il dolore di un canto.
Guido Piacentini, Bologna 2004
Poesia del segno o segno della poesia; oppure un ‘libro d’artista’ che comprende entrambi: è il lavoro di Elena Latini.
Il suo intimismo silente levita sugli spessori del segno, e delle sue ombre, come fossero feltri ovattati che permeano l’ambiente, occultando e svelando oggetti e cose; negli arcani interni così affiorati l’artista tocca limiti di ineffabile visivo, rievocando atmosfere postimpressioniste, fra il simbolismo proustiano dei nabis e quello, di sovrana sintesi, toccato nei disegni da Georges Seurat.
Adriano Baccilieri, Bologna 2005
Immaginario
Dieci disegni di Elena Latini
Elena Latini mi ha chiesto di dire qualche parola, una breve introduzione alle opere che oggi espone in questa bella libreria.
Conosco Elena da molti anni, da quando frequentava l’Accademia di Belle Arti, ho sempre guardato con grande interesse e ammirazione i suoi lavori e allora parlare di lei, del suo percorso artistico dovrebbe essere per me abbastanza facile. È vero invece il contrario perché Elena è una persona che fa della concisione e del rigore il centro profondo del suo impegno morale e artistico e allora ogni pensiero, ogni commento rischia di apparire invadente o superfluo.
Cercando dunque una piccola chiave di lettura, una breve riflessione che mi consentisse di avvicinarmi alla silenziosa poesia dei suoi disegni, mi ha improvvisamente illuminato il pensiero di un grande maestro Sufi del XIII secolo. Parlo di Ibn 'Atā' Allāh che in una sua opera, Sentenze e colloquio mistico, scrive questa sentenza: “Se non fosse per la bellezza del suo velo, nessuna opera sarebbe degna.” Naturalmente queste parole vanno intese in senso mistico, trascendentale, religioso ma poiché l’arte è essa stessa una religione e poiché forse è la prima volta che questo grande maestro pronuncia la parola “bellezza”, allora penso che non sia sbagliato intendere queste parole anche in senso estetico.
“Se non fosse per la bellezza del suo velo…”, ecco, secondo me, una possibile chiave di lettura per intendere la ricerca artistica di Elena Latini: velare per svelare, velare e ri-velare (significativa apparente ambiguità della lingua italiana).
Lo strumento principale di lavoro di Elena è la matita. Tratto distintivo delle sue opere, piccole o grandi che siano è la presenza di una fitta trama di segni, per lo più verticali, che producono una magica velatura, una luminosa vibrazione. Attraverso la concentrazione e la rarefazione di questi segni affiorano poi delle forme reali, riconoscibili. Il segno, di per sé astratto, fa emergere, come per incanto, delle figure. Sono persone, oggetti, paesaggi e non sono dei semplici pretesti, al contrario, presenze molto importanti nella vita e nella memoria dell’artista.
Protagonisti dei dieci disegni oggi in mostra sono una amatissima nonna e il paesaggio delle colline marchigiane. Ma di questa indimenticabile donna e dei luoghi nei quali visse e lavorò sarà ora Elena a parlarci.
Guido Piacentini, Bologna 2016