Stabat Mater

Nicola Bonifacio Logroscino

Giulia Semenzato soprano
Raffaele Pe controtenore


Ensemble Talenti Vulcanici
6 violini, 2 viole, 2 violoncelli, 1 contrabbasso, 1 tiorba, 1 organo

Stefano Demicheli clavicembalo e direzione


Programma

“Ecco l’ara, ecco il nume”
Cantata per soprano, due violini, viole e basso continuo – in Sol minore


Concerto per flauto traverso, due violini, viola e basso continuo – in Sol maggiore
Allegro, Andante, Allegro

Stabat mater
per soprano, contralto, 2 violini e basso continuo – in Mi bemolle maggiore

La musica sacra e quella strumentale nel Settecento italiano hanno avuto fino a non molto tempo fa scarsa attenzione e considerazione; la tradizionale storiografia infatti riferiva sostanzialmente dei successi legati al teatro musicale, principalmente quello serio e in seconda battuta quello comico. Al contrario per i compositori di quei tempi si trattava di importantissime palestre di un “mestiere” che essi apprendevano negli studi e portavano nelle pubbliche o private esecuzioni richiestissime da clero, per le numerose celebrazioni liturgiche e paraliturgiche, e nobiltà, per le “accademie”, cioè concerti che spesso si organizzavano per far esibire professionisti e dilettanti. Lo Stabat Mater, la celebre sequenza latina presente nella Messa dei Sette Dolori della Madonna e nella Via Crucis, venne tradizionalmente eseguita in musica fin dal Medioevo. Nel Settecento si era andata configurando una struttura “consueta” per ciascuna delle principali forme musicali sacre e lo Stabat si presenta in più occasioni per un organico consistente in due voci, soprano e mezzosoprano, orchestra d’archi e basso continuo. Il lungo testo, 20 strofe di tre versi ciascuna, è suddiviso per creare arie e duetti. Nella versione di Nicola Bonifacio Logroscino (Bitonto, Bari, 1698 - prob. Palermo, ca.1765), vi sono anche tre recitativi. Logroscino, la cui fama è legata alla definizione che gli venne attribuita di “dio dell’opera buffa”, visse gli ultimi anni della sua vita a Palermo dove aveva assunto l’incarico di maestro di contrappunto nel Conservatorio di quella città e lo Stabat venne composto lì nel 1760. Secondo la mai tramontata tradizione “madrigalistica”, il compositore sfoggia una ricca tavolozza di effetti corrispondenti ad altrettante parole forti, come ad esempio l’uso di biscrome ribattute negli archi alla parola gladius, con alternanze di piano e forte specificamente indicate (aria per contralto Cujus animam gementem) e naturalmente i tanti cromatismi che sottolineano il dolore della madre davanti al figlio morto. Anche la fuga sull’Amen rientrava nelle consuetudini. Anche se oggi conosciamo poco della vita del compositore, la sua è la biografia tipica di molti musicisti italiani dell’epoca. Costoro nati in piccoli centri del Sud Italia e avviati agli studi musicali presso i conservatori di Napoli, ricoprirono con onore incarichi musicali nel campo del melodramma e della musica da Chiesa con risultati artistici che oggi vengono ampiamente apprezzati. Logroscino studiò al Conservatorio di Santa Maria di Loreto sotto la guida di Gaetano Veneziano. Esordì successivamente a Napoli come compositore di opere serie, e sicuramente doveva essere considerato un promettente compositore teatrale, se nel 1738, il ministro preposto ai Reali Teatri di Napoli lo proponeva al re, ma di questa sua attività rimangono pochissime tracce. Non di meno la sua fama si espanse come uno dei più popolari compositori di lavori teatrali di carattere comico, dominando le scene del teatro dei Fiorentini e del teatro Nuovo almeno fino agli anni 1757-58, quando si cominciò a preferirgli Niccolò Piccinni. Lo Stabat Mater è una delle rare composizioni pervenuteci integre in un manoscritto autografo della Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, esso prende le mosse dalle analoghe composizioni di Alessandro Scarlatti e Giovanni Battista Pergolesi, tuttavia piuttosto che calcarne le orme collaudate con un’osservanza pedissequa, si muove in un clima di drammaticità intensa e nel contempo assai controllata entro la quale le voci soliste e in duetto alternano alle Arie di ampio respiro e di diversa indole, spesso evidenziate con ritmi vivaci e nervosi, quasi di derivazione popolare, dei Recitativi asciutti, scarni ed essenziali. Proprio queste caratteristiche così marcate, quasi atipiche in contesto religioso, restituiscono alla dignità dell’esecuzione e all’ascolto una singolare partitura oggi dimenticata e in grado di dirci alla fine qualcosa di più sulla perizia professionale sull’ispirazione accesa, tutta meridionale, del suo compositore.

Marina Marino