La Musica "Pop" 

Pagina a cura del prof. Edoardo Ballerini

Pop Music è «l’abbreviazione di popular music, normalmente usata nei paesi anglosassoni per indicare un’ibrida ed estremamente varia produzione che non è né diretta espressione di un gruppo etnico né appartenente alla musica di tradizione colta; in tal senso è da considerarsi il corrispettivo anglosassone del nostro termine musica leggera»[1].

Partendo da questa definizione tratta dal Dizionario della Musica e dei Musicisti della UTET, nel tentativo di approfondire l’argomento per arrivare ad una maggiore chiarezza, abbiamo cercato “Musica Leggera” sullo stesso testo, soffermandomi sulle distinzioni evidenziate. 

La Musica Leggera, anche di buona qualità, si differenzia dalla musica colta «poiché il suo obiettivo non è quello di allargare l’orizzonte culturale di chi l’ascolta, bensì quello di produrre e di vendere facendo divertire o commuovere, sognare o danzare la più larga fascia di utenti di età e classi sociali diverse. E si differenzia anche dalla musica popolare, benché in qualche caso venga utilizzata in maniera analoga per ragioni di mercato: infatti, mentre la musica popolare nasce dall’interpretazione diretta dei bisogni e delle passioni di chi poi la canta o l’ascolta, la Musica Leggera è prodotta e diffusa da specialisti sulla base di una domanda implicita e spesso indotta»[2]. Sui manuali di Storia della Musica ritroviamo la medesima suddivisione in tre branche, ma i termini usati sono diversi: musica colta, d’intrattenimento e popolare.  Tracciare dei confini netti fra i tre generi è impossibile, perché quello della musica è un universo in continua formazione e trasformazione. Inoltre, «la musica d’intrattenimento incorpora elementi precedentemente categorizzati negli altri due insiemi, segnandone la commercializzazione, e poi l’industrializzazione»[3].  Se usiamo la precedente classificazione, la popular music può essere anche assimilata alla musica d’intrattenimento, perché le altre due categorie risultano meglio definite: la musica colta (classica o d’avanguardia) è menzionata da tutti gli autori, mentre la musica popolare corrisponde al folk, espressione di realtà etniche circoscritte, che resta marginale agli interessi della commercializzazione.

«Il pop, radice di “popular”, nasce dalla perfetta fusione di rock’n’ roll, rhythm’n blues, blues e folk e mai nessuna forma d’arte si era diffusa tanto repentinamente, coinvolgendo simultaneamente milioni di giovani e giovanissimi»[4]

Chiara quindi la distanza tra musica pop, che accomuna tutti i generi più commerciali, e musica  popolare, o folk-etnica, che non attrae l’industria imprenditoriale. I gruppi e gli esecutori del pop avevano ormai dimenticato le peculiarità originarie del rock, per uniformarsi alle esigenze dal mercato del disco e dell’intrattenimento e garantirsi fama e benessere.  Tutti i generi in auge finirono così per sottostare agli interessi del mercato tanto che musica rock e pop si avvicinarono, accomunate[5] dal fatto di essere entrambe adottate dai giovani come espressione della loro cultura, che li condurrà alle rivolte studentesche di metà Anni  Sessanta. 

«Con queste premesse risulta impossibile dare una definizione esaustiva di P. M. (pop music) in quanto essa sfugge ad ogni rigorosa analisi e classificazione, variando di volta in volta i generi e le culture musicali da cui deriva, i gruppi sociali verso cui è indirizzata, gli scopi e la volontà dei suoi musicisti, ed infine il rapporto che si instaura tra essi e l’ordine stabilito»[6].  La massificazione dei consumi fa sì che anche Otis Redding e Aretha Franklin, esponenti della soul music, vengano spesso situati all’interno della pop music, anche se siano da considerarsi più vicini al rhythm and blues (e quindi al campo della musica folk). La pop music è così diventata un “contenitore” di generi diversi, caratteristica che sopravvive anche ai giorni nostri.


Nel dicembre 2003 la rivista «Rolling Stone»[7] pubblicò “RS500”, numero speciale dedicato ai più grandi  album 33 giri/minuto di tutti i tempi. Tale classifica fu elaborata tenendo conto delle scelte da parte di un prestigioso comitato di 273 esperti, di varie età, tutti professionalmente legati all’ambiente musicale. La classifica in questione non teneva conto dei dati legati alle vendite dei dischi (com’è in uso nelle classifiche di «Billboard»[8]), ma soltanto del giudizio soggettivo dei votanti che sceglievano e classificavano i 50 album da loro preferiti, tra le produzioni musicali di ogni tempo. Ben sette, sui primi dieci album classificati, appartengono alla seconda metà degli Anni Sessanta, cioè alla parte conclusiva del periodo esaminato. In quegli anni la congettura economica positiva fece aumentare il benessere delle famiglie, concedendo anche ai giovani una certa disponibilità economica. Molti di loro si ritrovavano per suonare insieme imitando i loro idoli, o per discutere dei brani sentiti alla radio e delle nuove uscite. La musica pop parlava il loro linguaggio e rispecchiava i loro problemi e la loro voglia di ribellarsi.  «La consumazione del prodotto culturale, riconosciuta come semplice consumazione e finalizzata all’ulteriore consumazione, viene contrapposta alla riscoperta di un linguaggio specifico che unisca comunicazione e storia, forme e tradizioni, aspirazioni e bisogni»»[9].

L’industria del disco prese atto del fenomeno e investì risorse sugli artisti che potevano contare su migliaia di fan. Il boom però non si ridusse solo a una manovra commerciale priva di valori e la ricerca di «Rolling Stone» ne è la riprova. La musica che esce vincente dalla classifica non è né la musica popolare di tradizione folk, né la musica leggera di esclusivo passatempo. È bensì la popular music legata alle esigenze di quei tempi, di cui diventa espressione culturale e artistica. 

A distanza di un decennio, nel 2012, la classifica menzionata è stata aggiornata, ma i cambiamenti sono stati minimi: gli album premiati in precedenza, mantenendo le loro posizioni, hanno confermato di possedere valori legittimi e duraturi. Il termine popular music è sufficiente a chiarire le sue origini, evidentemente americane e inglesi; per l’Italia è stato dunque un fenomeno d’importazione, ma che ha svolto comunque un ruolo importante nella nostra società. Non troviamo album di artisti italiani nei 500 posti disponibili della classifica di «Rolling Stone», perché, come detto, quello esaminato è un mondo anglofono (conferma la regola una sola eccezione: al 250° posto c’è Trans Europe Express, brano del 1977 dei tedeschi Kraftwerk).


Questa la classifica degli album con i primi 10 posti stilata dalla rivista specializzata Rolling Stone

1. Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band (The Beatles) - 1967

2. Pet Sounds (The Beach Boys) - 1966

3. Revolver (The Beatles) - 1966

4. Highway 61 Revisited (Bob Dylan) - 1965

5. Rubber Soul (The Beatles) - 1965

6. What's Going On (Marvin Gaye) - 1971

7. Exile on Main St. (The Rolling Stones) - 1972

8. London Calling (The Clash) - 1979

9. Blonde on Blonde (Bob Dylan) - 1966

10. The Beatles (The White Album) (The Beatles) - 1968


La decadenza della "Pop Music"

«La P. M. nel corso degli Anni Settanta va via via perdendo lo slancio iniziale, opponendo sempre meno resistenza alla propria volgarizzazione commerciale, che arriva a coinvolgere anche personaggi di un certo interesse. Si assiste così al rapido quanto insignificante alternarsi di mode e di etichette (hard-rock, acid-rock, progressive-rock, jazz-rock, punk-rock…) imposte dall’industria per coprire una generale stanchezza di idee e per poter presentare un prodotto come nuovo ed unico»[10] . Il pubblico giovanile, inizialmente raccolto intorno alle innovazioni del rock, si frammentò e si disperse dietro a generi diversi, ormai tutti allineati nel mercato del disco. «Il pop non mira ad altro, negli anni della grande crisi del ’72-’74, che alla conservazione e riproduzione di sé, ponendosi come unico scopo quello della massima espansione del profitto»[11]. Il carattere di contaminazione, proprio di gran parte della popular music, non influisce solo sulla forma, ma condiziona i contenuti stessi del linguaggio: unendo frammenti tratti da repertori diversi, si ottengono un effetto evocativo e uno spessore drammatico che vanno al di là della ragione.  Nei brani dei primi gruppi inglesi, dove la musica offriva elementi di novità e rottura con il materiale canzonettistico in voga, i testi venivano spesso considerati secondari e restavano per gran parte in linea con la tradizione. Talvolta la voce del cantante risultava così alterata da essere appena comprensibile, fino a diventare una componente sonora come le altre, ignorando il valore significante del testo.

«Una lezione di segno nettamente contrario viene dagli Stati Uniti, dove è ancora vivo l’insegnamento dei grandi folksingers della tradizione. Bob Dylan ne diventa il continuatore con una produzione iniziale quasi totalmente basata sulle forme country, in cui il testo si fa sensibile alle problematiche sociali e testimone di turbamenti interiori»[12]. Nelle sue canzoni «Dylan ha riflesso una consistente presa di coscienza sociale ed è sempre stato impegnato nella protesta contro l’ingiustizia razziale, intellettuale e umana. Esso ha stimolato una vasta tendenza di canzoni del genere nel mercato dei giorni nostri»[13].  È proprio dopo l’incontro del 1964 con Dylan che i Beatles, e gli altri gruppi al loro seguito, dedicarono maggiore attenzione ai testi, valore aggiunto che contribuiva ad accrescere l’interesse dei sostenitori. Si deve riconoscere che la popular music abbia avvicinato tanti giovani all’ascolto e alla pratica musicale. Il successo dei vari solisti e gruppi ha creato nuovi modelli di riferimento, capaci di entusiasmare le masse e di esprimere le tendenze del momento. 

 Note:

[1] A. Pasquali, Pop Music, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, diretto da Alberto Basso, Volume terzo: Il lessico Liz – Pra, Torino, UTET, 1984, p. 692.

[2] R. Dalmonte, Musica Leggera, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, diretto da Alberto Basso, Volume secondo: Il lessico D – Liv, Torino, UTET, 1984, p. 672.

[3] F. Fabbri, La Popular music, in Storia della Musica, diretta da Alberto Basso, Volume quarto, Torino, UTET, 2005, p. 309.

[4] R. Cacciotto, C. Garbari, Note di pop americano, Milano, Gamma Libri, 1978, pp. 7-8.

[5] I due dizionari musicali consultati, a cura di Enzo Gentile/Alberto Tonti e Giuseppe Rausa, trattano degli stessi artisti, riferendosi indistintamente al pop-rock ed al rock: Questi termini sono perciò accostati dagli addetti ai lavori quando intendono riferirsi ad un genere di musica progressiva (il pop di più facile consumo rispetto al rock).

[6] A. Pasquali, Pop Music, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, cit. p. 692.

[7] «Rolling Stone», rivista specializzata di musica, costume e politica statunitensi, fondata nel 1967 a San Francisco da Jann Simon Wenner e Ralph J. Gleason. Nel 1976 la sede fu spostata a New York. Il nome ha origine dal brano cult di Bob Dylan del 1965, Like a Rolling Stone.

[8] «Billboard» rivista settimanale americana con sede a Cincinnati nell’Ohio. Si specializzò nella pubblicazione con scansione settimanale di classifiche musicali, la più famosa delle quali è Billboard Hot 100, inaugurata nel 1958.

[9] Autori vari, Libro bianco sul pop in Italia – Cronaca di una colonizzazione musicale in un paese mediterraneo, Roma, Arcana Editrice, 1976, p. 148

 [10] A. Pasquali, Pop Music, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, cit., p. 694.

[11] Autori vari, Libro bianco sul pop in Italia – Cronaca di una colonizzazione musicale in un paese mediterraneo, cit,  p. 148

[12] A. Pasquali, Pop Music, in Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, cit, p. 695.

[13] C. Belz, La storia del rock, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1975, p. 117.