Conegliano, preistoria e storia

 

Le più antiche tracce della presenza  umana nel Veneto provengono  dalle cave di Quinzano, dal monte Gazzo e dal Lughezzano sui monti Lessini a nord di Verona e appartengono al grande ciclo dell'Aucheuleano. Trattasi di materiali litici scheggiati dall'uomo preistorico del paleolitico inferiore  al fine di ricavare strumenti di taglio e di asporto  o  semplicemente  di  schegge  e  denticolati - non mancano i bifacciali - che presentano incavi e stacchi clactoniani mentre alcuni sono lavorati con tecnica levallois.                                        

      

A sinistra raschiatoio del  paleolitico, Conegliano, collina del castello - Al centro paleosuolo dell'insediamento neoloitico della Ferrera di Conegliano. A destra stele funeraria paleoveneta rinvenuta a Castello Roganzuolo

 

Coltello e chiodi della villa romana di S. Vendemiano

 

 

punte neolitiche in selce - Ferrera

Per le somiglianze con altre culture litiche, tali reperti, ricavati sul  selce, vengono   attribuiti  ad  uno  stadio precedente  la  glaciazione del  Riss (250.000 anni fa) e non oltre il mezzo milione di anni. I  più antichi  reperti della  provincia  di   Treviso   provengono,  fin'ora,  da  Susegana  e  da Conegliano. Trattasi  di  materiale  su  selce ricavato soprattutto con tecnica Levallois e

 scheggiato dall'uomo del Paleolitico Inferiore ( Acheuleano finale ) e dall'uomo di Neanderthal. 

 

 

 Dente di mastodonte ( Museo civico)

Alcuni reperti    su ciottolo rinvenuti a Susegana  e qualcuno a Conegliano,     ci fanno ipotizzare      che l'uomo vivesse nel nostro territorio circa mezzo milione di anni fa  ( Paleolitico Inferiore ). Siamo però ancora  di fronte  a  isolati reperti che ci   confermano la presenza del nostro progenitore, ma  ci  forniscono scarse tracce sul suo stile di vita e sulle sue problematiche. Bisogna attendere il Neolitico per avere informazioni più sicure sul modo di concepire l'aggregazione sociale e sul tipo di attività che svolgeva il nostro antenato. Nel  periodo  della pietra nuova  ( neolitico significa appunto questo )  a Conegliano e Susegana esistevano, visti i diversi ritrovamenti , almeno due villaggi fissi. Il primo in località Ferrera, il secondo sulle pendici del castello S. Salvatore. I due siti, all'epoca in cui l'uomo conosceva l'agricoltura e la ceramica, sono databili intorno al quattro mila avanti Cristo. Fra gli  strumenti  più  significativi rinvenuti ci sono macine, raschiatoi, punte di frecce  in selce, resti di  ceramica  e  di  focolari. Alcuni di questi strumenti sono esposti nel museo civico del castello di Conegliano. 

 

 

       

 Macine neolitiche - Conegliano             denti fossili ( cinghiale e equide )        ceramica età del bronzo -                                                                                                                        Conegliano

 

Il  nostro  territorio  ricco  di  testimonianze  neolitiche, non poteva, per logica, che  fornirci ulteriori segni di questo periodo e del successivo. Nell'età del bronzo (1800-1000 a. C.) troviamo due  insediamenti  a  Conegliano. Il più conosciuto è quello di casa Cima importante per l'enorme numero di resti fittili presenti in una rara stratigrafia in posto ( quelli esposti sono una minima parte ). Il secondo si trovava sulla collina del castello. Sono questi gli abitanti che daranno vita alla cultura dei Paleoveneti.

Il problema delle origini dei Veneti, pur se ancora fa discutere, non intacca la ricchezza culturale dei nostri progenitori le cui testimonianze, specie nella zona di Padova e Este, dimostrano come questa civiltà  è stata una delle più importanti dell'Italia preromana.

 

 

      

Punta di lancia romana e moneta  di bronzo  dell'imperatore Vespasiano  ( S. Vendemiano ) . A destra una moneta romana rinvenuta sulla collina del castello di Conegliano.

  

 

 

Sebbene  Conegliano  non  sia  mai  stata  citata  da  scrittori  latini, ha  vissuto

anch'essa e pienamente   il periodo romano; l'influenza della grande Opitergium non poteva non farsi sentire vista la vicinanza e la strategica posizione di Conegliano.  Reperti di quest'epoca sono affiorati e spesso dispersi, in tutta la zona. Nel 1913  a S. Vendemiano furono scoperte sette tombe romane contenenti offerte funerarie e arredi ma tutto è stato disperso. E' rimasta invece l'edicola romana di Campolongo ora esposta al Museo civico del castello.

 

 

 A sinistra embrici della villa romana di S. Vendemiano; al centro frammento di una tazza decorata e a destra  Fregio dei resti della della villa romana di Conegliano.    

                                                                                        

            

  

 

 

 

 

 

 

 

 

A destra l'edicola funeraria romana ritrovata a Campolongo di   Conegliano.

 

 

Importante il ponte romano sul Crevada al confine con Susegana. Due poi  le  ville  romane  segnalate  nella zona, una sull'attuale  circonvallazione  e l'altra  a  S. Vendemiano.

 

 

 

A destra il cippo di confine sulle colline di Conegliano 

              

 

Il Ponte romano su Crevada al confine con Susegana; sia la tecnica costruttiva ( base in conglomerato e volta in cotto ) come pure le misure, rimandano ad una tipica costruzione romana del tardo Impero pur non escludendo rifacimenti medievali. A destra il cippo di confine sulle colline di Collalbrigo; si legge, approssimativamente considerate le abbreviazioni, in antico veneto: "Da detto colle, di qua e di la in fin al Ruyo" ( che è il torrente sottostante la collina dove è posto il quasi millenario cippo ).

 

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NASCITA DEL COMUNE DI CONEGLIANO   

 

Verso la metà del secolo XI i nobili del territorio del futuro comune, preoccupati per le continue scorrerie  militari, si uniscono intorno alla collina e formano una consorteria al fine di difendere il territorio e i propri abitanti.

Tra le famiglie che la formano ci sono i Coderta che possedevano un feudo a S. Fior, i Da Bagnolo possidenti di case e terreni nell'omonima località, i Da Colle che abitavano intorno a Castel Roganzuolo. Un documento di alleanza firmato con Padova il 9 giugno del 1180 ci conferma dell'esistenza di tale consorteria. Conegliano non avrà vita facile e si scontrerà presto con gli appetiti militari dei centri vicini, primo fra tutti Treviso. Un'allenza con il capoluogo della Marca  trascinerà poi la città in tutta una serie di peripezie e guerre fino ad essere soggetta all'Impero d'Austria dal 1319 al1329. Poi seguirà la dominazione scaligera di Verona, risoltasi con una rivolta per gli eccessi   gravami finaziari. Fu in questo periodo che Conegliano diventò una città murata. Infine Conegliano si offre a Venezia  nella speranza di trovare una valida difesa. Seguiranno le invasioni del re d'Ungheria, degli Austriaci, dei Carraresi e poi di Napoleone.

Da ricordare un fatto storico nel 1792: il passaggio e la breve sosta del sommo Pontefice Pio VI diretto a Vienna.

 

 

 

 

ORIGINE DEL NOME CONEGLIANO

Svanita l'idea leggendaria che il nome potesse derivare dal mitico Giano, superate le altre ipotesi esterofile e considerando che non ci sono prove sul nobile romano da cui potrebbe derivare Conegliano  ( l'abitato esisteva prima ancora dell'arrivo dei romani come ci attestano i consistenti ritrovamenti dei reperti dell'età del bronzo e prima ancora del Neolitico), rimane valida l'ipotesi che il nome del capoluogo della sinistra Piave  risulterebbe aggregato ad un toponimo latino derivato dall'agricoltura. La frazione coneglianese di Ogliano, l'altra zona collinare più vicina all'antica  Ceneda di Vittorio, veniva indicata, come i documenti dell'epoca ci dimostrano, con il nome di Oliano - in dialetto Oyan - e la coltivazione dell'ulivo è un fatto più che accertato come pure la produzione dell'olio. Leggiamo infatti negli Antichi Statuti di Conegliano:" Chi taglia o sradica un olivo o un albero fruttifero ...sarà condannato alla multa di cento soldi dei piccoli". Esistevano inoltre, all'epoca, leggi finalizzate alla tutela e allo sviluppo dell'ulivo: " ...il colono, è tenuto a piantare ogni anno, in ogni podere che conduce per  contratto di livello, o in altro modo, cinque piedi di ulivo...". Che nella zona si producesse olio è un fatto indiscusso e ne fa riferimento anche il Podestà di Conegliano  Marco Manno in una sua relazione del 1609 letta al Senato di Venezia dove si fa riferimento ad un anno troppo rigido che  ebbe come conseguenza una penuria di olio.

Conegliano deriverebbe perciò da Cum-Oljano  o  Cum-Oliano nel senso di legame o appartenenza a Ogliano oppure di territorio con produzione di olio.

I due toponimi infatti subiscono nel tempo  la stessa evoluzione come dimostrano i tanti documenti degli  Antichi Statuti di Conegliano e i due nomi sono troppo vicini e troppo simili per non essere fra loro legati e in un certo senso  interdipendenti l'uno dall'altro.

 

 

 

 

Pagella della scuola  elementare comunale di   Conegliano all'epoca del  Podestà Concini ( 1843 ).

L'alunno Angeli Francesco è indicato come nativo di Oliano, al centro nell'ultima colonna assieme a Pietro Scarpis.

 

 

   

Antico crocifisso del '500 in via Manin  - Stemma famiglia Pisani - Pianta di olivo in collina e sullo sfondo la città

 

 

 

 

IL CASTELLO  MUSEO

 

Il  castello  di  Conegliano  sorge  intorno  all'anno  mille  come fortificazione    di   difesa  contro  le  scorrerie dei   barbari. Un documento   del  1189  ( A.V.C. )   riporta l'obbligo dei popolani coneglianesi a contribuire al rifacimento delle mura e dei fossati della fortezza del castello. I   vari dominatori che conquistarono  il  Comune   si   preoccuparono   soprattutto  di  potenziare  le strutture difensive in modo da rendere Conegliano una vera e propria  città murata; intorno al XV secolo infatti esistevano più di sessanta torri. La struttura  del castello e  del  borgo  sottostante  si  ricavano  oltre  che  dai ruderi e dai reperti, anche dai quadri di G. B. Cima  che  con   grande maestria dipinse spesso la collina a sfondo delle   sue   opere.  Gli    attuali   cimeli   infatti,    sono  una     piccola parte di  un complesso difensivo  e  architettonico che occupava  quasi  tutta  la collina  e dove prendevano posto militari, nobili  e podestà. I  primi  a  dare  un  assetto  concreto  alle  opere di difesa  furono  gli Scaligeri  mentre  fu  al  tempo  della  terza  dominazione  veneziana (1389 ) che si raggiunse l'apice della fortificazione.       Dopo la caduta della repubblica Veneta  e  l'invasione  dei  francesi  di  Napoleone,  la  collina perderà via via la sua considerazione di posizione strategica difensiva  ed   in   seguito  molte strutture  verranno  abbattute, altre si perderanno per abbandono o incuria.

 

Il grande e monumentale complesso del monastero di Santa Maria Mater Domini in via Lazzarin  forse il  più conosciuto monastero di Conegliano;  la foto   lo ritrae semidistrutto durante la grande guerra, mai restaurato e oggi scomparso; sullo sfondo Costa e villa Canello..Fondato intorno al XIII secolo  fu poi soppresso da Napoleone nel 1806. A destra il Castello in una foto d'epoca.

  

 

Antica porta sul Refosso ( sotto a sinistra );

a destra la chiesa della Madonna della Salute in via XX settembre. 

 

Sotto a sinistra la rinascimentale  Casa Sbarra, al centro il campaniletto del Monastero delle Teresine in via Manin che ospitò per una settimana Santa Maddalena di Canossa. A destra il Leone del Pordenone a porta  Monticano.

 

  

 

                                                                           villa Gera

  

      

L'entrata della scuola dei Battuti, Leone di S. Marco dietro la Porta al Monticano, il pozzo sul piazzale del castello con lo stemma del Podestà Lorenzo Malipiero.

 

Sotto, la porta "Ser Belle"  o "delle Belle"  e a destra il campanile della chiesetta di Sant'Orsola sulla collina di fronte al castello.. 

Macerie dopo i bombardamenti della grande guerra

 

Il principe Umberto di Savoia in visita alla scuola Enologica di Conegliano

 (foto per gentile concessione di Pino Zardetto)

 

 

IL DUOMO DI CONEGLIANO

 

 

Il Duomo di Conegliano è stato nel passato chiesa Arcipretale, Pieve, Matrice, ex Collegiata. Le origini della comunità parrocchiale si confondono con quelle della città stessa  e risalgono all'epoca dei Franchi, i quali importarono il culto di San Leonardo di Limoges, patrono della città. In onore di questo Santo venne innalzata la prima chiesa sul colle dentro le mura del castello. Il Vescovo L. Da Ponte con Bolla in data 13 dicembre 1756 trasferì la sede parrocchiale in piano nella chiesa di Santa Maria Dei Battuti costruita fra il 1352-1497 che diventerà l’attuale Duomo cittadino. La Collegiata fu istituita da Papa Gregorio XIII con Bolla in data 1 gennaio 1580 e soppressa poi dall’anticlericalismo dittatoriale di Napoleone con decreto del 25 aprile 1810. Dopo i recenti restauri il Duomo attuale forma un complesso monumentale di grande interesse. È ricco di opere d'arte: fra queste meritano particolare attenzione  gli affreschi della Scuola dei Battuti e la pala di Cima da Conegliano.

 

la Sala dei Battuti e la Sala del Capitolo, di proprietà della Parrocchia del Duomo di Conegliano, custodiscono l’una affreschi di notevole valore del secolo XVI realizzati principalmente da Francesco da Milano e Ludovico Toeput ”Pozzoserrato”, una sorta di catechismo artistico degli aspetti principali della fede cristiana;  l’altra arazzi cinquecenteschi   restaurati  a  cura del  Rotary Club Conegliano, ora  concessi in comodato  gratuito  dal  Comune di Venezia, che ne è proprietario. La confraternita dei Battuti   trae   le sue origini  in  quei  movimenti  dei   Disciplinanti, o Flagellanti, fondati nel  1260  a   Perugia dove   tra   devozione  popolare, tensioni  politiche e desiderio di  pacificazione  di   realtà  cittadine, prese campo per  opera di un laico eremita francescano, tale  Raniero Fasani. Le radici della confraternita, che  aveva   scopi devozionali e caritativi, risalgono  al Medioevo; i Battuti si dedicavano infatti a opere di misericordia e abitualmente adiacente ai loro cenacoli veniva realizzato un ospedale. A Treviso nel " borgo Ca' Foncella " fondarono  nel 1261, grazie all'appoggio del Vescovo Alberto da Vicenza un insieme di strutture a beneficio degli ammalati, degli orfani e dei più emarginati.

 

 

Ordinanza napoleonica contro l'incetta del fieno e a destra la lettera di ringraziamento della Giunta di Conegliano in occasione della visita di Garibaldi.

 

Sopra a sinistra il monumentale cimitero ebraico sito ai piedi della collina del castello, a destra i possenti resti delle mura carraresi. Sotto la facciata affrescata del Duomo in via XX settembre.

 

 

 

 

 

             I FRATI CAPPUCCINI A CONEGLIANO

                                              

             

    CHIESA DI SANT'ANTONIO, FRATI MINORI CAPPUCCINI, INFERMERIA PROVINCIALE                                                                           

                                                                                                                                                                   

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    

                                                                                                                                                                                                                                                                                         

I frati Minori francescani, si erano stabiliti a Conegliano quando il fondatore Francesco d'Assisi era ancora in vita. Nel 1225 , cioè un anno prima della morte di  S. Francesco, avevano preso ad abitare stabilmente in un piccolo convento al di fuori delle mura della città. La comunità dei francescani fu visitata dal santo dei miracoli per eccellenza, s. Antonio da Padova che peregrinando da un luogo e l'altro della provincia si era trovato a chiedere ospitalità a Conegliano. Qui avvenne l'incontro con il beato Ongaro il frate che è morto in concetto di santità e i cui resti sono esposti in una'urna di vetro, nel Duomo di Conegliano.

Il primitivo convento dei Cappuccini venne costruito dal 1589 al 1593 per volere dei cittadini e per interessamento di un gruppo di benefattori. Sorgeva nell'area dove oggi si trova l'ospedale civile.

Nei duecentocinquant'anni che vi rimasero, i frati non cessarono di offrire, oltre che assistenza religiosa, anche aiuto e conforto agli infermi, ai poveri, ai diseredati. E non cessarono di esercitare il ministero della predicazione, per il quale, specialmente nel Cinque e Seicento, erano ricercatissimi. Per lunghi anni quel convento fu pure sede di noviziato (nel 1648 vi trascorse il noviziato il Beato padre Marco d'Aviano).

 

Allontanati una prima volta dalla soppressione napoleonica del 1810, i Cappuccini ritornarono nello stesso convento nel 1837. Ricacciati nuovamente nel 1867 (questa volta dallo Stato italiano), non vi fecero ritorno che nel 1929. Dapprima si sistemarono provvisoriamente presso il castello, di fianco alla chiesa di S. Orsola; poi decisero di ri-stabilirsi a pochi passi dall'ospedale civile, cioè dove in passato sorgeva il primitivo convento. Tra l'altro, il 1° gennaio 1939 ai Cappuccini era stata affidata la cura spirituale dell'ospedale civile e della casa di ricovero.

La chiesa fu edificata su progetto dell'ing. Giovanni Morassutti nel 1944. Dedicata a S. Antonio di Padova, fu consacrata il 29 settembre 1947. Dal suo primo arrivo a Conegliano, chiesa e convento cappuccini s'erano arricchiti di numerose opere d'arte che purtroppo vennero disperse in seguito alle soppressioni. Solo alcune vennero restituite e collocate nella nuova struttura. Fra queste merita menzione l'Ultima Cena, datata 1590 e firmata da Pietro Bernardi da Verona.

La costruzione del convento (il vecchio era stato abbattuto dopo la loro cacciata) fu iniziata nel 1945 e compiuta nel 1954. Venne destinato a infermeria provinciale, per raccogliervi i frati ammalati e anziani.                               

   

 

 

 

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CIMA,  GENIO  DEL  COLORE  

ANCORA  DA RISCOPRIRE

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 Manifesto  a Parigi sulla mostra del Cima  nel 2012 al museo del Luxembourg;

l'artista coneglianese è indicato quale  " Maestro del Rinascimento veneziano".                                                    

                                                                                                                                                                                                                    

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 L’ARTE SACRA E GENIALE DI CIMA DI CONEGLIANO

 

Da semplice figlio di artigiano, il cognome “cima” richiama l’antico mestiere del cimatore di tessuti, ad insigne e ricercato pittore del cinquecento, dalla lontana provincia veneta fino alla corte dei Dogi veneziani, all’epoca Venezia era una delle città di riferimento del rinascimento italiano; da una dignitosa ma relativamente  modesta casa del centro storico di Conegliano alla propria bottega d’arte nei pressi di Rialto quando ancora non aveva trent’anni. Gian Battista Cima ebbe una carriera rapida e feconda che lo portò ad una posizione di assoluto prestigio nell’arte veneta-italiana e poi mondiale come pure ad una certa agiatezza. Nacque a Conegliano nel 1460 ed ivi ne morì nel 1517; per brevi periodi frequentò l’Emilia e molto probabilmente si recò anche a Roma. Rimase però molto legato alla sua Conegliano, vuoi per gli affetti e  anche per i paesaggi dolci delle colline; paesaggi e scorci che egli riporterà spesso nei suoi quadri non solo come aspetto complementare alle opere sacre ma come segno di affettuoso legame e di dolce richiamo alla propria terra dove spesso ritornava.

«Senza Cima non ci sarebbe stato un Giorgione», spiega G. Villa ( curatore di una mostra a Conegliano e quella recente di Parigi nel 2012 ) sottolineando come il grande maestro di Conegliano fosse riuscito a legare la capacità di Antonello da Messina, all'epoca tutta nuova, di descrivere i sentimenti, per sposarla con la forza narrativa del classicismo del Bellini. Ma a parte le influenze biunivoche dei pittori dell’epoca, Cima riuscì a distinguersi per alcune tonalità cromatiche di azzurro-celeste e di arancione nell’utilizzo, recente all’epoca, del colore ad olio  e anche di  certe libertà proprie anche nel disegno. Per chi va a vedere il san Martino di Navolé noterà l’austera dolcezza del santo che coinvolge lo stesso cavallo che si ammanta di una grazia inusitata, al punto che gli stessi zoccoli come la testa e le orecchie sono leggermente e volutamente rimpicciolite per esaltarne l’eleganza. L’armatura cerulea del santo riprende l’azzurro del cielo e carica d’azzurro anche le rocce. Non ti stanchi di guardare quest’opera quasi nascosta della provincia di Treviso. Le stesse tonalità si trovano anche nel polittico di S. Fior e leggermente schiarite di tono anche nella pala del Duomo di Conegliano come pure nel S. Sebastiano o nel S. Cristoforo. Se Conegliano e gli Enti locali hanno fatto, tutto sommato solo lo stretto necessario per valorizzare questa figura straordinaria e geniale dell’arte pittorica internazionale; di più - relativamente - hanno fatto altri a livello mondiale, da un francobollo commemorativo negli Stati Uniti ad una recente mostra nell’anno 2012 a Parigi. Tantissimi poi i musei prestigiosi che si vantano di possedere opere del Cima: dal National Gallery di Londra al Louvre di Parigi, dall’ Ermitage di S. Pietroburgo al National gallery di Washington; dagli Uffizi ad Amsterdam ecc. Per non citare poi i tanti musei e Chiese italiane.

Si cerca di etichettare Cima come un poeta del paesaggio, che sicuramente lo è, ma egli è e rimarrà uno straordinario pittore classico di arte sacra dalla quale emerge non solo la geniale maestria di grande cesellatore- se visiti la Galleria nazionale di Parma ne esci con il continuo ricordo dei quadri del Cima - ma anche quel misticismo alla sua terra e la solida Fede cristiana che traspare dai visi ieratici delle sue Madonne e dei suoi santi. Don Angelo Visentin, per anni sacerdote e organista del Duomo di Conegliano, testimone del trasferimento della pala d’altare della "Madonna in trono con santi," dal legno originario all’attuale tela per mezzo di un rullo termico, ripeteva che è tradizione ricordare che il Cima nel dipingere  lo stolone di S. Nicola abbia usato come pennello un solo crine di cavallo per poter dare il massimo della perfezione nel disegnare in esso il patrono della città S. Leonardo. Per cui i santi non sono sei come a prima vista sembra (San G. Battista, Nicola e Caterina d'Alessandria a sinistra: a destra Apollonia, Francesco di Assisi e S. Pietro ) ma sette.

Secondo Bernard Berenson “Dopo Giovanni Bellini ed il Carpaccio, e prima di Giorgione, il pittore prediletto di Venezia rimane Cima da Conegliano; né ciò deve stupire, nessun maestro del tempo sapeva rendere al pari di lui l’atmosfera argentea che leggera e ampia bagna il paesaggio italiano”, sottolineando anche quanto il coneglianese sapesse disegnare “con vigore, con squisita precisione e con senso della linea raramente sorpassato in Venezia.

Giovanni Vasari, nelle Vite del 1550, esaltandone le doti, scriveva del Cima che “Fece anco molte opere in Venezia, quasi nei medesimi tempi, Gio. Batista da Conigliano, discepolo di Gio. Bellino ... se costui non fosse morto giovane, si può credere che avrebbe paragonato il suo maestro”.

 

 

 

 

Parma, Museo Nazionale, Madonna col Bambino

       tra l' Arcangelo Michele  e S. Andrea

 

 

                       

                                                                Particolare del S. Martino di Navolè ( TV )

 

  

           Madonna con il Bambino, Los Angeles, County Museum of Art

 

                                     

                                         Polittico , Chiesa di S. Fior ( TV )

 

 

 Sosta nella fuga d'Egitto, S. Lucia e Battista con Angeli - Lisbona

S. Sebastiano, Strasbourg, Musée des Beaux arts ( particolare )

 

Incredulità di San Tommaso, Galleria  Accademia  Venezia

 

 

 

 

 

 

Pala d'altare del Duomo di Conegliano

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Francesco Beccaruzzi

pittore coneglianese (1492-1563)

Francesco Beccaruzzi, di circa 30 anni più giovane di Giambattista Cima, nasce a Conegliano tra il 1490 e il 1493 figlio di un povero artigiano, si stabilisce a Treviso nel 1519, dove si sposa nel 1540 e muore sempre a Treviso nel luglio 1563. Come la maggior parte dei pittori dell'epoca anche il Beccaruzzi non firma mai le proprie opere, per cui le attribuzioni devono essere fatte con il supporto di fonti derivate da vecchi archivi o a seguito degli indagini stilistiche effettuate dagli studiosi. Anche se anagraficamente potrebbe essere stato allievo del Cima, studi recenti fanno invece risalire la sua formazione a personalità artistiche operanti nel coneglianese intorno al 1500: Giannantonio De Sacchis (conosciuto come il Pordenone), Francesco da Milano; e a Treviso: Tiziano dipinge nel 1520 l'Annunciazione nella Cappella del Duomo.

Si possono citare:

Madonna con Bambino in trono tra San Giovanni Battista e San Francesco - Oratorio di Santa Maria delle Grazie - Conegliano (attribuita nel passato a Ludovico Fiumicelli)

Incontro tra Gioacchino ed Anna - Duomo di Castelfranco

Madonna con Bambino in gloria e sei Santi - Chiesa Arcipretale di Mareno

Madonna con Bambino in gloria tra San Pietro e San Giovanni Battista con San Giorgio e la principessa (1542)

Assunzione (m. 4x 2) Arcipretale di Valdobbiadene (1542-1544)

San Francesco che riceve le stigmate e sei Santi (cm 444x255) Duomo di Conegliano una delle opere più importanti dell'artista.

F.Beccaruzzi - San Francesco riceve le stigmate

San Francesco che riceve le stigmate e sei Santi (1545)

Olio su tela (cm. 444 x 255) commissionato dal Convento di San Francesco di Conegliano per l'altare maggiore della chiesa. Soppresso il convento nel 1806, passa di proprietà del Demanio e nel 1812 alle Gallerie dell'Accademia di Venezia.

Intorno al 1960 viene data in deposito al Duomo di Conegliano.

Il quadro raffigura nella parte superiore San Francesco d'Assisi che sul Monte La Verna riceve le stigmate. Nella parte inferiore, ci sono San Ludovico vescovo di Tolone, San Bonaventura, Santa Caterina d'Alessandria, San Girolamo, San Antonio da Padova e l'apostolo Paolo.


Vergine in trono

tra i SS. Giovanni Battista e Francesco

La pala, restituita dalla Repubblica Veneta ai coneglianesi, trafugata nel 1918 venne ritrovata a Udine e ricollocata sull'altare dell'Oratorio S. Maria delle Grazie

Madonna con Bambino in trono tra Sant'Elena e san Tiziano (1545)

Parrocchiale di S. Elena - Scomigo

 

Resurrezione, affresco nella  cappella della chiesa parrocchiale di Campolongo, Conegliano

Duomo Conegliano, attribuzione

Casa natale del pittore Beccaruzzi ora sede dell'A.N.A.

 lapide in via Beccaruzzi, Conegliano

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Piante ideografiche di Conegliano e dei comuni limitrofi

 

 

Documenti dell'800 della comunità coneglianese 

 

 

In alto cartina del  territorio di Bagnolo, sopra Conegliano nel catasto napoleonico

 

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PROSECCO, IL VINO DEI DOGI

PATRIMONIO DELL'UMANITA'

UNESCO

 

 

Per chi visita i musei di Oderzo ( l’antica Opitergium ) o di Aquileia   non sarà difficile ricordare  le numerose anfore vinarie  che vi sono esposte a testimoniare appunto che già fin dall’epoca romana, bere vino era una tipicità e una consuetudine dello stare in tavola. Volfango Lazio e altri autori, citano un vino denominato Pulcino ( un bianco paglierino ) che Plinio affermò essere apprezzato dall’imperatrice Livia Augusta che lo  faceva arrivare da Aquileia appunto per mezzo delle anfore vinarie. Un paese dell’entroterra friulana porta ancora il nome di Prosecco ed è perciò quasi certo che l’imperatrice amasse bere appunto il Prosecco. Negli Antichi Statuti di Conegliano viene spesso menzionata la coltivazione delle  viti e la loro tutela, esistevano infatti regole sia per la produzione come per la mescita. Nel libro II° degli Statuti di Conegliano, compilati tra il 1282 ed il 1337, un paragrafo è dedicato a “De Vitibus et olivis plantandis” e si prescrive  che “...il livellario enfiteuta o il colono sia tenuto a piantare ogni anno cinque piante d’olivo e cinquanta di viti in ciascun manso di terra... sotto pena di cinque soldi dei  piccoli ...”. Ma è a partire dal secolo scorso, con la fondazione a Conegliano della Società Enologica che poi diventerà la Scuola di Viticoltura ed Enologia e la Stazione Sperimentale per la Viticoltura e l' Enologia che gli studi su questo vitigno conoscono una notevole crescita ed il Prosecco viene valorizzato e diffuso ulteriormente.

 

 Un documento  Ducale del 6 novembre 1431 riporta che il Doge Francesco Foscari definiva ottimo il vino delle colline del Feletto. Si dice infatti che il Prosecco era il vino dei Dogi.

Nel  Magnifico Consiglio di Conegliano del 1543 si affermava: "…di quanta importanza al momento sia il veder li vini di monte di questo territorio, quali per la maggior parte sono allevati et comprati da tedeschi, con utile universale di tutte queste terre…".

In una relazione del Senato veneziano all'epoca del  Doge  Contarini si legge: "….cavandosi dalli monti…quantità di vini dolci e di altre sorti eccellentissimi, dei quali se ne vanno in gran parte in Alemagna e fino nella Corte di Polonia venendo gli stessi tedeschi molto lontani con i propri carri a levarli, pagandoli fino ducati quaranta e cinquanta la botte" .

Ma fin qui tutto può sembrare sostanzialmente normale;  alla fin fine ogni luogo ha un suo proprio  vino che declama e pubblicizza e ogni terra ha un avvenimento legato a qualche personaggio illustre da riportare per meglio valorizzare i propri prodotti. Per il Prosecco, versione spumante o frizzante, è successo però qualcosa di unico e forse  di irripetibile: per il suo sapore  leggero e  delicato, per la sua ricca tradizione e per la qualità e l'innovazione è diventato il vino fra i  più conosciuti   e bevuti in Italia e ormai la sua presenza si spinge  fino ai paesi dell'estremo oriente. 

 Il Prosecco è  la base dei moderni spritz, è sinonimo di festa per il S. Natale o il Capodanno e si accompagna benissimo in tutti i normali momenti di festa e di convivialità. Tant’è che il Consorzio ha il suo da fare nel tutelare la zona di produzione e le imitazioni. Da precisare  che il Prosecco è un vino giovane, che si beve non invecchiato, ha un disciplinare rigido ma semplice e non ha bisogno di quelle eccessive cure che richiede  il metodo  champenoise.

Il 7 luglio 2019 la Commissione Nazionale Unesco ha iscritto le colline del Prosecco Conegliano - Valdobbiadene nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità.

Nella descrizione ufficiale dell'Unesco, si legge che "La zona include una serie di catene collinari, che corrono da est a ovest, e che si susseguono l'una dopo l'altra dalle pianure fino alle Prelpi, equidistanti dalle Dolomiti e dall'Adriatico, il che ha un effetto positivo sul clima e sulla campagna. Se Conegliano ospita molti istituti legati al vino, Valdobbiadene è invece il cuore produttivo dell'area vinicola. I ripidi pendii delle colline rendono difficile meccanizzare il lavoro e di conseguenza la gestione delle vigne è sempre stata nelle mani di piccoli produttori. E grazie a questo grande, pacifico esercito di lavoratori e grazie all'amore per la loro terra che è stato possibile preservare queste bellissime colline e creare un forte legame tra l'uomo e la campagna. Il risultatodi questo forte legame è uno straordinario esempio di come questa antica cultura sia fortemente radicata alla sua terra".

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   NEI DINTORNI.....

SAN PIETRO DI FELETTO

Il nome di Feletto (dal latino filix –icis, felce) sta ad indicare l’aspetto boschivo che anticamente caratterizzava questa zona collinare come pure le zone collinari limitrofe, oggi per lo più coltivate a vigneto del celebre  “bianco prosecco” . Sebbene la presenza della Pieve del Feletto sia documentata dal 1124, essa esisteva già nell’VIII secolo ed è sorta sul luogo di un tempio pagano di epoca imperiale romana, visti i resti fittili e lapidei dell’epoca di Caracalla ritrovati qualche tempo fa in loco. Appartenente al Ducato longobardo, nel X sec. divenne dominio del vescovo di Belluno Giovanni II e nel X secolo  passò sotto il controllo del comune di Conegliano, poi divenne giurisdizione della Serenissima Repubblica Veneta. Più di recente S. Pietro di Feletto è stata residenza estiva dei patriarchi di Venezia: si ricorda in particolare il Cardinale Angelo Giuseppe Roncalli, poi Papa Giovanni XXIII ed ora santo, un busto marmoreo  visibile sulla via omonima vicino alla pieve.

 LA FRAZIONE DI RUA DI FELETTO

I RESTI DELL'EREMO CAMALDOLESE a RUA DI FELETTO

Nella frazione di Rua di Feletto sono visibili i resti dell'Ex Eremo Camaldolese di Colle Capriolo. Risalente al 1670 e frutto di donazione, era costituito di 14 celle dotate di giardino e orto monacale. Soppresso nell'Ottocento da Napoleone, finì per essere lasciato andare parzialmente in rovina.

Oggi, recuperato e restaurato, restano 4 celle, il refettorio e l'albergo dei poveri. ambienti in parte occupati dall'attuale sede comunale di S.Pietro di Feletto e dalla Parrocchia di Rua.

 

  

 

( Tratto da " Conegliano, preistoria e storia"   1991       Orazio Laudani ;

" Insediamenti Preistorici a Susegana e dintorni "

Laudani- Marogna 1988)

 

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      Conegliano ieri  e oggi

 

 

 

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