La coscienza negata

di Alfonso Coppola

L’anima è stata naturalmente ammessa, nella medicina occidentale, fino al XIX secolo. Poi, verso la fine di quel secolo, tale concetto, identificato sempre di più con quello della coscienza, è stato scartato dal mondo della scienza e della filosofia perché ritenuto incompatibile con quegli aspetti analizzabili attraverso i metodi standard della scienza cognitiva, spiegabili dai meccanismi neurali e dall’architettura del cervello.

L’attuale tema del rapporto mente-cervello, quello che viene definito la “scienza della coscienza”, è dunque una disciplina nuova e ancora non definitivamente fondata. Il che è questione decisamente significativa, dato che le scienze moderne emergono dalla rivoluzione scientifica del XVII secolo come risultato diretto del concetto di realtà fisica oggettiva, elemento fondante di quella stessa rivoluzione.

Galilei e Cartesio avevano tracciato una netta linea di demarcazione concettuale nel sostenere che la fisica, e solo essa, dovesse fornire una descrizione quantitativa, matematicamente esatta, di una realtà esterna, ben definita nel tempo e nello spazio. Le apparenze soggettive e la mente umana venivano perciò sottratte idealmente dal mondo fisico allo scopo di permettere che questa concezione spazio-temporale della realtà fisica oggettiva si sviluppasse.

Il radicamento della convinzione che l’unica realtà sia quella esterna, fisica, materiale e quantitativa, contribuì a seppellire nell’oblio la coscienza e l’anima; questa tendenza fu favorita sia dalla psicologia moderna, nata alla fine del XIX secolo con il metodo sperimentale di Wundt, sia dal clima positivista dell’epoca, caratterizzato dalla forte tendenza materialista e di conseguenza da un totale disinteresse per la soggettività. Pertanto non sorprende che William James poté affermare, nel 1993, «le anime non sono più di moda».

In pratica, la psicologia moderna aveva cominciato principalmente a preoccuparsi di acquisire gli stessi metodi adoperati nelle scienze sperimentali, aprendosi in questo modo la strada per un’adeguata collocazione nel mondo delle scienze galileiane, anche allo scopo di sottrarsi dall’opinione di essere considerata alla stregua di “figlia di un dio minore”. In seguito, il clima sempre più dilagante dell’ideologia positivista ha finito col negare ogni fondamento all’anima ed escludendo che la coscienza e la soggettività fossero un problema di interesse per la psicologia moderna.

Tuttavia, l'orientamento ad escludere tutto ciò che appartiene al mentale dall’ambito della scienza fisica moderna era destinato a essere messo alla prova. Gli sviluppi in neurofisiologia e in biologia molecolare (che tanto avevano incoraggiato la speranza di includere la mente in un’unica concezione fisica del mondo), la filosofia analitica del XX secolo, il materialismo (per il quale solo il mondo fisico sarebbe irriducibilmente reale e nel quale bisognerebbe trovare assolutamente un posto anche per la mente), non hanno prodotto i risultati sperati e ci hanno ancora lasciato all’oscuro riguardo alla coscienza.

Da più parti si osserva che l’emergenza del mentale, a certi livelli di complessità biologica, non è così scontata. La coscienza sarebbe qualcosa di completamente nuovo. Per tale motivo le neuroscienze sono alla ricerca di risposte che tengano conto della relazione tra mente e cervello nei termini di qualcosa di più fondamentale riguardo all’ordine naturale. Tom Sorell esprime questo concetto in maniera molto chiara: «Anche se i meccanismi che producono la vita biologica, inclusa la coscienza, sono, a qualche livello, gli stessi meccanismi che operano nell’evoluzione dell’universo fisico, da ciò non segue che quei meccanismi siano fisici solo perché l’evoluzione fisica precede l’evoluzione biologica. Forse è necessario qualche concetto transfisico e transmentale per catturare entrambi i meccanismi». E lo studioso della coscienza David Chalmers afferma metaforicamente: «non è affatto chiaro come quella sorta di “budino untuoso e grigiastro” possa trasdurre reazioni chimiche e attività elettrica nell’esperienza e nel pensiero con i loro significati, la cui portata si estende ben oltre le necessità imposte dalla lotta per la sopravvivenza».

Una sfida difficile, e nello stesso tempo affascinante, quella affrontata dalle neuroscienze. Come ha scritto Emerson nel suo saggio Il poeta, «Qui noi ci troviamo improvvisamente non sui piccoli passi di una speculazione critica, ma in un luogo sacro, e andremo molto prudenti e riverenti. Noi stiamo davanti al segreto del mondo, là dove l’Essere passa nell’Apparenza e l’Unità nella Varietà».

(Articolo pubblicato sul periodico Zonagrigia.it il 26/11/2018)