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Scriptphotography

19 December 2019

Ritrattistica non convenzionale. Come l’autore. E infatti non provate a chiamare fotografo Leo Bugaev o, men che meno, ritrattista: il giovane russo è un artista multimediale a cui sta stretta qualunque definizione. Ma di ritratti qui si parla ma da un punto di vista obliquo che, prima di precipitare nelle braccia di una definizione, necessita di uno sguardo più approfondito. Se nella ritrattistica tradizionale sono molti gli autori che concordano sul punto che il vero soggetto è l’autore stesso e non la persona davanti all’obiettivo, Leo Bugaev spinge più in là i termini del dibattito, nello spazio concettuale dove il ritratto incontra simbolismo funzionale a un disegno formale, nello stile e nei contenuti. Infatti, ribaltando il principio secondo il quale la centralità del ritratto debba essere occupata dal «corpo» o parti di esso (volto, occhi, ecc.), nelle fotografie di Bugaev esso è celato in un piano secondario e la cui struttura fisica è un’impalcatura in cui l’«oggetto» è significante rispetto al soggetto. Più che di ritratti dovremmo parlare di allegorici still life in cui un globo diventa metafora metafisica, mentre in altre i simboli del consumo utilizzati per le immagini, ci offrono una chiave di lettura più netta. E più precisa, in cui la metafora vira verso la critica sociale. Si guardino, a questo proposito, le immagini in cui un televisore ha preso il posto del capo di un uomo o, peggio, la coppia a guardia di un altro apparecchio televisivo vuoto, però, come la fissità della loro postura e degli sguardi. Siamo, sembra dirci Bugaev, quello che siamo e quello che siamo non sempre coincide con quello che crediamo d’essere. Gli oggetti ci rappresentano, parlano di noi e per noi, ci governano senza opporre alcuna resistenza. Essi sono noi. E senza siamo nessuno. Impresentabili. E infatti la «summa» espressiva risiede nel ritratto di spalle della donna: senza oggetti, posati su un piano, lei è priva di qualunque soggettività, nuda, inutile. Gli oggetti, come si è visto, predominano ed è emblematica la fotografia nella quale la figura umana non c’è più, è assente mentre gli oggetti permangono, quali soggetti di un’espressività «trans umana» La loro staticità focale prevale sul movimento delle figure che in alcune immagini sembrano come impazzite, prede di un movimento frenetico, vittime di un «mosso» indomabile: punti fermi mentre attorno tutto è mutevole e predisposto alle vertigini cinetiche, incontrollabili quanto irrazionali. E a noi, mentre osserviamo la fotografie di Leo Bugaev, assale la consapevolezza di affogare in un tempo nel quale il tempo è già passato. Inafferrabilmente.

Giuseppe Cicozzetti , critico d'arte



Me colgaste el teléfono

viernes, 8 de mayo de 2020

Fotografía: León Bugaev

Me colgaste el teléfono... Se suicidó esta conversación imposible a fuerza de negarnos a hacerla posible. Con ella se suicidaron los sueños y alguna ilusión. El deseo, con ganas de vivir todavía, quedó adherido al auricular suspendido…, pero fue desvayéndose, goteando… y evaporándose contra el suelo. Me colgaste el teléfono. Y esta historia nos dejó, sin firmar una carta al juez, sin derramar una lágrima, sin hacer siquiera un reproche. Sacudió el inestable taburete que la sostenía y se ahogó. Ahora, muerta, oscila como un péndulo prendida al hilo telefónico.

Alís

Coach ontológico y Periodista