Riportata alla luce la tomba del Buddha

di Alfonso Coppola

La scoperta, con tutta la prudenza del caso, è comunque di enorme valore storico, perché aggiunge un ulteriore, importantissimo tassello al grande mosaico che da secoli gli storici cercano di comporre per far luce sulla cultura che ha plasmato e segnato quella che, con i suoi quattrocento milioni di aderenti, costituisce, dopo il Cristianesimo e l’Islam, la terza grande religione universale: il Buddhismo. Alcuni resti umani, cremati, ritrovati in una grande cassa di ceramica nella zona di Jingchuan, in Cina, sembrano proprio essere quelli appartenuti a quel giovane “risvegliatosi” dal dramma della vita più di duemilacinquecento anni fa e successivamente chiamato, appunto, Buddha, «il risvegliato». L’iscrizione riportata alla luce, trovata accanto alla cassa, recita: “I monaci Yunjiang e Zhiming della scuola Lotus, che appartenevano al tempio Mañjusri del monastero di Longxing nella prefettura di Jingzhou, hanno raccolto più di duemila pezzi di sharira, così come denti e ossa del Buddha, e li hanno seppelliti nella sala Mañjusri di questo tempio”. In effetti si racconta che, circa mille anni fa, Yunjiang e Zhiming avrebbero impiegato gran parte della loro vita nel rimettere insieme i resti del Buddha, seppellendoli, infine, nel 1013, nel luogo dove ora sono stati riportati alla luce. Il termine “sharira” indica qualsiasi reliquia legata a Gautama Buddha, l’Illuminato nato a metà del primo millennio a.C. (la sua illuminazione risale probabilmente al compimento dei trentacinque anni, verso il 528 a.C.) nel Jambudvipa, continente meridionale situato alle pendici dell’Himalaya e corrispondente all’odierno Nepal meridionale. La relazione degli archeologi, riportata nella rivista Chinese Cultural Relics, precisa che, nei pressi della tomba del famoso asceta, sono state ritrovate anche duecentosessanta statue, alte circa due metri, raffiguranti il Buddha, altri devoti illuminati, alcune divinità e oggetti utilizzati per la liturgia buddhista, il che fa pensare che il tutto facesse parte di un più esteso complesso luogo di culto.

Per quanto sensazionale, questo non è stato il primo ritrovamento legato alle ceneri dell’Illuminato. Una precedente scoperta archeologica in Cina aveva portato alla luce un osso del cranio, apparentemente risalente al Buddha, trovato all’interno di uno scrigno d’oro a Nanjing. La testimonianza di una millenaria disputa per impossessarsi dei resti dell’asceta, una disputa che portò alla dispersione tra i contendenti dell’immenso patrimonio della sharira.

Alla morte del Buddha, avvenuta all’incirca nel 483 a.C., seguì un funerale, effettuato a Makuṭabandhana presso Kuśinagara, al termine del quale il corpo dell’Illuminato, avvolto in diversi sudari, fu cremato. Le fiamme furono estinte con irrorazione di puro latte di vacca versato da recipienti “prodigiosamente apparsi”. Alla fine, dice la leggenda, restarono solo frammenti d’ossa, senza traccia di ceneri o di carne bruciacchiata. Il brāhmano Dhūpagotra, incaricato di spartire le reliquie, trattenne per sé i frammenti più piccoli, e divise il resto in otto urne da distribuire a re e popoli interessati. Il reliquario assegnato ai Licchavi è stato rinvenuto presso Vaiśālī nel 1958, con il suo contenuto intatto, ed è conservato a Patna. Un dente della mascella superiore del Maestro, forse un canino sinistro, è stato conservato per secoli a Dantapura (la «Città del Dente») nel Kaliṅga e trasferito avventurosamente a Ceylon nel 371 d.C. dove, successivamente, in suo onore verranno costruiti dei Templi. Anche Marco Polo, nel 1288, aveva avuto la possibilità di ammirare due canini inviati da Ceylon su richiesta del potente Kublai Khan. Addirittura, verso lo stesso periodo una missione diplomatica di un re del Syām, venuta a chiedere il Dente, avrebbe incontrato un diniego sfociato in un vero e proprio conflitto armato. A partire dal 1590 il Dente di Ceylon fu allocato a Kandy, dove risiederà nel Daladā Maligāwa, il «Tempio del Dente», eretto tra il 1687 e il 1782, per poi essere prelevato dai portoghesi. Essendo divenuto una sorta di palladio del regno di Kandy, il cui possesso era essenziale a legittimarne il monarca, il Dente fu poi preso in consegna dagli inglesi, che lo resero al culto solo nel 1847.

(Articolo pubblicato sul periodico Zonagrigia.it il 09/01/2018)