Il letto di Procruste

di Alfonso Coppola

L’uomo non vive solo di argomentazioni, ma anche di racconti. Non vive solo di concetti, ma anche di immagini, spesso antichissime. Ed avverte, in molti casi, il bisogno di spiegare la realtà, l’esigenza di rappresentare la realtà, attraverso immagini valide e racconti ripetibili in grado di cogliere quei nodi senza tempo dell’animo umano.

E, senza tempo, è il racconto di un locandiere che gestiva una taverna fra le colline di Attica, e che offriva alloggio ai viandanti che si erano incamminati sul sentiero che da Megara dirigeva verso Atene. Si chiamava Damaste, (o anche Polipèmone), ma tutti lo conoscevano col soprannome di Procruste.

Dietro la sua lunga barba, col suo sorriso amichevole, cordiale e rassicurante, offriva un tetto amichevole e prometteva ai clienti ristoro, riposo e comodità.

Procruste aveva un letto particolare, sul quale invitava i viaggiatori a coricarsi. Durante la notte, però, quando i malcapitati dormivano profondamente, entrava silenziosamente nella loro stanza, li stordiva, li imbavagliava e li legava.

A questo punto iniziava un macabro rituale, in quanto, nella sua follia, Procruste esigeva che i viandanti dovessero necessariamente adattarsi alle proporzioni del suo letto. Per cui, se la vittima risultava essere più alta, procedeva amputando le parti del corpo che sporgevano dal letto. Se, invece, la persona era più bassa, provvedeva a stirarla, fino a romperle le ossa, in modo tale da quadrare le misure.

Questa efferata consuetudine perdurò per tanti anni, finché Teseo, l’eroe che tutti conosciamo per aver affrontato il Minotauro nell’isola di Creta, ma anche per il fatto di aver abbandonato la povera Arianna sull’isola di Nasso (da cui la famosa frase “piantata in Nasso” e non, come comunemente si crede, “piantata in asso”), scoprì l’orribile realtà su quanto accadeva, di notte, nella tragica locanda. A questo punto intervenne, catturò Procruste, e lo sottopose a sua volta allo stesso supplizio.

Naturalmente, può capitare che ora ci sia qualcuno che non riesca a cogliere il nesso tra questa storia e la realtà nella quale siamo calati ogni giorno. E potrebbe non accorgersi che, a tutti gli effetti, Procruste siamo tutti noi. Siamo noi, quando pretendiamo di omologare le divergenze del pensiero altrui, stabilendo che il parametro da utilizzare nello stabilire quello giusto sia, ovviamente, il nostro.

Siamo noi, quando tendiamo ad umiliare, punire, denigrare, isolare, tutti coloro che non rientrano nei nostri parametri, nel nostro letto.

Ma Procruste è anche ognuno di noi quando costringe sé stesso a entrare in quel letto, nel tentativo di voler a tutti i costi assomigliare all’immagine che la nostra comunità, la nostra famiglia, o i mass media ci propinano.

Nel letto di Procruste ci intrufoliamo anche quando, ad esempio, entriamo, più o meno consapevolmente, in un qualsiasi sistema settario, religioso, politico, scientifico o commerciale che sia. Movimenti che si separano da una comunità più vasta, e che cominciano a rivendicare un possesso esclusivo della verità, una verità che, secondo la loro visione, la più vasta comunità ha perso, abbandonato o distorto, per cui essi ne divengono l’unica vera, autentica e legittima espressione.

Sistemi che hanno prodotto, e che continuano a produrre, regimi di menzogna, lesivi della dignità umana, come la storia antica e recente ci insegna.

La loro inflessibile intransigenza deriva dal ritenere che solo grazie ed esclusivamente dai loro ragionamenti si possa produrre un sapere certo e indubitabile a cui tutti sono tenuti a conformarsi e, laddove questo non avviene, tali sistemi non hanno esitato, e non esitano, a perseguitare e sopprimere i dissidenti, bollandoli ora come eretici o infedeli, ora come nemici del popolo, ora in altri modi.

Oggi, in letteratura, ritroviamo la locuzione “Letto di Procruste” (o più comunemente la forma dissimilata “Letto di Procuste”), o “Letto di Damaste”, quando si vuole indicare il fatto d’essere obbligati a tenersi entro limiti troppo stretti, o più genericamente quando si vuole riassumere una situazione intollerabile, specialmente se dovuta a una limitazione tirannica. Ma, soprattutto, l’utilizzo di tale locuzione, indica il tentativo di voler ridurre le persone a un solo modello, un solo modo di pensare o di agire.

Scriveva Blaise Pascal, «L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante…Sforziamoci dunque di pensare bene». Nell’esercitare la nostra mente al metodo riflessivo, abbiamo la possibilità di sperimentare l’impossibilità di comprendere il reale nel senso radicale del termine, l’impossibilità di afferrare, di immobilizzare la realtà della vita, come nel letto di Procruste.

La vita a questo punto ci apparirà simile all’acqua: mobile, fluida, inafferrabile. Come ci insegna il Tao Te Ching già da oltre duemila anni: «Il bene più alto è simile all’acqua».

In questo modo, coloro che amano la verità della vita più delle dottrine, dei dogmi e degli assiomi, nella loro rassicurante staticità, e che non temono di ritrovarsi soli, ma hanno il coraggio di essere liberi, capiscono che non devono in nessun modo limitarsi a un unico punto di vista, ma praticare un pensiero mobile, tale da circondare la realtà da tutti i lati, staccandosi con forza dal letto di Procruste, ed assumerla così com’è, sempre e comunque inafferrabile nella sua essenza.

(Articolo pubblicato sul periodico Zonagrigia.it il 23/10/2019)