Caro Vincenzo

An open letter from 2014 for Notte del Lavoro Narrato. Originally published here.

Bruxelles, 30 aprile 2014

Caro Vincenzo,

Ti scrivo per dirti che, questa sera, non organizzerò una sessione della notte del lavoro narrato a Bruxelles. L’avrei voluto tanto. Di ragazze e ragazzi italiani bravi ne conosco tanti, qui a Bruxelles. Sono i numerosi e differenti talenti che l’Italia ha, più o meno consapevolmente, mollato. Bruxelles è un transito, è uno degli hub del talento italiano mollato.

Insomma: allora perché non organizzo una notte del lavoro narrato, visto che di narratori ne avrei? Perchè… Ecco perché.

Da due mesi non sto di fatto lavorando (almeno non nel senso di fare il lavoro che mi piace fare) e mi sono messo alla ricerca di un nuovo lavoro: cerco un lavoro che mi piaccia, ma anche uno che mi piaccia un poco di meno: le spese sono tante, i soldi non crescono sugli alberi, pare.

Trovare un nuovo lavoro, pensavo fosse facile? No, certo… ma difficile fino a questo punto, neanche! Forse sono stato (sono ancora?) un illuso, che crede alle favole… ma proprio non me l’aspettavo di trovare tanta freddezza, tanta distanza tra il mio entusiasmo e le opportunità attuali a Bruxelles. Sto ora guardando anche all’estero, di andare da altrove ad altrove: non ti nascondo, il cuore trema sempre un po’, come fosse un salto.

E allora ho capito che io non posso raccontare la mia storia, nella notte del lavoro narrato, che pure volevo organizzare. E come potrei mettermi da parte, astenermi dal racconto, ospitando io la serata? Mi spiace: non so raccontare una storia che non ha ancora un nuovo capitolo… nella scrittura di questo nuovo capitolo ci sono finito dentro, con tutte le scarpe! E che storia racconterà questo capitolo… non lo so ancora!

Sono pieno di dubbi. Dove mi spingerà il mio prossimo lavoro? Dovrò imparare ancora un’altra lingua, aprire un’altra posizione contributiva, attivare un altro numero di cellulare, trovare una nuova casa? E quanto tempo durerà stavolta? Sarà abbastanza per stare tranquillo un po’, concentrarmi senza dover passare il tempo anche a continuare la ricerca di un lavoro? Inviare CV, scrivere lettere motivazionali, compilare formulari, aspettare e poi fissare colloqui e poi prepararli e poi sostenerli e poi ricordarsi di sollecitare un follow-up… Se lavorare stanca, lavorare con cercare lavoro…

Ho una sola certezza (a parte le tasse e le bollette da pagare): l’Italia l’avverto sempre più distante. Un Paese dove non riesco a immaginare un buon futuro professionale per me. Mi pare che io non sia il solo a pensare questo. Non c’entra niente l’orgoglio Patrio, il libro Cuore e la pizza. Sono un fiero italiano, ma il sistema-Italia (l’Italia come Paese dove esprimere professionalità), non mi interessa: mi ha deluso.

Perché deluso? Perché in questi anni (anni di crisi, di disorientamento) ho assistito in Italia alla mortificazione quasi sistematica del talento e dell’entusiasmo. L’ho visto nei contratti “da fame”, nell’offerta senza vergogna di “stage non remunerati”, nei mille ostacoli che i giovani liberi professionisti affrontano, nella inettitudine della pubblica amministrazione blindata e troppe volte ottusa, nella faccia tosta di chi sfrutta il talento di tanti giovani professionisti “a buon prezzo”, in una pubblica istruzione che ormai non finge neanche più d’insegnare qualcosa ai suoi studenti …e potrei continuare…

Nell’Italia di questi anni, anzichè mettere al centro dell’attenzione il lavoro, e seguire una strategia per liberare le energie professionali (tante!) di cui eravamo ricchissimi, si è pensato alle tante pagliuzze negli occhi. E tante pagliuzze non fanno un trave! Insomma: credo che una classe dirigente non è stata all’altezza dei tempi, non ha capito che bisognava agire liberando energie, aprendo il Paese a tutti coloro che avevano entusiasmo e voglia di lavorare. Ha badato ad altro e ha fatto fiasco (guardandosi però bene di farsi da parte….). Un plateale fiasco.

Così molte opportunità l’Italia le ha perdute e molti talenti se li è lasciati scappare. Centinaia di storie di lavoro, in questo momento, non passano più dall’Italia.

Si può risolvere questa situazione? No, secondo me no: almeno non a breve. Abbiamo un grosso problema. Manca in Italia l’amore: l’amore per il lavoro. Non esagero.

La faccio breve.

Una persona si esprime in molti modi: fare il proprio lavoro è uno dei migliori modi per esprimere sè stessi. Tu ripeti – giustamente – che “il lavoro va fatto bene perché così si fa”. Lo penso anche io: chi lavora bene, lo fa anche perché, attraverso un lavoro ben fatto, esprime bene sè stesso: è un modo per rispettarsi, per volersi bene.

Ora: chi ama qualcuno, ama anche il lavoro che questa persona svolge, l’opera che compie. Chi ama qualcuno, rispetta il suo lavoro. E se rispetti il lavoro di qualcuno, come si diceva una volta, lo onori (la parola onorario, dice qualcosa?), cioè gli riconosci grande importanza. Il lavoro, espressione dell’identità di ciascuno, si rispetta come si rispetta la persona stessa. Il lavoro si remunera nella maniera giusta, lo si protegge, lo si sostiene, lo si promuove: ma è alla persona che si esprime attraverso quel lavoro che si pensa! In Italia, mi fa male dirlo, questo non accade quasi mai.

L’Italia di oggi non ama più il lavoro: il lavoro in Italia è troppo spesso tradito! E tradendo il lavoro, in Italia tradiamo il fondamento del nostro vivere civile (“la Repubblica Italiana è fondata sul lavoro” è un modo per dire, per come la vedo io, che l’Italia si fonda sulle persone e sul contributo – piccolo o grande – che ciascuno offre agli altri, esprimendo sè stesso). Insomma… insomma…

Insomma, caro Vincenzo, mi fermo qui. Metto da parte l’amarezza!

Volevo solo dirti come la penso e perché questa notte io non narrerò la mia storia di lavoro: non so ancora se e quando ne uscirò, dopo questo pugno in faccia che si chiama “non lavoro da qualche tempo”. Mi impegno anima e corpo perché finisca presto. Alle volte le si prende, alle volte le si dà… e io con l’occhio nero e la faccia tosta, vado avanti col mio curriculum sotto il braccio, trascinato da un entusiasmo quasi invincibile. Ostinatamente, amaramente, ancora lontano dall’Italia.

Tu, intanto, insieme ai tanti che hanno avuto il coraggio di seguirti, riaccendi in Italia l’amore per il lavoro ben fatto. Ripeti ti prego alle persone che lavorare bene è come volersi bene, voler bene cioè – al contempo – a sé stessi e agli altri. Vorrei (e sono sicuro, sarà così) che i racconti di questa notte siano racconti d’amore, narrati da persone che amano. E che amano vivere. E che amano vivere insieme.

Mi auguro che l’Italia ritorni presto ad essere un posto dove chi lavora non deve vedere questo amore maltrattato, deriso, mortificato! Che l’Italia ritorni ad essere un Paese dove si lavora e si è contenti di lavorare e si è orgogliosi di raccontare il lavoro.

Lo auguro a tutti noi, di cuore!

Un abbraccio forte e sincero.

In bocca al lupo e a presto,

Luigi