STUDIO LEGALE CIVILE E PENALE
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Fori Principali BARI - NAPOLI - COSENZA
Avvocato Pasquale F. DE ROSA
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Già iscritto presso l'ordine degli avvocati di Rossano, con abilitazione al patrocinio nel 2006 ed esercizio presso i Tribunali di Rossano, Castrovillari, Catanzaro, Cosenza, Crotone, Lamezia Terme, Paola e Vibo Valentia, si è abilitato alla professione di AVVOCATO nella prima sessione utile successiva. Collateralmente alla professione forense si è occupato di istruzione e formazione.
Docente di ruolo presso l'I.I.S.S. "Tommaso Fiore" di Modugno (Liceo e Tecnico-Economico), attualmente è iscritto presso l'Albo degli Avvocati di Bari.
Tratta principalmente di:
FAMIGLIA E SUCCESSIONI
TUTELA PENALE E RISARCITORIA
ASTE GIUDIZIARIE
RICORSI DI LAVORO, INPS, AGENZIA DELLE ENTRATE
CONTENZIOSO IMMIGRAZIONE nei TAR
È membro della Commissione Immigrazione dell'ordine degli Avvocati di Bari
ISEE
DICHIARAZIONE REDDITI
DICHIARAZIONE SUCCESSIONE
ATTI DI RINUNCIA EREDITÀ - ACCETTAZIONE CON BENEFICIO DI INVENTARIO
ISTANZA INTERDIZIONE E AMMINISTRAZIONE SOSTEGNO
ISTANZE ADOZIONE
RETTIFICAZIONI ANAGRAFICHE E CONNESSI RICORSI AL PREFETTO (CAMBIO NOME, FAMIGLIA ANAGRAFICA, PATERNITÀ/MATERNITÀ)
DICHIARAZIONE FALLIMENTO
DOMANDE CITTADINANZA, RICONGIUNGIMENTO FAMILIARE/COESIONE, RILASCIO PSE E CONNESSO CONTENZIOSO
VISURE CAMERALI
VISURE CATASTALI
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Dichiarazione dei redditi
L'IRPEF
In base al Decreto legislativo n. 216/2023, per l'anno 2024 l'imposta lorda si calcola applicando le seguenti aliquote sul reddito compressivo al netto delle deduzioni (es. ded. prima casa, contributi previdenziali, fondi pensione e riscatto laurea):
23 per cento per redditi fino a euro 28.000
35 per cento per redditi da 28.001 fino a 50.000
44 per cento per redditi da 50.000
Detrazioni
Le spese detraibili riducono l'imposta così calcolata: si tratta delle quote che si detraggono dall'importo IRPEF da versare (es. 19% su spese sanitarie e di istruzione).
Ritenute
Sono trattenute del datore di lavoro sulla busta paga (anticipo di imposta). Le trattenute "eccessive", che superano l'ammontare delle imposte dovute sono remborsate dallo stesso datore di lavoro in sede di conguaglio dichiarazione redditi.
LA SCELTA VOLONTARIA DI DESTINARE UNA PARTE DELL'DELL'IRPEF A VARI SOGGETTI
Il contribuente può destinare:
l’8 per mille del gettito Irpef allo Stato oppure a un’Istituzione religiosa
il 5 per mille dell’Irpef a determinate finalità di interesse sociale
il 2 per mille della propria Irpef in favore di un partito politico
Le scelte, che non sono in alcun modo alternative tra loro e possono, pertanto, essere tutte espresse, non determinano maggiori imposte dovute.
SENTENZE DEI TRIBUNALI CIVILI ITALIANI: https://bdp.giustizia.it/
SENTENZE DELLA CORTE DI CASSAZIONE: Corte Suprema di Cassazione | Le ultime sentenze, ordinanze e questioni (cortedicassazione.it)
TUTTE LE NORME E LE LEGGI D'ITALIA IN VIGORE Normattiva
La separazione tra coniugi è sostanzialmente identica al divorzio/cessazione effetti civili *.
Con la separazione, i coniugi in crisi possono interrompere la convivenza e sospendere i doveri coniugali. La sospensione può essere temporanea e cessare (è la cosiddetta riconciliazione coniugale) o anche consolidarsi e sfociare nel divorzio.
Se i coniugi si accordano (cosa sempre auspicabile) si risolve in un "patto" con la negoziazione assistita degli avvocati, altrimenti il procedimento diventa giudiziale: sarà un giudice a deciderlo. Non esiste alcuna possibilità per i coniugi di non concedere il divorzio!
Il nostro ordinamento prevedeva, almeno fino alla riforma Cartabia il doppio passaggio separazione _ divorzio: il nuovo articolo del codice di proceduta civile, 473 bis n. 49 c.p.c, offre, ora, la possibilatà di presentare contestualmente la domanda di divorzio (o cessazione effetti civili del matrimonio concordatario) quella domanda di separazione; tra la data della separazione e quella del divorzio o dello scioglimento del matrimonio, deve intercorrere un periodo di tempo di minimo 6 mesi e fino ad un anno (se vi sono figli minori e/o non autosufficienti). Il nostro ordinamento, pertanto, almeno fino alla Riforma Cartabia aveva da sempre manifestato sensibilità verso il matrimonio o quantomeno verso l'unità della famiglia; il richiesto doppio passaggio (separazione e divorzio) nella crisi e rottura del rapporto coniugale imponeva, almeno sotto l'aspetto procedurale un'attenta riflessione prima di procedere al definitivo scioglimento del vincolo ed al ritorno dello stato "libero".
La procedura per separarsi/divorziare (o far cessare gli effetti civili del matrimonio) può avvenire:
1) presso il Comune in assenza di figli e senza accordi di trasferimento di beni mobili ed immobili;
2) presso gli studi di avvocati con un accordo (negoziazione assistita) omologato dal tribunale;
3) presso il tribunale, con l'assistenza di avvocati, con accordo consensuale portato al vaglio del Presidente per l'omologazione in tutto od in parte; ovvero, in mancanza di accordo con la richiesta di un vero e proprio giudizio.
Fortemente consigliata, prima di giungere al ricorso in Tribunale, è la mediazione familiare, che peraltro, expressis verbis, non è obbligatoria (a differenza della mediazione civile e commerciale a cui si fa cenno nella sezione CONTRATTO di questo sito).
Tale mediazione non risolve alcuna controversia ma ha l'obiettivo lodevole di: ristrutturare i rapporti (e rielaborare il "lutto" o comunque la frattura coniugale) ed allentare le tensioni; in questo modo i futuri ex coniugi giungeranno in tribunale in maniera consapevole, costruttiva, e "consensuale" con con accordi su relazioni future, gestione figli.
Tale procedura, giova evidenziare, può essere favorita anche nel corso del procedimento (se non si è esperita prima): infatti il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell’elenco del tribunale, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo, salvo casi gravi (violenze e maltrattamenti in cui la mediazione è vietata).
ART. 473 BIS 10 C.P.C. (inserito dalla c.d. Riforma Cartabia)
Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell'elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo.
Qualora ne ravvisi l'opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l'adozione dei provvedimenti di cui all'articolo 473 bis 22 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell'interesse morale e materiale dei figli(.
*la cessazione degli effetti civili è la stessa cosa del divorzio ma si chiama cessazione quando il matrimonio è avvenuto in Chiesa e poi trascritto nei registri dello Stato Civile mentre è divorzio quando vi è stato un matrimonio civile non religioso.
Le procedure di vendita all'asta di beni mobili ed immobili rappresentano lo strumento previsto i creditori per realizzare il soddisfacimento dei propri crediti ai sensi dell'art. 2740 del codice civile: partecipare ad un'asta significa collaborazione alla soddisfazione del credito e quindi di un diritto.
Il settore delle aste, ancora oggi è avvolto da un alone di mistero e superstizione, ma soprattutto di timori (infondati) di ritorsioni dei debitori, di attentati etc. Tale diffidenza appare davvero eccessiva ma tuttavia occorre prestare molta attenzione nell'esaminare i contenuti degli avvisi di vendita nei quali sono indicate le modalitò di offerta e la descrizione dei beni.
L'intervento di un avvocato (e/o di altri professionisti, e si pensi all'ausilio di un geometra o di un ingegnere nel momento della visita di un bene immobile) non è obbligatorio ma è fortemente consigliato.
L'attenzione di un professionista, quale un avvocato, è quindi quella di esaminare, attentamente al vostro fianco, l'avviso di vendita con la collaborazione di validi professionisti, nelle vendite di immobili (geometri, architetti ed ingegneri) per la rimozione di eventuali criticità, contattare il delegato alla vendita ed assistervi nella fase della proposta, aggiudicazione e degli adempimenti legali e fiscali successivi al decreto di trasferimento in vostro favore.
Oltre ai costi per il professionista che vi assiste (commercialista, avvocato, società specializzata) ed ai costi bancari e notarili dovuti in caso di RICHIESTA DI MUTUO vi sono i seguenti
COSTI DI VENDITA BENI IMMOBILI USO PRIVATO:
A) COMPENSO PER IL DELEGATO
DEL TRIBUNALE ALLA VENDITA ALL'ASTA (D.M. 227 /15):
€ 1.000,00 oltre aumenti forfettari del 10% (spese generali) se il prezzo di aggiudicazione è fino a 100.000,00 euro;
B) IMPOSTA DI REGISTRO:
2% se prima casa oppure 9%. La somma minima dovuta è € 1.000,00;
C) IMPOSTA IPOTECARIA:
€ 50,00;
D) IMPOSTA CATASTALE:
€ 50,00;
E) CONDOMINIO:
debiti dell'anno di aggiudicazione e di quello precedente (art. 63 comma 3 codice civile disposizioni attuazione)
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Riguardano le controversie di tutti i rapporti di lavoro subordinato pubblico e privato nonchè i cc.dd. rapporti di lavoro parasubordinato (agenzia, rappresentanza) ovvero derivanti da contratti agrari:
La casistica più frequente è quella della irregolarità negli stipendi, azioni di mobbing, problematiche riguardanti la previdenza ed assistenza obbligatorie, la repressione di condotte antisindacali e le discriminazioni sessuali.
Si prongono, previo conferimento di procura speciale ad avvocato di fiducia, presso il Tribunale competente nel luogo in cui è sorto il rapporto ovvero, a scelta del lavoratore, nel luogo in cui ha sede l'azienda.
La durata media di un processo del lavoro in Italia è di tre anni.
In alternativa, per crediti retributivi ed emolumenti vari, il lavoratore può giovarsi di accordi/transazioni, con l'assistenza di avvocati, ovvero della denuncia presso il competente ISPETTORATO TERRITORIALE DEL LAVORO, che a seguito di istruttoria ed accertamenti emanerà DIFFIDA ACCERTATIVA con valore di titolo esecutivo.
E' sempre preferibile l'assistenza di un avvocato che si occuperà anche della successiva eventuale fase esecutiva qualora il datore di lavoro non promuova un tentativo di conciliazione entro 30 giorni dalla notifica di detta diffida accertativa o non ottemperi nella fase successiva.
Circolare numero 70 del 26-07-2023 | Dettaglio di Circolari, Messaggi e Normativa | INPS
La presentazione di tale tipologia di ricorso
non richiede l'intervento di un avvocato.
L'interessato, infatti, (lavoratore, pensionato destinatario di un provvedimento negativo, es. mancato riconoscimento indennità di accompagnamento) può proporre personalmente o attraverso intermediari riconosciuti dalla legge (Patronati e altri intermediari abilitati), ricorso amministrativo nei termini e nelle modalità indicati nella comunicazione dei provvedimenti stessi.
Per informazioni è possibile contattare direttamente l'Istituto Nazionale per la previdenza sociale al n. 803.164 (gratuito da rete fissa) oppure al n. 06 164 164 da rete mobile (a pagamento in base al piano tariffario del gestore telefonico);
Solo in caso di reiezione del ricorso amministrativo o decorsi i termini di legge senza che l’Istituto si sia espresso al riguardo, può essere notificato il ricorso giurisdizionale, nominando un avvocato, alla sede che ha emesso il provvedimento, ai sensi dell'art. 443 del codice di procedura civile.
"La domanda relativa alle controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie di cui al primo comma dell'articolo 442 non è procedibile se non quando siano esauriti i procedimenti prescritti dalle leggi speciali per la composizione in sede amministrativa o siano decorsi i termini ivi fissati per il compimento dei procedimenti stessi o siano, comunque, decorsi 180 giorni dalla data in cui è stato proposto il ricorso amministrativo [disp. att. 147 2, 148] (1).
Se il giudice nella prima udienza di discussione rileva l'improcedibilità della domanda a norma del comma precedente, sospende il giudizio e fissa all'attore un termine perentorio di sessanta giorni per la presentazione del ricorso in sede amministrativa (2)
Il processo deve essere riassunto, a cura dell'attore, nel termine perentorio di 180 giorni che decorre dalla cessazione della causa della sospensione.
Circolare numero 48 del 17-05-2023 | Dettaglio di Circolari, Messaggi e Normativa | INPS
La querela rappresenta il momento iniziale del processo penale. Ha natura pubblicistica poichè è interesse prima ancora della persona offesa dello Stato e di tutta la collettività reprimere i reati. La redazione di una querela non richiede, di regola, l'assistenza di un avvocato ma è preferibile che la presenza vi sia, a partire da questo momento, sia per circoscrivere in modo chiaro e preciso i fatti che costituiscono il reato (minaccia, lesione, truffa etc. ), sia per agevolare l'attività del Pubblico Ministero e degli Organi di Polizia.
Un risultato apprezzabile si realizza altresì con la diffida purchè si faccia riferimento ai fatti contestati, ai luoghi, alle parole, alle azioni ed all'offesa consequenziale, e si inviti il responsabile dell'offesa a cessare una certa condotta, pena il ricorso all’autorità giudiziaria competente, sia civile che penale.
Lo scopo della diffida è, quindi, quello di sollecitare il destinatario a compiere o non compiere ciò che gli si chiede, ma non solo: l’obiettivo è quello di dimostrare in un contenzioso futuro di aver esplicitato in modo chiaro alla controparte le proprie richieste, a scanso di equivoci e per evidenziare la volontà altrui di essere inadempiente.
Con la costituzione di parte civile infine si chiede, nel processo penale il ristoro dei danni patrimoniali, e non patrimoniali: morale (turbamento dello stato d'animo, biologico (lesione psico-fisico accertabile sul piano medico-legale) ed esistenziale (lesione di diritti tutelati dalla costituzione incidono sullo svolgimento delle attività che realizzano la persona umana) che siano conseguenza del reato.
L'articolo di riferimento è il 78 del codice di procedura penale
Formalità della costituzione di parte civile.
1. La dichiarazione di costituzione di parte civile è depositata nella cancelleria del giudice che procede o presentata in udienza e deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell'associazione o dell'ente che si costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante;
b) le generalità dell'imputato nei cui confronti
viene esercitata l'azione civile o le altre indicazioni
personali che valgono a identificarlo;
c) il nome e il cognome del difensore e l'indicazione della procura;
d) l'esposizione delle ragioni che giustificano la domanda agli effetti civili*;
e) la sottoscrizione del difensore.
--------------
* le parole in grassetto sono aggiunte dalla Riforma Cartabia (Decreto Legislativo n. 150/22) ed evidenziano che l'atto di costituzione di parte civile deve contenere la descrizione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato ed i danni che dalla condotta di questo sono derivati a pena di inammissibilità.
TUTELA PREVENTIVA: REDAZIONE DEI CONTRATTI CON LA CONSULENZA E/O L'ASSISTENZA DI UN AVVOCATO E TUTELA SUCCESSIVA: AZIONE GIUDIZIARIA DI IMPUGNAZIONE DEL CONTRATTO
Oggi è sempre più difficile stipulare in autonomia contratti (dalla locazione, al preliminare, al prestito fra privati) ed i tribunali sono oberati di contenzioso su clausole illegittime e/o non chiare, prima ancora che sull'esecuzione (inadempimento o ritardo).
Proprio al fine di anticipare un contenzioso ed avere in modo chiaro i contenuti dei patti è importante che vi sia l'assistenza di un professionista sin dalla stipula.
Il contratto non deve mai essere improvvisato e proprio un avvocato è in grado di suggerire:
- modalità di redazione,
- modalità di adempimento,
- determinate clausole di tutela delle parti soprattutto sotto l'aspetto interpretativo (cosa c'è scritto concretamente e quali conseguenze derivano dal contratto).
Anche se spesso si utilizzano moduli e formulari, tale modalità è quanto di peggio possa esserci nella redazione: il contratto, per sua natura è un accordo unico, speciale e specifico per le parti e deve considerare tutte le esigenze delle stesse, presenti ed in proiezione futura.
Le clausole, quindi, devono essere studiate con attenzione e proposte dal professionista alle parti; questi, inoltre, illustrerà loro il pieno significato giuridico delle clausole, delle norme e dello stato dell'arte delle sentenze in materia.
Le scritture private sono contestabili sotto l'aspetto della nullità, dell'annullabilità o possono riguardare più semplicemente l'aspetto esecutivo (inadempimento: mancato pagamento, mancata consegna del bene etc.). Sarà quindi necessaria l'assistenza di un avvocato per adìre la competente autorità giudiziaria per
chiedere al giudice l’annullamento (contratto falso, non firmato, firma estorta con inganno o violenza) ovvero l'esatto adempimento o ancora l'esatta interpretazione
I casi più gravi di "patologia del contratto" cioè quelli della nullità possono contestarsi sempre anche a distanza di moltissimi anni.
In Italia, questo tipo di processo ha una durata, quasi mai inferiore a 4 anni.
Le "Alternative Dispute Resolution" (A.D.R.), ovvero gli strumenti DEFLATTIVI ED ALTERNATIVI AL GIUDIZIO DEL TRIBUNALE
Già con il D.lgs. n.28/2010, fu introdotto l’istituto della Mediazione civile, che per alcune materie ha reso l’istituto una condizione di procedibilità (VEDI PARAGRAFO DI QUESTO SITO WEB "LA MEDIAZIONE CIVILE E COMMERCIALE".
In tal direzione, l’art.5, comma 1, del D.Lgs.n.28/2010, stabilisce che per alcune materie, ivi tassativamente indicate, l’esperimento della mediazione si pone come una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, il cui mancato assolvimento è sanzionato dal legislatore, ai sensi del comma 2 della prefata norma, con l’improcedibilità di quest’ultima.
Di, poi, con l’art.3, comma 1, del D.L.n. 132/2014, convertito, con modifiche, nella L.n.162/2014, fu introdotto anche l’istituto della Negoziazione Assistita, con lo scopo precipuo d’introdurre, anche in questo caso, uno strumento, di degiurisdizionalizzazione, che consentisse, unitamente ad altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, per quelle controversie che avessero ad oggetto, tra l’altro, la richiesta d’una somma di denaro, nel limite di cinquantamila euro, d’addivenire ad un accordo tra i disputanti.
Anche in tal caso, per le controversie dianzi indicate, oltre a quelle aventi ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni da circolazione di veicoli e natanti, l’esperimento della negoziazione assistita, ai sensi del comma 2 della citata norma, costituisce una condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Dall’esame del dettato normativo degli istituti in scrutinio, emerge che entrambi prevedono, rispettivamente, al comma 2 del dell’art. 5 del D.lgs. n. 28/2010 ed al comma 1 dell’art. 3 del D.L.n.132/2014, che il mancato assolvimento del preventivo meccanismo deflattivo possa esser eccepito dal convenuto ovvero rilevato dal giudice non oltre la prima udienza.
Come abbiam già detto, i due istituti in commento, son orientati a “scoraggiare” l’ingresso nelle aule delle sedi giudiziarie.
In quest’ottica, emerge la funzione della mediazione ed, ancor più chiaramente, dalle coordinate espresse dalla Suprema Corte, la quale ha potuto ben precisare, in materia, che essa assolve ad una funzione deflattiva, e proprio in ragion di ciò va “…interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale…”. (Cass. civ., Sez.III, Sent. n. 24629 del 3 dicembre 2015).
In altre parole, rispetto alla mediazione, ma il ragionamento si può ben estendere anche alla negoziazione assistita, il processo si offre come l’estrema ratio, vale a dire l’ultima possibilità allorché le alternative di definizione ovvero di componimento della controversia non han sortito l’effetto deflattivo.
2. Il cumulo tra la mediazione civile e la negoziazione assistita
Bene. Certo quanto sopra, che cosa potrebbe accadere se, rispetto ad una controversia, i due istituti dalla vocazione deflattiva venissero a “convivere”. Eppure, la domanda non è, poi, così “pellegrina” rispetto al formante giurisprudenziale delle corti di merito.
Anzitutto, sarebbe più corretto discettare, con riguardo ai due istituti in parola, di cumulo, laddove essi vengano evocati, al persistere dei parametri di legge, per comporre una controversia vertente in una materia che si ponga, per così dire, in maniera trasversale, nel senso, cioè, che essa possa esser oggetto sia dell’uno che dell’altro istituto deflattivo.
Valga, per quanto concerne la valutazione appena espressa, in tal senso la giurisprudenza di merito che, a proposito di coesistenza della mediazione e della negoziazione assistita, discetta, più appropriatamente, di “cumulo” tra i due istituti processuali deflattivi. (Cfr. Trib. Verona, Sez. III, Ord. del 23 dicembre 2015).
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3. L’orientamento della giurisprudenza di merito
Cosicché, apprendiamo, dall’elaborazione giurisprudenziale delle corti territoriali, che la mediazione prevale sulla negoziazione assistita, laddove il giudizio abbia ad oggetto le some dovute in materia d’inadempimento al pagamento del canone di locazione.
Precisamente, nel precedente giurisprudenziale in commento, entrambi i conduttori insorgevano avverso il decreto ingiuntivo promosso dal locatore onde ottener, per ogni giorno di ritardo rispetto all’obbligo di riconsegna dell’immobile, il pagamento della penale, peraltro, concordata in sede di mediazione avviata a seguito della domanda giudiziale d’adempimento dei canoni di locazione impagati.
Ecco che, sull’eccezione di rito sollevata dai conduttori circa l’improcedibilità della domanda monitoria per il mancato esperimento della negoziazione assistita, avendo il giudizio, secondo la prospettata difesa dei convenuti, ad oggetto la richiesta di pagamento d’una somma di denaro d’importo non superiore ai cinquantamila euro, rilevare il Giudicante che, comunque, il credito azionato in fase monitoria trovava fondamento in un accordo concluso in sede di mediazione obbligatoria.
Posto che l’art. 3, comma 3, del D.L. n. 132 del 2014, prevede che “La disposizione di cui al comma 1, non si applica …nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione…”, lo stesso Giudicante rileva, altresì, che la procedura di negoziazione assistita sarebbe “ultronea”, ed, anzi, in contrasto con quanto sancito dal comma 5 della prefata norma, a mente della quale “Restano ferme le disposizioni che prevedono speciali procedimenti obbligatori di conciliazione e mediazione, comunque denominati…”. (Trib. Roma, Sez. VI, Sent. n. 4817 del 23 marzo 2023).
Ne discende, per il Giudicante, la prevalenza della mediazione civile rispetto alla negoziazione assistita.
A ben vedere, tuttavia, l’orientamento emerso dalla pronuncia in scrutinio, teso a valorizzare la prevalenza della mediazione civile sulla negoziazione assistita, laddove la materia oggetto della controversia si offre come trasversale, ossia comune, in astratto, ad entrambi i procedimenti deflattivi processuali, riflette una posizione che sembra aver motivazioni più profonde.
Ed, infatti, dallo stesso distretto giudiziario cui è applicato il Giudicante la cui pronuncia abbiam, ora, esaminato, emerge, invero, come l’orientamento volto a dar prevalenza alla mediazione civile rispetto alla negoziazione sia espressione d’una riflessione che affonda le sue radici nella struttura ontologica della stessa mediazione.
L’indagine, dunque, s’incentra sulla terzietà della pronuncia resa nella mediazione civile rispetto alla negoziazione assistita. E ciò in quanto nella mediazione civile le parti son chiamati a devolvere la controversia, ai sensi dell’art. 8 del D.lgs. n.28/2010, ad un terzo, il mediatore, ossia ad un soggetto estraneo che, stante le disposizioni poste dall’art.14 del testo normativo evocato, agisce in posizione d’imparzialità.
Di contro, si osserva che, nell’ambito del procedimento della negoziazione assistita, son gli avvocati delle parti ad avviare, ove ricorrano le condizioni di legge, la medesima procedura deflattiva. Quivi, pertanto, si registra l’assenza d’un terzo, che agisca, come nella mediazione civile, in funzione di “mediatore”.
E che questa sia la riflessione profonda è corroborata proprio dall’orientamento della giurisprudenza di merito di cui prima si faceva cenno laddove si afferma che “…la mediazione obbligatoria, comportando la presenza di un terzo imparziale quale il mediatore, offre maggiori garanzie rispetto alla negoziazione assistita che ne è priva. Per tale motivo la mediazione obbligatoria deve ritenersi utilmente effettuata anche nei casi in cui è previsto il diverso procedimento della negoziazione assistita…”. (Trib. Roma, Sezione specializzata in materia di imprese, Sent. n. 11431 del 18 luglio 2022).
4. L’orientamento della giurisprudenza costituzionale
Nondimeno, l’orientamento emerso dalle corti territoriali in commento, riflette, a ben guardare, il pensiero, se così possiamo dire, espresso, in merito, dal Giudice delle Leggi, secondo il quale “…il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.”. (Corte Cost., Sent. n. 97 del 18 aprile 2019).
E che tale sia l’indirizzo giurisprudenziale speso dalle corti territoriali, in merito alla constatata disomogeneità degli istituti deflattivi in scrutinio, si registra sol passando in rassegna alcune pronunce espresse in tal senso, ove si afferma che “…nella mediazione il compito (…) di assistenza alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’ incontro è svolto da un terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori…”. (Trib. Roma, Sez. XIII, Ord. del 12 aprile 2021).
Anzi, proprio la circostanza fattuale che, invero, nella mediazione civile, il compito d’assistenza alle parti, nella ricerca d’una soluzione condivisa, è svolta da un terzo soggetto, indipendente ed imparziale, è stata ben messa in risalto dalla stessa Corte costituzionale chiamata a valutare se la mediazione tributaria, introdotta dall’art. 17, bis, comma 5, del D.lgs. n.546/1992, collida o meno con i parametri costituzionali di cui agli artt. 3, 24, 25, 111, Cost.
Ed, invero, il Giudice delle Leggi, respingendo, da quest’angolazione, come, ivi, prospettata, la sollevata illegittimità costituzionale della predetta norma, rispetto agli evocati parametri costituzionali, per quanto, quivi, d’interesse, ha ben posto in risalto, finanche, la differenza tra la mediazione tributaria e la mediazione civile disciplinata dal D.lgs. 28/2010, rimarcando come nella prima la mediazione sia demandata ad un organo interno dell’amministrazione finanziaria, sicché non estraneo, mentre, invece, nella seconda essa è affidata ad un soggetto terzo, autonomo ed indipendente. (Corte Cost., Sent. n. 98 del 16 aprile 2014).
Precisa, al riguardo, il Giudice delle Leggi che “…Tale mancanza di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 (…) svolga la mediazione, se comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica (…) non determina, tuttavia, alcuna violazione degli invocati parametri costituzionali…”. (Corte Cost., N. 98 del 2014, cit.).
Dalla giurisprudenza in rassegna, ne ricaviamo, pertanto, nella prospettiva d’un cumulo tra la negoziazione assistita e la mediazione civile, la preferenza espressa all’indirizzo di quest’ultima, caratterizzata dall’intervento d’un terzo cui le parti si affidano onde trovare una soluzione finalizzata al componimento della controversia, acciocché si assecondi la ratio del detto istituto orientata, giustappunto, ad una funzione deflattiva che rappresenti l’ingresso nel processo come l’estrema ratio.
Come già detto dianzi, il comma 5, dell’art. 3, del D.L.n. 132/2014, coordinato col comma 1 della norma da ultimo citata, va letto, secondo l’orientamento prevalente della giurisprudenza di merito, nel senso d’una disposizione che contempli il cumulo “…tra la negoziazione assistita obbligatoria e le procedure stragiudiziali obbligatorie per legge o per previsione contrattuale o statutaria, salvo che la controversia non sia soggetta alla mediazione obbligatoria ex lege, perché in tal caso solo questa procedura va esperita…”. (Trib. Torre Annunziata, Sez. II, Sent. n. 740 del 23 marzo 2018).
Di fronte, quindi, alla potenziale coesistenza tra la mediazione civile e la negoziazione assistita, entrambe vertenti in materie soggette sia all’uno che all’altro strumento deflattivo, “il conflitto”, se par lecito così definirlo, viene dalla giurisprudenza di merito in esame risolto accordando prevalenza alla mediazione civile, perdendo così, per tal via, la negoziazione assistita il carattere dell’obbligatorietà.
5. Il giudice di seconda istanza
Anche per il Giudice di seconde cure, il comma 5, dell’art. 3, del D.L.n. 132/2014, va interpretato nel senso, cioè, di cogliere l’opportunità di evitare “…l’aggravamento conseguente all’ imposizione di queste due specifiche condizioni di procedibilità e di dare prevalenza al procedimento di mediazione obbligatoria nelle ipotesi di potenziale cumulo tra la negoziazione assistita e la mediazione…”. (Corte di Appello di Napoli, Sez.VI, Sent. n.3147 del 26 giugno 2018).
E tal predilezione verso l’istituto della mediazione civile, trova la sua ragion d’esser proprio nella terzietà del soggetto cui è demandato, ex lege, il compito d’elaborare ed offrire alle parti in conflitto una proposta conciliativa orientata ad una soluzione della controversia, evitando, fin dove possibile, l’ingresso nel processo.
Ed, anzi, scrutinando la giurisprudenza innanzi commentata, emerge come anche la mediazione non obbligatoria ex lege si offra come un’alternativa preferibile rispetto alla negoziazione assistita facendo perno tal conclusione sulla ratio dell’istituto in parola, ove emergerebbe il dato oggettivo dell’imparzialità e dell’indipendenza del terzo, quale mediatore, rispetto agli altri istituti processuali deflattivi. (Trib. Torre Annunziata, Sent. n. 740 del 2018, cit.).
6. Conclusioni
Possiamo ben dire che, alla fine di questo percorso ermeneutico, che alcuna pretesa esaustiva vuol invocare in tal materia, ciò che la giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito, quivi rassegnate, ci offrono, è l’insegnamento d’un approccio operativo, direi pratico, in specie per gli operatori del diritto, verso l’applicazione dell’istituto deflattivo della mediazione civile. Ampie son le materie soggette, ex lege, al preventivo obbligo della mediazione, pena, per l’appunto, la declaratoria dell’improcedibilità della domanda giudiziale. Chi si appresta ad incardinare un processo in sede civile, ben conosce che, ove si tratti di materie che devono esser soggette, ex lege, al tentativo di conciliazione stragiudiziale, deve esperire la mediazione. Eppure, ciò che la detta giurisprudenza ci offre sono le coordinate per navigare laddove la mediazione civile e la negoziazione assistita coesistano rispetto a materie entrambe soggette ai nominati istituti processuali deflattivi. Ed, in tal direzione, la soluzione che ci vien offerta, attingendo dalla giurisprudenza commentata, è quella dell’accordata prevalenza alla mediazione civile, e ciò considerando che la decisione della controversia vien rimessa ad un terzo soggetto, come tale imparziale ed indipendente.
Una preferenza che, a dir proprio della giurisprudenza d’alcune corti territoriali menzionate, si spinge finanche a prediligere la mediazione civile anche là dove essa non sia obbligatoria ex lege. Ciò in quanto la ratio della mediazione civile, che è proprio quello di affidare la composizione della controversia ad un terzo, meglio d’altri istituti deflattivi garantirebbe le parti circa un procedimento stragiudiziale condotto da un soggetto ad esse estraneo ed equidistante.
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Prima di rivolgersi al giudice, a seconda delle materie, ai sensi dell'art. 5 del Decreto Legislativo n. 28 del 2010 le parti devono cercare un tentativo di risoluzione amichevole con la c.d. mediazione (prevista dal decreto legislativo n. 28 del 2010) con l'assistenza di un professionista imparziale che li aiuta a trovare un accordo pacifico e sbrigativo.
Esperire il tentativo di mediazione è obbligatorio per le controversie inerenti specifiche materie previste dalla legge (D.lgs 28/2010), tecnicamente dicesi "condizione di procedibilità", resta tuttavia la facoltà di accedere al procedimento di mediazione per tutte le altre controversie aventi ad oggetto diritti disponibili.
Condizione di procedibilità e rapporti con il processo
1. Chi intende esercitare in giudizio un'azione relativa a una controversia in materia di
condominio, diritti reali, divisione,
successioni ereditarie, patti di famiglia,
locazione, comodato, affitto di aziende,
risarcimento del danno derivante
da responsabilità medica e sanitaria e
da diffamazione con il mezzo della stampa
o con altro mezzo di pubblicità,
contratti assicurativi, bancari e finanziari,
associazione in partecipazione *, consorzio *,
franchising *, opera *, rete *, somministrazione *,
società di persone e subfornitura *,
è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente capo.
* materie aggiunte dalla Riforma Cartabia.
N.B. L'elenco è tassativo e non suscettibile di estensione analogica, come precisato dalle diverse sentenze dei giudici di merito.
Per le materie diverse da quelle di cui all'art. 5 la mediazione è facoltativa ma, è il caso di evidenziarne comunque l'opportunità, sia perchè la proposta di mediazione (facoltativa) realizza i vantaggi di cui in seguito, e sia perchè è importante manifestare al giudice l'atteggiamento positivo e proposito del proprio cliente e quello antagonista della controparte!
Per avviare o aderire a una mediazione obbligatoria le parti devono essere necessariamente assistite da un avvocato iscritto all’albo, così come per avviare o aderire a una mediazione facoltativa.
Il mediatore deve rispettare i requisiti di onorabilità, competenza, terzietà e imparzialità. Egli gestisce la procedura di mediazione rimanendo privo, in ogni caso, del potere di giudicare o assumere decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo.
Il compito del mediatore è quello di aiutare le parti a trovare una soluzione per loro soddisfacente, auspicabilmente portandole al raggiungimento di un accordo condiviso che eviti loro il ricorso al giudice.
Al termine del primo incontro il mediatore redige il verbale che, sottoscritto anche dalle parti, permette di assolvere alla condizione di procedibilità. Successivamente, all’esito del procedimento di mediazione, se le parti raggiungono un accordo, viene redatto il verbale che, sottoscritto da parti e loro legali, costituisce titolo esecutivo.
deposito della domanda di mediazione (semplice o congiunta) presso un organismo di mediazione iscritto presso il Registro del Ministero della Giustizia
designazione del Mediatore da parte dell’organismo e fissazione del primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda
comunicazione alle parti con la data del primo incontro e il nome del Mediatore designato
Può essere raggiunto spontaneamente dalle parti o su proposta del Mediatore: nella sua veste, infatti, il mediatore è tenuto a formulare una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento e solo qualora disponga degli elementi necessari. (art. 6, c. 2 Regolamento dell’Organismo). Le parti saranno ovviamente libere di accettare (entro 7 giorni) o meno la proposta.
il procedimento può concludersi:
a. negativamente:
– al primo incontro per mancata adesione della parte chiamata o per mancato accordo di tutte le parti a dare seguito alla procedura e in entrambi i casi, per le mediazioni obbligatorie, il verbale negativo redatto varrà per assolvere alla condizione di procedibilità.
– all’esito della procedura qualora le parti non raggiungano un accordo
b. positivamente: mediante il raggiungimento dell’accordo. In questo caso il Mediatore redige processo verbale, al quale è allegato il testo dell’accordo che, se sottoscritto da parti e avvocati, ha valore di titolo esecutivo.
(Risorse, regime tributario e indennità)
1. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
2. Il verbale contenente l'accordo di conciliazione è esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di centomila euro, altrimenti l'imposta è dovuta per la parte eccedente.
3. Ciascuna parte, al momento della presentazione della domanda di mediazione o al momento dell'adesione, corrisponde all'organismo, oltre alle spese documentate, un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro. Quando la mediazione si conclude senza l'accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori.
4. Il regolamento dell'organismo di mediazione indica le ulteriori spese di mediazione dovute dalle parti per la conclusione dell'accordo di conciliazione e per gli incontri successivi al primo.
5. Con il decreto di cui all'articolo 16, comma 2, sono determinati:
a) l'ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;
b) i criteri per l'approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
c) gli importi a titolo di indennità per le spese di avvio e per le spese di mediazione per il primo incontro;
d) le maggiorazioni massime dell'indennità dovute, non superiori al 25 per cento, nell'ipotesi di successo della mediazione;
e) le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell'articolo 5, comma 1, ovvero è demandata dal giudice;
f) i criteri per la determinazione del valore dell'accordo di conciliazione ai sensi dell'articolo 11, comma 3.
6. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell'articolo 5, comma 1, ovvero dell'articolo 5-quater, comma 2, all'organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
7. Il Ministero della giustizia provvede, nell'ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell'indennità di mediazione.
8. L'ammontare dell'indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
9. Agli oneri per l'attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, valutati in 5,9 milioni di euro per l'anno 2010, in 7,018 milioni di euro per gli anni dal 2011 al 2022 e in 13,098 milioni di euro a decorrere dall'anno 2023, si provvede:
a) quanto a 5,9 milioni di euro per l'anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall'anno 2011 mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all'articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all'entrata del bilancio dello Stato;
b) quanto a 6,08 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per l'attuazione della delega per l'efficienza del processo civile di cui all'articolo 1, comma 39, della legge 26 novembre 2021, n. 206.
L'art. 4 comma 3, del predetto d. legisl. n. 28/2010 pone l’obbligo a carico dell’Avvocato, a pena di annullabilità dell’atto di conferimento dell’incarico, di rendere per iscritto al proprio cliente che dinanzi ad un Organismo, pubblico o privato, iscritto al Registro istituito presso il Ministero della Giustizia:
- esiste sempre la possibilità di esperire la mediazione;
- per le materie di cui all'art. 5 è obbligatoria ed è condizione di procedibilità della domanda;
- che avvalendosi del procedimento di mediazione la parte fruisce delle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 17 e 20.
Irpef - ires - iva - registro - bollo - imu - tari - contributi, etc.
Le entrate dello Stato, regioni, province, comuni e degli altri enti pubblici non economici vengono riscosse mediante RUOLO (art. 17, D.Legisl. n. 46/1999).
Il ruolo è un elenco in cui sono indicati per ciascun debitore, i dati identificativi, la tipologia e motivazione del tributo, la data in cui il ruolo diventa esecutivo, gli estremi degli atti prodromici e del periodo di imposta; viene prodotto dall’amministrazione finanziaria, per il tramite del concessionario di riscossione ai sensi dell’art. 10 DPR 602/73.
L’Ufficio, ai sensi dell’art. 24 DPR 602/73 coordinato con il D.M. 3/9/1999 n. 321, consegna via telematica il ruolo al concessionario per la riscossione
Agenzia delle entrate-Riscossione - Home (agenziaentrateriscossione.gov.it)
il quale, a sua volta, notifica la cartella di pagamento al debitore;
la cartella contiene, ai sensi dell’art. 25 DPR 602/1973, anche l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.
La norma è stata dettata espressamente per le sole imposte sui redditi e per l’IVA purtuttavia è estensibile per analogia e per evitare disparità di trattamento, alle cartelle di pagamento relative a tributi diversi, in particolare ai tributi locali;
Agenzia delle entrate-Riscossione - Rateizzazione (agenziaentrateriscossione.gov.it)
L’autotutela è un istituto deflattivo del contenzioso tributario, previsto dall’art. 2-quater del D.L. n. 564/94 e dal D.M. 11 febbraio 1997 n. 37. Tale istituto prevede che l’Amministrazione finanziaria può annullare, modificare o sostituire un proprio atto che a seguito di riesame ritiene infondato o illegittimo, per esempio per errori di notifica, prescrizione, etc. Quindi, attraverso l’autotutela l’Erario evita di ledere al contribuente con un atto viziato da irregolarità. Un corretto esercizio del potere di autotutela determina, indirettamente, un minor ricorso alla giustizia tributaria da parte del contribuente per far valere i propri diritti.
La domanda non sospende i termini per la presentazione del ricorso dinanzi al giudice tributario. Questo poiché l’Autotutela è per l’Amministrazione una facoltà discrezionale.
(art. 2 D.M. 37/1997):
Errore di persona nella notifica dell’atto. Situazione, frequente quando un atto è notificato al soggetto A, ma è intestato al soggetto B;
Evidente errore logico o di calcolo nella pretesa impositiva. Situazione in cui la pretesa tributaria non è calcolata in modo corretto all’interno dell’atto;
Errore sul presupposto dell’imposta. Situazione in cui l’imposta viene applicata in base ad un presupposto, ad esempio il percepimento di redditi, quando invece tali redditi non sono mai stati percepiti;
Doppia imposizione dello stesso tributo. Ad esempio viene notificata due volta la cartella esattoriale per il pagamento di uno stesso tributo relativo allo stesso anno;
Mancata considerazione di pagamenti regolarmente eseguiti dal contribuente. Situazione molto frequente. Soprattutto quando il contribuente effettua pagamenti utilizzando il Ravvedimento Operoso;
Mancanza di documentazione successivamente presentata (non oltre i termini di decadenza);
Sussistenza dei requisiti per fruire di deduzioni, detrazioni o regimi agevolativi, precedentemente negati;
Errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’Amministrazione finanziaria.
Possiamo dire che è illegittimo l’atto che presenta errori non attinenti all’esistenza o all’ammontare del credito tributario (es. carenza di motivazione, omessa indicazione delle aliquote, errata notifica, etc). Allo stesso modo un atto può essere considerato come infondato quanto il vizio deriva da errori su fatti oggetto di imposizione o alla qualificazione o quantificazione del reddito imponibile.
La cartella di pagamento può essere impugnata entro 60 giorni dalla notifica della stessa.
Si rileva che quando il ruolo deriva da un precedente avviso di accertamento, di liquidazione o di irrogazione di sanzione - che deve già essere stato oggetto di precedente comunicazione al debitore - la cartella può essere opposta soltanto per vizi propri, quali, ad es., la mancata indicazione degli elementi essenziali della cartella previsti dalla legge, la notifica irregolare, ecc..
Diversamente il contribuente può contestare anche i profili attinenti il merito della pretesa tributaria qualora – come nel caso di controlli automatici ex art. 36-bis DPR 600/73 o formali ex art. 36-ter DPR 600/73 - la cartella rappresenta il primo atto impositivo notificato al contribuente.
Si ricorda che gli avvisi di accertamento relativi alle imposte dirette ed all’Iva devono, a pena di decadenza, essere notificati - ai sensi dell’art. 43 del DPR 600/1973 per le imposte sui redditi, ed ai sensi dell’articolo 57 del DPR n. 633/1972 per l’iva - inderogabilmente entro:
- il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione la dichiarazione infedele;
ovvero
- il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla.
Come noto detti termini decadenziali risultano prorogati – sia per l’accertamento delle imposte sui redditi che per l’IVA – di due anni per i contribuenti che non si sono avvalsi del condono fiscale (l’art. 10 della L. 289/02 ).
Decreto-legge n. 78 del 31 maggio 2010
Art. 29 (Concentrazione della riscossione nell'accertamento)
In vigore dal 25/12/2020
Modificato da: Decreto-legge del 28/10/2020 n. 137 Articolo 31 octies
1. Le attivita' di riscossione relative agli atti indicati nella seguente lettera a) emessi a partire dal 1 ottobre 2011 e relativi ai periodi d'imposta in corso alla data del 31 dicembre 2007 e successivi, sono potenziate mediante le seguenti disposizioni:
a) l'avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate ai fini delle imposte sui redditi, dell'imposta regionale sulle attivita' produttive e dell'imposta sul valore aggiunto ed il connesso provvedimento di irrogazione delle sanzioni, devono contenere anche l'intimazione ad adempiere, entro il termine di presentazione del ricorso, all'obbligo di pagamento degli importi negli stessi indicati, ovvero, in caso di tempestiva proposizione del ricorso ed a titolo provvisorio, degli importi stabiliti dall'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
OMISSIS
b) gli atti di cui alla lettera a) divengono esecutivi decorso il termine utile per la proposizione del ricorso e devono espressamente recare l'avvertimento che, decorsi trenta giorni dal termine ultimo per il pagamento, la riscossione delle somme richieste, in deroga alle disposizioni in materia di iscrizione a ruolo, e' affidata in carico agli agenti della riscossione anche ai fini dell'esecuzione forzata, con le modalita' determinate con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle Entrate, di concerto con il Ragioniere generale dello Stato. L'esecuzione forzata e' sospesa per un periodo di centottanta giorni dall'affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti di cui alla lettera a); tale sospensione non si applica con riferimento alle azioni cautelari e conservative, nonche' ad ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore. La predetta sospensione non opera in caso di accertamenti definitivi, anche in seguito a giudicato, nonche' in caso di recupero di somme derivanti da decadenza dalla rateazione. L'agente della riscossione, on raccomandata semplice o posta elettronica, informa il debitore di aver preso in carico le somme per la riscossione;
OMISSIS
Una delle più recenti conferme sul piano della metodologia di separazione tra ruolo esecutivo e cartella di pagamento l’ha data la Cassazione, sezione quinta civile, con la decisione n. 6245 pubblicata il 05.03.2020 con la quale la Suprema Corte ha avuto modo di spiegare che:
“Il decorso del termine prescrizionale per la riscossione dell’imposta definitivamente accertata, non può ritenersi interrotto dalla sola formazione del ruolo da parte dell’Amministrazione finanziaria, atteso che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 2943 cod. civ., la prescrizione dei diritti è interrotta solo da un atto che valga a costituire in mora il debitore e, quindi, avente carattere recettizio, mentre l’iscrizione a ruolo di un tributo resta un atto interno dell’amministrazione (Cass. 14301/2009; Cass. 315/2014)”.
In ragione di quanto innanzi rimane stabilire cosa e come debba essere formato e reso esecutivo l’atto ruoriale affinché possa emettersi cartella di pagamento a notificarsi al contribuente.
Importanti in relazione a ciò sono il D.Lgs. 46/1999 ed il D.M. 321/1999.
Il primo è sostanzialmente il provvedimento di riforma del D.P.R. 602/1973 mentre il secondo è il provvedimento attuativo della stessa norma; esso decreto ministeriale si titola espressamente “Regolamento recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo e dei tempi, procedure e modalità della sua formazione e consegna, da emanare ai sensi degli articoli 4 e 10 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46”.
Cosicché il su richiamato D.M. è utile a poter comprendere come, anche dinanzi alla necessaria esistenza dell’atto ruoriale, vi siano delle eccezioni procedimentali in termini di formazione dello strumento qualificabile “titolo” in relazione all’art. 49 DPR 602/1973.
Il Comune può riscuotere i propri crediti (compresi i proventi derivanti dalle multe stradali), non solo con la procedura classica di delega ad agenzia entrate riscossione (o altra società) di cui sopra ma può, altresì, ai sensi del Regio Decreto n. 639 del 1910 riscuotere le somme tramite la notifica dell’ingiunzione fiscale, che di fatto sostituisce la cartella di pagamento ed è quindi un titolo esecutivo, come tale idoneo ad avviare il pignoramento o le misure cautelari (fermo amministrativo dell’auto).
Dopo l'ingiunzione, all'importo dovuto, si aggiungono le spese di notifica e degli atti esecutivi ed il c.d. aggio di riscossione del 3% se il pagamento avviene entro 60 giorni, e del 6%, se avviene oltre i 60 giorni. È, inoltre, disposto l’addebito delle ulteriori spese di notifica e di formazione degli atti cautelari ed esecutivi.
RICORSI
Entro trenta giorni dalla notificazione dell’ingiunzione, il debitore può fare ricorso o opposizione contro di questa davanti al giudice di pace, il quale ha la possibilità di sospenderne l’esecutività, bloccando così qualsiasi eventuale successivo pignoramento.
Trascorso inutilmente il termine di trenta giorni, l’ente creditore procede, per mezzo di un ufficiale giudiziario, al pignoramento dei beni del debitore.
(come esplicitati in modo chiaro dal Giudice di Pace di Taranto nella nota sentenza n. 1078 del 2016)
1) NULLITA': la notifica dell’ingiunzione, non è stata preceduta – almeno 120 giorni prima – dall’invio, mediante posta ordinaria, di una comunicazione contenente il dettaglio delle iscrizioni a ruolo.
2) DECADENZA: la notifica dell'ingiunzione deve avvenire «entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo».
3) ILLEGITTIMA MAGGIORAZIONE 10% a titolo di interessi, applicata per ogni sei mesi di ritardo nel pagamento. Tale maggiorazione è consentita solo per la riscossione con i mezzi ordinari.
4) NULLITA' per insufficiente motivazione: il verbale posto alla base dell’emissione della stessa ingiunzione non risulta allegato, ma solo richiamato; a mente della legge Art. 3 co. 3, D.L.Vo n. 241/1990 sulla “ Motivazione del provvedimento”, quale rubrica aggiunta dall’art. 21, L. 11 febbraio 2005, n. 15. “Se le ragioni della decisione risultano da altro atto dell’amministrazione richiamato dalla decisione stessa, insieme alla comunicazione di quest’ultima deve essere indicato e reso disponibile, a norma della presente legge, anche l’atto cui essa si richiama.”
REGIO DECRETO 14 aprile 1910, n. 639 - Normattiva
debiti verso privati, banche, agenzia entrate
I privati non soggetti a fallimento possono utilizzare LA PROCEDURA DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI se a causa di eventi eccezionali e di particolari situazioni di crisi economica, non riescono più a pagare i propri debiti e consente quindi di pagare i debiti secondo le proprie e reali possibilità e quindi ottenendo una riduzione nell'ammontare ed una rateazione attraverso un PIANO DI RIENTRO che deve essere accettato almento dal 60% dei creditori.
Art. 7, capo II della legge 3/2012
Il debitore in stato di sovraindebitamento puo’ proporre ai creditori, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi di cui all’articolo 15 con sede nel circondario del tribunale competente ai sensi dell’articolo 9, comma 1, un accordo di ristrutturazione dei debiti sulla base di un piano che assicuri il regolare pagamento dei creditori estranei all’accordo stesso, compreso l’integrale pagamento dei titolari di crediti privilegiati ai quali gli stessi non abbiano rinunciato, anche parzialmente, salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 4. Il piano prevede le scadenze e le modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi, le eventuali garanzie rilasciate per l’adempimento dei debiti, le modalità per l’eventuale liquidazione dei beni. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, il piano può anche prevedere l’affidamento del patrimonio del debitore ad un fiduciario per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori.
Di regola, con l'assistenza di un avvocato il debitore:
Consegna al tribunale e al commercialista chiamato a quantificare debito e beni a disposizione, tutta la documentazione necessaria per stabilire tempi e modalità di pagamento del debito.
Mette a disposizione i propri beni e patrimonio e, mediante accordo con i creditori, stabilire tempi e misura del pagamento.
Propone un piano del consumatore: la proposta dovrà essere approvata dal Giudice; il debitore cede, ove possibile, il proprio patrimonio per il pagamento del debito, nella misura delle proprie reali disponibilità. I beni esclusi dalla cessione al creditore sono quelli non pignorabili, i crediti necessari per alimentazione e mantenimento, e quelli derivati da stipendio nella misura di quanto necessario per il mantenimento della famiglia.
I Giudici provvederanno quindi a nominare un organismo di composizione della crisi che avrà l’incarico di verificare che il cittadino abbia detto il vero sulla propria situazione patrimoniale e di dare un parere sull’applicabilità del piano di rientro proposto.
Rientrano nel piano anche eventuali crediti futuri, come per esempio il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) e polizze. Il Tribunale, sentito il parere dell’organismo, deciderà il da farsi senza chiedere il consenso dei creditori.
Questi ultimi hanno però la possibilità di essere ascoltati e presentare le loro contestazioni. Nel caso in cui i Giudici dessero il loro assenso, il privato potrà ripagare parzialmente i propri debiti e non dovrà liquidare il proprio patrimonio per intero.
L'art. 15 della legge 3/2012 ha previsto l’istituzione in ogni tribunale di un organismo di composizione della crisi, l’O.C.C, chiamato proprio a deliberare sulle singole situazioni dei contribuenti e a redigere e valutare il piano di rientro. Si tratta di organismi con competenze professionali necessarie a redigere la proposta di risoluzione della crisi da sovraindebitamento ma, ancora oggi, non risultano costituiti O.C.C. in tutti i tribunali. Nei casi in cui il privato non possa avvalersi del consulto dell’O.C.C. nel tribunale di propria residenza, verrà nominato un professionista, ovvero commercialista, notaio o avvocato.
Il compito del professionista o dell’O.C.C. sarà non soltanto quello di quantificare il patrimonio del debitore e i beni posseduti, ma anche di analizzare i perché della crisi da sovraindebitamento. Unitariamente alla presentazione del piano di rientro il debitore dovrà indicare anche tutte le somme dovute, i beni e gli atti a disposizione negli ultimi 5 anni, le dichiarazioni dei redditi degli ultimi 3 anni e le spese necessarie per il sostentamento della propria famiglia.
Alle analisi preliminari seguirà la proposta di rientro: il piano dovrà essere presentato al giudice che, con decreto, dovrà fissare la data dell’udienza entro 60 giorni dalla presentazione del piano di rientro. I creditori in caso di accordo del debitore, dovranno accettare il piano di pagamento entro 10 giorni.
IL DANNO CONTRATTUALE ED EXTRACONTRATTUALE
LA TUTELA RISARCITORIA PERMEA TUTTA LA STRUTTURA DEL PROCESSO CIVILE CHE IN QUALCHE MODO E' IL PROCESSO DEL RISARCIMENTO DEL DANNO.
"Il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta"
"Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno"
In entrambi il danneggiante responsabile della condotta, conseguenza del danno (nesso di causalità) è obbligato a reintegrare il patrimonio del danneggiato in modo effettivo così da riportarlo nella situazione quo ante.
I DANNI PATRIMONIALI ED EXTRAPATRIMONIALI
Il nostro ordinamento riconosce il risarcimento sia per il danno patrimoniali che per quello non patrimoniale. Quest’ultimo consiste nella lesione di un interesse giuridicamente rilevante, ma non valutabile secondo parametri oggettivi.
Mentre il
è, specificamente, un tipo di danno che compromette l’integrità economica (una perdita di "soldi" e/o del valore di un bene) di un soggetto e si compone di due elementi:
il danno emergente (perdita diretta del danneggiato, es. danno a veicolo e spese per la riparazione)
il lucro cessante (il mancato guadagno che il danneggiato avrebbe potuto conseguire se non fosse stato leso) tale lucro cessante richiede una prova rigorosa e cioè in modo che risultino certi: “elementi oggettivi di carattere lesivo, la cui proiezione futura nella sfera patrimoniale del soggetto sia certa, e che si traducano, in termini di lucro cessante o in perdita di chance, in un pregiudizio economicamente valutabile ed apprezzabile, che non sia meramente potenziale o possibile” (Corte di Cassazione n°23304/2007)
di converso la categoria del
si riferisce a tutte le lesioni di interessi inerenti alla persona che non sono connotati da una rilevanza economica.
Tabelle danno non patrimoniale (ordineavvocatimilano.it)
Per essi trova applicazione l'art. 2059 c.c. che prevede la risarcibilità del danno non patrimoniale solo nei casi previsti dalla legge ed infatti:
è previsto dall'articolo 139 del Codice delle assicurazioni private: anche se questa norma fa riferimento solamente alle lesioni provocate da sinistro stradale, e tra l’altro solo a quelle non superiori al 9% di invalidità, la sua applicazione è estesa a tutte quelle fattispecie in cui un soggetto subisce danni alla salute a causa di una condotta illecita altrui;
che solitamente si accompagna al danno biologico, poiché fa riferimento alla sofferenza interiore oggettiva della persona causata da una condotta illecita altrui. Abbiamo un danno morale, ad esempio, quando la lesione è ricollegabile alla perdita di una persona cara. Tuttavia, la stessa Cassazione negli ultimi anni ha specificato che il danno morale non è per forza legato all’illecito di tipo penale stabilendo che questo fa riferimento ad un “turbamento dell’anima, di un dolore sofferto, che non abbia generato degenerazioni patologiche della sofferenza”;
(o danno alla vita di relazione): come specificato dalla Corte di Cassazione con la sentenza 233/2003, questo consiste nella lesione di tutti quei diritti o interessi, riconosciuti dalla Costituzione, inerenti alla persona umana (escluse le lesioni alla salute, già tutelate con il risarcimento del danno biologico).
La cittadinanza italiana si acquista iure sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani. Esiste una possibilità residuale di acquisto iure soli, se si nasce sul territorio italiano da genitori apolidi o se i genitori sono ignoti o non possono trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza.
La cittadinanza può essere richiesta anche dagli stranieri che risiedono in Italia da almeno dieci anni e sono in possesso di determinati requisiti. In particolare il richiedente deve dimostrare di avere redditi sufficienti al sostentamento, di non avere precedenti penali, di non essere in possesso di motivi ostativi per la sicurezza della Repubblica.
Si può diventare cittadini italiani anche per matrimonio. La 'cittadinanza per matrimonio' è riconosciuta dal prefetto della provincia di residenza del richiedente.
La decisione di rigetto da parte dell'Amministrazione, precisamente del Ministero dell'Interno può avvenire per mancanza di uno dei requisiti:
residenza anagrafica per un certo periodo di tempo,
redditi congrui,
assenza di precedenti penali (sentenze) ovvero precedenti di polizia (sanzioni amministrtative, rilievi riguardanti controlli/indagini ex L.121/81, art. 7);
conoscenza della lingua italiana a livello b1, come introdotta dal decreto sicurezza (d.l. 113/18) salvo per i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo
L'intervento di un avvocato è importante sia per quanto riguarda i problemi di continuità della residenza angrafica, che la carenza di reddito nonchè dei precedenti penali o di polizia; per i predenti penali, in particolare l'avvocato dovrà previamente procedere con la riabilitazione, mentre per quelli di polizia l'azione legale riguarderà l'aggiornamento (es. di un'assoluzione non indicata), ovvero la richiesta di cancellazione per decorrenza dei termini massimi di conservazione dei dati.
DECRETO LEGISLATIVO 25 luglio 1998, n. 286 - Normattiva
Il visto è rilasciato dall'ambasciata italiana o dalle sedi consolari italiane del Paese di residenza del cittadino straniero; il permesso di soggiorno (articolo 5 del Testo unico immigrazione) è rilasciato in Italia dalle questure competenti a seconda della provincia nella quale si trova lo straniero.
Il visto è un'autorizzazione concessa allo straniero per l’ingresso nel territorio dello Spazio Schengen * e della Repubblica Italiana.
Il visto rilasciato dalle Rappresentanze italiane all’estero consente l’accesso, per transito o per breve soggiorno (fino a 90 giorni), sia in Italia che negli altri Paesi che applicano la Convenzione di Schengen, e assume la denominazione di “Visto Schengen Uniforme” (VSU). Analogamente, il VSU rilasciato dalle Rappresentanze diplomatico-consolari degli altri Paesi che applicano la Convenzione, consente l’accesso anche al territorio italiano.
Il visto d’ingresso per lungo soggiorno (superiore a 90 giorni) assume la denominazione di “Visto Nazionale” (VN) e consente l’accesso per soggiorni di lunga durata nel territorio dello Stato che ha rilasciato il visto e, purché in corso di validità, consente la libera circolazione per un periodo non superiore a 90 giorni per semestre nel territorio degli altri Stati membri.
La domanda di visto deve essere presentata, per iscritto, su apposito modulo in unico esemplare, compilato in ogni sua parte, sottoscritto dallo straniero e corredato di una foto formato tessera.
Allo straniero è richiesto obbligatoriamente di attestare:
la finalità del viaggio;
i mezzi di trasporto e di ritorno;
i mezzi di sostentamento durante il viaggio ed il soggiorno;
le condizioni di alloggio.
Visto per motivi di studio/formazione: ha validità pari a quella del corso che si intende seguire in Italia.
Visto per ricongiungimento familiare: ha validità di un anno dal suo rilascio; viene rilasciato ai familiari da ricongiungere a seguito del rilascio di un nulla osta al ricongiungimento richiesto.
Visto per motivi di lavoro subordinato (a tempo indeterminato, determinato, stagionale): si ottiene solo dopo di 'nulla osta' al lavoro da parte dello sportello unico per l'Immigrazione (Sui). Per instaurare un rapporto di lavoro subordinato con un cittadino extracomunitario residente all'estero, infatti, il datore di lavoro - italiano o straniero legalmente soggiornante in Italia - deve presentare richiesta nominativa di nulla osta al lavoro al Sui competente per la provincia nella quale si svolgerà l'attività lavorativa.
Visto per motivi di lavoro autonomo: può essere richiesto per svolgere in Italia attività di lavoro autonomo non occasionale di carattere industriale, professionale, artigianale o commerciale; per costituire una società di capitali o di persone; per accedere a cariche societarie. Per ottenerlo occorre possedere i requisiti professionali e morali richiesti dalla legge dello Stato ai cittadini italiani per l'esercizio dello stesso tipo di attività.
Mentre il visto consente solamente l’accesso in Italia, lo straniero, giunto in Italia, grazie al visto, è tenuto a richiedere, entro 8 giorni, il permesso di soggiorno grazie al quale potrà soggiornare regolarmente in Italia per un periodo di tempo variabile e svolgere tutte le attività in esso indicate.
Il permesso di soggiorno viene rilasciato dalla Questura della provincia in cui si trova il cittadino straniero.
Decreto del 5 maggio 2017 del Ministero dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministero dell’Interno, che aggiorna dall’art. 5 comma 2 ter TUI – Testo Unico Immigrazione (D. Lgs. 286 /1998 e successive modificazioni):
€ 40,00 permesso di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari ad un anno;
€ 50,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni;
€ 100,00 per permessi di soggiorno CE di lungo periodo e per i permessi di soggiorno dirigenti e i lavoratori specializzati (art. 27 comma 1 lettera a art. 27 quinquies comma 1 lettere a e b – art. 27 sexies comma 2 del TUI – Testo Unico Immigrazione sopra richiamato).
Restano esclusi dal contributo: i permessi di soggiorno per i minori di 18 anni, per cure mediche, per i richiedenti asilo, per protezione internazionale (asilo) o sussidiaria, per alcuni casi speciali, per le richieste di aggiornamento, duplicato o conversione di permesso di soggiorno in corso di validità (mantenendo la precedente scadenza), e per le carte di soggiorno per i familiari di cittadini comunitari emesse ai sensi del Decreto Legislativo n. 30 del 2007.
La ricevuta di pagamento degli importi sopra indicati dovrà essere esibita al momento della convocazione in Questura per l’acquisizione delle impronte.
A questi importi si aggiungono:
i costi di rilascio PSE pari ad € 30,46 (che si sommano a quelli di cui sopra da pagare su unico bollettino);
la marca da bollo di € 16,00;
il costo dell'assicurata postale di € 30,00 (da pagare al momento)
è già prevista dal visto d'ingresso e non può comunque superare:
a) tre mesi, per visite, affari e turismo;
b) nove mesi, per lavoro stagionale;
c) un anno, per la frequenza di un corso per studio o formazione professionale certificati; è previsto il rinnovo annuale per corsi pluriennali;
d) due anni, per lavoro autonomo, per lavoro subordinato a tempo indeterminato e per ricongiungimenti familiari;
e) durata legata alle necessità specificamente documentate e negli altri altri previsti dal Testo unico Immigrazione.
Il rinnovo del permesso di soggiorno deve essere richiesto alla questura competente per provincia di residenza almeno 60 giorni prima della scadenza, per la verifica delle condizioni previste.
I passaggi per la conversione sono due:
1) richiesta nulla osta presso la competente Prefettura;
2) richiesta conclusione del procedimento presso la competenta Questura.
Le condizione generali ed oggettive di conversione sono: l'esistenza di quote di ingresso previste dai decreti flussi e che il documento non sia scaduto.
In particolare, il permesso di soggiorno per motivi di studio/formazione può essere convertito in permesso di soggiorno per attività di lavoro subordinato o autonomo se si possiedono i requisiti previsti per questa tipologia; il permesso di soggiorno per lavoro stagionale può essere convertito in permesso di soggiorno per lavoro subordinato a tempo indeterminato o con contratto di almeno un anno se lo straniero è in Italia per lavoro stagionale per il secondo anno consecutivo o comunque è ancora in Italia con documento valido alla fine del lavoro stagionale.
Il cittadino straniero che si trova regolarmente nel territorio nazionale con un permesso di soggiorno di validità non inferiore a un anno può chiedere alla Prefettura competente per residenza (sportello unico immigrazione) il nulla osta per ricongiungimento familiare con:
coniuge maggiorenne non separato legalmente;
figli minorenni non coniugati, con il consenso dell'altro genitore;
figli maggiorenni a carico (per invalidità totale);
genitori a carico, se non hanno altri figli nel paese di origine/provenienza, oppure ultra 65enni con altri figli che non possano mantenerli per gravi motivi di salute.
Il datore di lavoro, attraverso la procedura telematica disponibile sul sito del ministero dell’Interno, chiede il nulla osta allo sportello unico della provincia nella quale si deve svolgere l'attività lavorativa. lo sportello unico, acquisito il parere della Questura e della Direzione Territoriale del Lavoro, in presenza di tutti requisiti previsti, rilascia il nulla osta.
Permesso di soggiorno | Polizia di Stato
Il permesso per soggiornanti di lungo periodo, impropriamente chiamato carta di soggiorno è un permesso senza limiti di tempo, a differenza del permesso di soggiorno che in genere non supera la durata di anni 2.
Requisiti per l'ottenimento:
1) possesso di un valido permesso di soggiorno da almeno cinque anni dalla data del rilascio;
2) residenza in un Comune italiano al momento della presentazione della domanda;
3) reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale (che per il 2024 è pari a circa 7.000 euro annui). Se si hanno due o più figli minori di 14 anno è richiesto un reddito minimo non inferiore al doppio dell’importo annuo dell’assegno sociale;
4) non pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato.
5) possesso di un livello di conoscenza della lingua italiana non inferiore al livello A2; requisito non richiesto per i minori di quattordici anni.
E, per i familiari, per i quali si richiede permesso di lunga durata:
6) disponibilità di un alloggio ed idoneità dimensionale con parametri minimi previsti dalla legge Idoneità alloggiativa stranieri in Italia: La guida completa per il 2021! (stranieriditalia.com) ed idoneità igienico-sanitario (accertamento ASL).
Con il permesso di lungo periodo si può:
entrare in Italia senza il visto e circolare liberamente su tutto il territorio nazionale;
svolgere attività lavorativa subordinata od autonoma;
usufruire delle prestazioni di assistenza e previdenza sociale, nonché di quelle relative ad erogazioni in materia sanitaria, scolastica e sociale (come ad esempio l’ottenimento di alloggi popolari);
partecipare alla vita pubblica locale nelle forme e nei limiti previsti dalla legge.
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo rappresenta, quindi, un documento di identificazione personale che va aggiornata ogni 5 anni tramite l’ufficio postale.
A differenza del permesso di soggiorno, che consente agli stranieri extracomunitari di stare in Italia per un periodo di tempo variabile, la carta di soggiorno è a tempo indeterminato.
La legge 10 agosto 2023 n. 103 (di conversione del Decreto Legge nr. 69 del 13 giugno 2023) recante disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi derivanti da atti dell’Unione Europea, ha modificato l’articolo 23 del Decreto Legislativo nr 30 /2007, introducendo uno specifico permesso di soggiorno elettronico “per motivi di famiglia” della durata di 5 anni, rinnovabile, convertibile in permesso di soggiorno per motivi di lavoro, destinato ai familiari stranieri di cittadini italiani che non hanno esercitato il diritto di libera circolazione* (cd. cittadini statici).
*che non
La domanda per richiedere la carta di soggiorno va presentata presso gli uffici postali (dove sono distribuiti gratuitamente i moduli necessari) oppure presso i Comuni o i patronati che offrono questo servizio, oppure ad un professionista abilitato (commercialista, avvocato, che si occupa principalmente di contenzioso), allegando copia documento, dichiarazione redditi, certificato casellario, certificato carichi pendenti, dichiarazione di disponibilità, certificazione idoneità alloggio, copia buste paga, ricevuta bollettino c/c postale di € 30,46, marca da bollo di € 16,00, certificato residenza e stato di famiglia e per i minori estratto dell'atto di nascita con paternità e maternità
Se il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo viene chiesto per i familiari è necessario allegare anche i documenti che dimostrino:
idoneità per il numero dei componenti
un reddito sufficiente e adeguato alla composizione del nucleo familiare;
la certificazione anagrafica che attesti il rapporto familiare.
La documentazione dovrà essere tradotta, legalizzata e validata dall’autorità consolare nel Paese di appartenenza dello straniero;
il superamento di un test di conoscenza della lingua italiana.
I soggetti che non possono chiedere il rilascio della carta in questione sono i titolari di un permesso di soggiorno:
per motivi di studio o formazione professionale;
a titolo di protezione temporanea o per motivi umanitari;
per richiesta di protezione internazionale (in attesa di una decisione definitiva);
per soggiorni di breve durata.
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è revocato in caso di:
acquisito fraudolento;
espulsione;
assenza dal territorio dell’Unione per un periodo di 12 mesi consecutivi;
permesso di soggiorno di lungo periodo da parte di un altro Stato membro dell’Unione europea;
assenza dal territorio dello Stato per un periodo superiore a 6 anni;
sopravvenuta pericolosità per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Per utilizzare in Italia un documento redatto da una pubblica amministrazione estera (es. certificato di nascita di un comune indiano) occorre, di regola la legalizzazione: un procedimento diventato sempre più raro, dal momento che per i Paesi che hanno aderito alla convenzione dell'Aia Convenzione_Aja_Stato_applicazione.pdf (prefettura.it)
è sufficiente l'apostille
la LEGALIZZAZIONE avviene presso il Consolato o l'Ambasciata italiana nel Paese d'origine e comprende una doppia verifica: quella dei poteri (il documento è firmato dal funzionario preposto munito delle prescritte qualifiche ed autorizzazioni) e quella dell'autenticità della sottoscrizione (e/o in ultima analisi dell'autenticità del documento) che avviene con confronto della firma depositata. Infine occorre un terzo incombente: la traduzione giurata contattando un traduttore in Italia a meno che l'atto sia redatto su modelli plurilingue previsti da Convenzioni internazionali.
l'APOSTILLE viene apposta sul documento straniero a cura della competente autorità interna designata da ciascuno Stato, l'unica che può conoscere l'autenticità della sottoscrizione di un suo funzionario. L’Apostille è un timbro che viene apposto dal governo di un Paese firmatario della Convenzione dell’Aja del 1961, che riconosce la qualità con cui opera il funzionario pubblico che ha sottoscritto il documento, la veridicità della firma e l’identità del timbro o del sigillo del quale il documento è rivestito.
Inoltre si precisa che in basa alla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987, ratificata in Italia con L. 106/90 non è necessaria nè legalizzazione, nè l'apostille per i documenti che "transitano" tra i seguenti Paesi:
Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lettonia ed Estonia.
Alcuni Paesi, inoltre, in base ad accordi bilaterali, hanno convenuto la soppressione di ogni forma di legalizzazione ed apostilla come è il caso, p.es. di Austria, Germania ed Ungheria.
Inoltre Sono esenti da legalizzazioni gli atti redatti dai rappresentanti diplomatici e consolari dei seguenti Paesi:
Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Liechtenstein, Lussemburgo, Moldova, Norvegia, Olanda, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, San Marino, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.
I DOCUMENTI DEL CONSOLATO DEL PAESE STRANIERO IN ITALIA: L'EXAMOTAGE DEL DOCUMENTO PRODOTTO ALL'ESTERO CHE IN REALTA' VIENE PRODOTTO IN ITALIA!
Molto diffusa è la prassi di confezionare direttamente il documento presso l'autorià consolare straniera
2) UTILIZZARE ALL'ESTERO UN DOCUMENTO FORMATO IN ITALIA: l'apostille o legalizzazione presso la Prefettura e presso il tribunale
Per utilizzare all'estero un documento italiano (diploma, certificato, etc.) è competente per l'apostille (se il Paese verso cui deve esibirsi il documento ha aderito alla Convenzione dell'Aja):
la Prefettura per gli atti pubblici, quali certificati rilasciati dai comuni, dalle università, e dagli altri enti pubblici che rientrano nella sua competenza territoriale ed a condizione che il documento sia firmato da un funzionario e che la sua firma sia regolarmente depositata presso la stessa Prefettura. Accade quindi che, seppure astrattamente, un diploma di maturità regolarmente rilasciato a firma del dirigente scolastico sia suscettibile di apostille/legalizzazione, l'interessato debba fare un ulteriore passaggio presso l'Ufficio Scolastico Regionale che ha provveduto a depositare la firma del suo dirigente!
Supponiamo che tu debba produrre all’estero, in un Paese che non abbia aderito alla Convenzione dell’Aja, un certificato di matrimonio rilasciato dal Comune italiano oppure un certificato dei carichi pendenti. Questi sono tutti i passi da seguire:
Nel primo caso devi legalizzare il certificato presso la Prefettura del Comune che l’ha rilasciato, nel secondo caso devi legalizzare il certificato dei carichi pendenti presso la Procura della Repubblica.
Soltanto successivamente puoi contattare un traduttore per far fare una traduzione giurata dei certificati – compreso il timbro della legalizzazione.
Il terzo passo sarà legalizzare la traduzione presso Procura del Tribunale in cui è stata reso il giuramento. In questo caso si parla di legalizzazione della traduzione giurata.
Infine, devi legalizzare la firma del Prefetto e della Procura presso il consolato o l’ambasciata del Paese estero in Italia.
Legalizzazione documenti - Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Siena
La legalizzazione di firma consiste nell'attestazione ufficiale della legale qualità di chi ha apposto la propria firma sopra atti, certificati, copie ed estratti, nonché dell'autenticità della firma stessa.
Importante: sia la legalizzazione che l'Apostille non certificano in alcun modo l'autenticità del contenuto del documento legalizzato o apostillato .
La legalizzazione e l'Apostille di per sé non hanno scadenza (e dunque è superfluo apporne una seconda allo stesso documento), mentre può averla il documento legalizzato o apostillato , in base alle leggi dello Stato dove deve essere utilizzato.
La Prefettura - Ufficio territoriale del Governo provvede alla legalizzazione delle firme o all'apposizione dell' Apostille sugli atti e documenti formati in Italia e da valere all'estero davanti ad autorità estere, nonché alla legalizzazione delle firme sugli atti e documenti da valere in Italia e rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente in Italia, fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione o dell' Apostille stabilite da leggi o da accordi internazionali.
Generalmente, gli atti e documenti formati in Italia e da valere davanti ad autorità estere, una volta legalizzati dalla Prefettura - Ufficio territoriale del Governo, devono essere nuovamente legalizzati dalle rappresentanze diplomatiche o consolari competenti per lo Stato di destinazione, sempreché la legge di quello Stato preveda la necessità di questa seconda legalizzazione: al riguardo, si consiglia di informarsi preventivamente presso la competente rappresentanza diplomatica o consolare (l' Apostille elimina sempre la necessità di questa seconda legalizzazione, ma può essere utilizzata solo negli Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja citata sotto).
ATTENZIONE
La legalizzazione degli atti giudiziari e notarili è di competenza della Procura della Repubblica presso il Tribunale territorialmente competente.
Le firme sugli atti e documenti formati all'estero da autorità estere e da valere nello Stato sono legalizzate dalle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane all'estero, fatte salve le esenzioni dall'obbligo della legalizzazione e della traduzione stabilite da leggi o da accordi internazionali.
Le firme apposte su atti e documenti dai competenti organi delle rappresentanze diplomatiche o consolari italiane o dai funzionari da loro delegati non sono soggette a legalizzazione.
Gli atti e documenti scolastici di qualsiasi tipo e data rilasciati dalle scuole elementari, medie e superiori, pubbliche e private, con sede nella provincia di Siena, devono essere preventivamente autenticati dall'Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana . Ufficio XVIII - Ambito territoriale per la provincia di Siena (ex Provveditorato agli studi di Siena e successivamente Ufficio Scolastico Provinciale di Siena), con sede in Via Piazza Amendola 29 Siena, avendo cura di avvertire il personale di quest'ufficio che i documenti sono poi destinati alla Prefettura-U.T.G. di Siena per il successivo utilizzo all'estero.
La legalizzazione delle firme non è necessaria per gli atti e i documenti rilasciati da una rappresentanza diplomatica o consolare estera residente in Italia dei seguenti Stati aderenti alla Convenzione di Londra del 7 giugno 1968 o alla Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Lettonia, Liechtenstein, Lussemburgo, Moldova, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia.
La legalizzazione delle firme non è necessaria per tutti gli atti e i documenti rilasciati dalle autorità amministrative dei seguenti Stati: Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia (Convenzione di Bruxelles del 25 maggio 1987), Germania (Convenzione di Roma del 7 giugno 1969), Ungheria (Convenzione di Budapest del 26 maggio 1977).
I documenti formati o da valere negli Stati aderenti alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 devono essere sottoposti alla formalità della c.d. Apostille (ovvero un timbro speciale attestante l'autenticità del documento e la qualità legale dell'Autorità rilasciante), in luogo della legalizzazione, fatte salve le esenzioni stabilite da accordi internazionali più favorevoli.
Importante : i documenti da apostillare devono avere il nominativo e la qualifica del firmatario indicati per esteso (non importa se apposti con timbro lineare, computer, macchina da scrivere, penna o altri mezzi indelebili) e devono avere impresso vicino alla firma il timbro indelebile dell'ente emittente (c.d. timbro tondo, anche se può avere altre forme), in quanto la loro indicazione costituisce elemento obbligatorio dell'Apostille (punti n. 2, 3, 4 del modello pubblicato - nell'originale francese - nel sito ufficiale).
In ogni caso, è esclusa la possibilità di legalizzare o a postillare documenti non firmati in originale (ad esempio fax o stampe di e-mail); secondo il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica e dell'Agenzia per l'Italia Digitale, l'attuale quadro normativo non consente neanche la possibilità di legalizzare o apostillare documenti firmati digitalmente.
La Circolare n. 5/12 del 23 maggio 2012 del Ministero per la pubblica amministrazione e la semplificazione ha previsto che sui documenti rilasciati dalle Pubbliche amministrazioni italiane da valere all'estero venga apposta la dicitura «Ai sensi dell'art. 40, D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, il presente certificato è rilasciato solo per l'estero»: si raccomanda pertanto di precisare la destinazione per l'estero all'atto della richiesta di qualsiasi documento da utilizzare al di fuori dell'Italia (e dunque normalmente da legalizzare o apostillare ), controllando che venga apposta esattamente la dicitura suddetta (che tuttavia viene omessa nel caso si tratti di modelli internazionali o comunque non suscettibili di alcuna modifica).
Il trattamento fiscale (ovvero l'imposta di bollo) di legalizzazioni e Apostille dipende dalla natura e dalla finalità dei documenti da legalizzare o apostillare : si può consultare una breve guida a sull'argomento.
La provenienza comunitaria della documentazione amministrativa non è finora di per sé motivo - nonostante una diffusa credenza in tale senso - per un'esenzione generalizzata dalla legalizzazione e formalità equivalenti: per un approfondimento, è possibile consultare una breve guida sull'argomento.
La traduzione dei documenti in e dall'italiano non è di competenza di questo ufficio.
Nella pagina web del Servizio Cittadinanza e' disponibile una guida alle forme di legalizzazione e traduzione richieste per l'utilizzo in Italia dei documenti necessari per la richiesta della cittadinanza italiana , a seconda dello Stato di provenienza: tale guida puo' comunque essere utilmente impiegata ai fini orientativi anche per altre tipologie di documentazione e per l'utilizzo all'estero di documenti italiani, stante la puntuale indicazione di convenzione e accordi internazionali applicabili.
Gli avvocati possono richiedere 13 tipologie di certificati relativi a cittadini iscritti all’ANPR, per svolgere investigazioni difensive o far valere un diritto in sede giudiziaria.
Gli avvocati iscritti all’Albo possono richiedere all’ANPR i certificati anagrafici dei cittadini presenti nella sua banca dati. Il certificato è reso immediatamente disponibile all’avvocato che lo ha richiesto nell’area dedicata del portale ANPR ed è rilasciato in esenzione dall’imposta di bollo ai sensi dell’articolo 18, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.
È possibile richiedere 13 tipologie di certificati:
anagrafico di nascita;
anagrafico di matrimonio;
di cittadinanza;
di esistenza in vita;
di residenza;
di residenza AIRE;
di stato civile;
di stato di famiglia;
di residenza in convivenza;
di stato di famiglia AIRE;
di stato libero;
anagrafico di unione civile;
di contratto di convivenza.
L’avvocato tratta i dati personali dei cittadini contenuti nell’ANPR per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, nel rispetto delle Regole deontologiche adottate dal Garante per la Protezione dei dati personali con il provvedimento n. 512 del 19 dicembre 2018.
L’ANPR conserva fino ad un massimo di 36 mesi le informazioni sulle richieste di certificati effettuate da un avvocato.
I certificati per avvocati disponibili nell’area dedicata del portale ANPR per tutti gli iscritti all’albo nazionale degli avvocati presso il Consiglio Nazionale Forense.
Per accedere, è necessario autenticarsi con SPID, CIE o CNS. Il sistema verificherà tramite interoperabilità con i servizi resi disponibili dal Consiglio Nazionale Forense l’effettiva iscrizione dell’utente. Si possono emettere massimo 30 certificati al giorno.
LE CAUSE BANCARIE:
CLAUSOLE/PROCEDURE ILLEGITTIME NEI MUTUI, PRESTITI E NEGLI ALTRI STRUMENTI FINANZIARI
Gli istituti di credito, negli ultimi anni, prestano sempre più attenzione nella predisposizione di clausole inattacabili ma dall'analisi della documentazione del Vostro rapporto finanziario possono sempre emergere "falle" del sistema alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea ma anche dei Tribunali italiani.
Solo un avvocato può assisterVi sia nella fase di controllo della documentazione (anche a distanza di anni), controllo che, ha comunque costi molto ridotti; il controllo, nei casi complessi, può richiedere l'ausilio di un consulente esterno ovvero di software specifici per meglio circoscrivere la portata del risarcimento a seguito di redazione di perizia tecnica circa l'an ed il quantum preciso della pretesa risarcitoria. L'avvocato, conclusa questa fase preliminare potrà consigliarVi di intentare un componimento bonario in via stragiudziale ovvero un giudizio vero e proprio.
Si ricorda che, nel caso di smarrimento della documentazione, circostanza, veramente troppo frequente, il Testo Unico Bancario (Decreto Legislativo n. 385 del 1993) all'art. 119 consente la possibilità di ottenerne una copia completa:
Comunicazioni periodiche alla clientela
1. Nei contratti di durata i soggetti indicati nell'articolo 115 forniscono al cliente, in forma scritta o mediante altro supporto durevole preventivamente accettato dal cliente stesso, alla scadenza del contratto e comunque almeno una volta all'anno, una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto. Il CICR indica il contenuto e le modalità della comunicazione.
2. Per i rapporti regolati in conto corrente l'estratto conto è inviato al cliente con periodicità annuale o, a scelta del cliente, con periodicità semestrale, trimestrale o mensile.
3. In mancanza di opposizione scritta da parte del cliente, gli estratti conto e le altre comunicazioni periodiche alla clientela si intendono approvati trascorsi sessanta giorni dal ricevimento.
4. Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione.
LA CLAUSOLA FLOOR NEI MUTUI A TASSO VARIABILE
Nei mutui a tasso variabile gli interessi si calcolano sommando due quote: il tasso Euribor e lo spread.
L’Euro Interbank Offered Rate è il tasso medio a cui si verificano le negoziazioni tra le banche nella zona Euro. Viene comunicato giornalmente dalla European Banking Federation (EBF) detta anche Money Markets Institute (EMMI) ed è la media dei tassi d’interesse ai quali primarie banche attive nel mercato monetario dell'euro, sia nell'eurozona che nel resto del mondo, offrono depositi interbancari a termine in euro ad altre primarie banche. Per primaria banca si intende un istituto di credito con elevata affidabilità per i depositi a breve termine, capace di prestare a tassi di interesse competitivi, notoriamente attivo in strumenti di mercato monetario denominati in euro e con accesso alle operazioni di mercato aperto dell'Eurosistema. La sua nascita è coincisa con quella dell’euro (4 gennaio 1999), ed è andata a sostituire i diversi tassi di mercato monetario utilizzati nei singoli Paesi (in Italia era usato il Ribor – Roma Interbank Offered rate).
Nei mutui a tasso variabile la componente interessi di ciascuna rata viene calcolata applicando un tasso che di volta in volta è ottenuto a partire da un parametro base che è il tasso Euribor, un valore di riferimento del sistema interbancario europeo che gli istituti creditizi utilizzano per regolare i rapporti a breve termine fra di loro.
Esistono diverse versioni dell’Euribor, relative alla durata delle operazioni:
ad 1 mese,
a 3 mesi,
a 6 mesi
e a 12 mesi.
Nella concessione di credito rateale alle controparti non bancarie il tasso Euribor viene aumentato di una percentuale fissa, lo spread, che di fatto rappresenta la remunerazione che la banca consegue dai mutui.
Per esempio, in presenza di un Euribor dello 0,5% e di uno spread dell’1,7%, il tasso complessivamente applicato al mutuo sarà pari al 2,2%.
Quasi senza eccezione, tuttavia, i mutui a tasso variabile contengono una clausola particolare denominata “Floor”, che fissa un limite minimo al valore che può assumere il tasso complessivo.
In presenza di un Floor del 3%, nell’esempio precedente il tasso complessivo risulterebbe pari proprio al 3%, anche se la somma Euribor + spread risulta inferiore. Generalmente nei contratti di mutuo il tasso Floor è posto pari allo spread.
La clausola Floor rappresenta dunque una forma di protezione della remunerazione bancaria, che è messa al riparo da riduzioni troppo marcate dell’Euribor, garantendo all’istituto un tasso minimo pari allo spread.
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Forse potrebbe esserti utile l'interessantissimo libro "Come difendersi dalla centrale rischi e dal default del conto corrente" a cura di Marcella Caradonna pubblicato da Maggioli Editore.
A partire da marzo 2015 e fino all’estate del 2022 le politiche monetarie delle banche centrali hanno spinto i valori dell’Euribor in territorio negativo, con la conseguenza di avere innescato nei mutui a tasso variabile l’applicazione della clausola Floor, i cui effetti immediati sono stati quelli di aver fittiziamente aumentato l’importo delle rate dei mutui nella componente interessi.
Ad esempio il primo gennaio del 2022, l’Euribor 1 mese ha assunto un valore pari a -0,59% ed un mutuo con spread e tasso Floor del 2% si trova a subire un tasso complessivo del 2% anziché dell’1,41%.
In un mutuo di consistenza media tale differenza di tasso si traduce in un aggravio di interessi, per il consumatore, di almeno 30/40 euro per ogni rata.
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Ti consigliamo:
La Corte è stata chiamata ad esprimersi in un contenzioso sollevato da un consumatore verso la Banca BPM, in cui si contestava la vessatorietà della clausola Floor, non tanto perché rendeva il mutuo più oneroso, ma in quanto perché il Floor determinava uno squilibrio ingiusto nella distribuzione dei rischi legati all’andamento dei tassi Euribor.
In sostanza un meccanismo di limitazione dei tassi verso il basso a cui non corrisponde un analogo meccanismo di limitazione verso l’alto (la c.d. clausola “Cap”) assicura la tutela del rischio finanziario solo alla controparte professionale (la banca) e non anche a quella consumatrice (il mutuatario).
La Corte d’Appello, anche rifacendosi a pronunce in materia della Corte di Giustizia Europea, ha ritenuto fondata tale eccezione, stabilendo che una clausola formulata in modo da tutelare i diritti della parte contrattuale forte debba essere a tutti gli effetti considerata come una “clausola vessatoria” che richiede una evidenziazione con relativa sottoscrizione specifica.
Nel caso esaminato dalla Corte, peraltro, la clausola non era nemmeno trattata nel capitolato delle condizioni generali del mutuo, ma riportata nel solo foglio illustrativo.
La sentenza ha quindi dichiarato nulla la clausola Floor, disponendo di fatto la restituzione degli interessi addizionali che aveva generato, ma è andata anche oltre, inibendo alla banca convenuta l’utilizzo futuro della clausola nella forma dichiarata nulla.
Evidentemente tutti i mutuatari (clienti anche di altre banche) che si trovano in una condizione analoga, mutuo a tasso variabile con clausola Floor non elencata fra le clausole vessatorie, rate pagate nel periodo 2015-2022, hanno la possibilità potenziale di contestare la validità della clausola, con una altissima probabilità di vedersi riconoscere la restituzione degli interessi addizionali.
L’ordine di grandezza delle somme interessate è certamente significativo: ad esempio in un mutuo di € 200.000 trentennale stipulato nel 2015 gli importi “indebiti” sfiorano il valore di 6.000 euro.
LA CLAUSOLA FLOOR NEI MUTUI A TASSO VARIABILE
(IN COSTRUZIONE)
L'ARBITRATO BANCARIO: LA PROCEDURA E LE PRINCIPALI POSIZIONI DELL'ARBITRATO DI BARI E DI COSENZA