Romana Brovia

Petrarca e la senilità del mondo

R. Brovia, «Mundus iam senescens et ad extremum vergens» (Contra med. II 180). Petrarca e la senilità del mondo, tra storia naturale e filosofia della storia.

Come ogni creatura, prima fra tutti l’uomo, anche il Mondo invecchia e procede verso la morte. Ne è certo Francesco Petrarca, che si mantiene saldamente ancorato al dettato biblico e all’esegesi patristica. Ma nella seconda metà del Trecento questa posizione non si poteva ritenere scontata, sottoposta com’era alla pressione dell’aristotelismo dilagante e alle tensioni scientiste della Scolastica. Il problema della caducità/eternità del mondo, infatti, posto al centro del dibattito filosofico nel corso del secolo precedente, di recente era tornato in auge in Italia, a partire dall’Università di Bologna presso cui avevano operato maestri come Gentile da Cingoli, Angelo da Arezzo e Taddeo di Parma, per giungere fino a Venezia e Padova dove Petrarca risiedeva.

È ben noto che il poeta non amava l’aristotelismo né gli aristotelici ma mai tale avversione, che ha ragioni soprattutto culturali, lo aveva indotto a cimentarsi con scritti di carattere speculativo. La questione dell’eternità del mondo, invece, dovette essergli tanto urgente da emergere a più riprese nelle epistole e nelle invettive (sotto forma di apparato metaforico o come ragionamento esplicito), fino ad essere apertamente affrontata nel De sui ipsius et multorum ignorantia, che è universalmente considerato come l’unica opera propriamente filosofica del poeta.

Nel mio contributo proverò a rintracciare le linee costitutive della ‘teoria’ petrarchesca delle Età del mondo, osservandole nel contesto del dibattito filosofico italiano della seconda metà del Trecento e seguendole tra i primi posteri (i discepoli del circolo padovano) per misurarne l’influsso.