scritti

 

Articolo di Fabio Bianchi uscito su "Libertà" di Piacenza il 13 febbraio 2010

IL SILENZIO METAFISICO DEI PAESAGGI MENTALI

 

Tutti gli artisti di area slava hanno una diversa percezione dell’ambiente, del colore, della strutturazione iconografica soprattutto dei dipinti. Raramente c’è la costruzione logica e consequenziale tipica dell’Occidente, prevalgono ispirazione subitanea, cromie pure, luminosità accecante e primordiale. Ed Igor Boban – nato nel 1965 in Bosnia Erzegovina, dal 1991 in Italia, anche apprezzato grafico e pubblicitario – nella personale L’ora del silenzio, fino al 18 febbraio allo Studio C, lo conferma.

Nell’ultima produzione si concentra prevalentemente su quattro temi – cieli stellati, campi, luce e giardini – e di ognuno recepisce e rappresenta l’essenza. Le sue composizioni tutte ad olio su tela sembrano blande distese di colori, in realtà sono pennellate fitte e vibranti, azioni materiali ma anche temporali perché ogni singola macchia è una sineddoche, una parte per il tutto.

Boban ha intuito come l’epopea realistica e descrittiva del colore sia finita, ne ha rinvigorito una delle dimensioni interiori sicchè i suoi quadri sono quasi paesaggi mentali. In queste aree pitturali autonome ed autoreferenziali Boban conquista un ulteriore gradino di complessità, raggiunge il metafisico silenzio tanto agognato fra l’altro dalla nostra caotica società. Già Matisse sostenne e dimostrò come l’intensità del colore dipendesse dall’estensione per cui Boban ne utilizza sempre pochi esaltandone così la funzione psicologica nella ricercata sublimazione formale.

L’ora del silenzio di Boban testimonia allora come la pittura annulli la tradizionale distinzione soggetto-sfondo, sorpassi astrazione ed informale spesso troppo abusati e soprattutto, rafforzi la spiritualità.

Fabio Bianchi

 

Testo scritto per la mostra personale  nella Galleria d'arte Studio C di Piacenza dal 6 al 18 febbraio 2009

L'ORA DEL SILENZIO

I

Il silenzio è la condizione perché l’uomo possa ritornare in se stesso, essere presente a se stesso, il silenzio è lo scudo contro la distrazione esistenziale. Il silenzio come una dimensione spirituale, meditativa, o ancora meglio contemplativa. Il silenzio che permette di cogliere le profondità dell’essere.

II

L’ora del silenzio può ricordare un rito, una pratica, un esercizio. È l’ora privilegiata, fondamentale, essenziale, è l’ora archetipo. Ma l’ora vuol dire anche adesso, in ogni istante e in ogni luogo, in qualsiasi istante e in qualsiasi luogo, sempre. È così che quel silenzio di prima non diventa chiuso in se stesso, non diventa fuga dalla realtà, ma l’unica possibilità di viverla pienamente.

L’artista come mediatore. L’arte per la vita.

III

I Cieli stellati ci portano ad una dimensione grande, cosmica, sub specie aeternitatis.

Non dobbiamo avere paura degli spazi aperti dei Campi, ma spingerci con coraggio lontano dalle nostre piccole certezze. Più sei lontano più sei vicino. La prospettiva rovesciata.

I quadri Luce da luce sono semplici: giallo e bianco. Quel giallo è giallo limone, giallo di cadmio chiaro, medio e scuro, e poi c’è anche dell’arancione. E il bianco è di piombo, di zinco e di titanio. Ancora semplice? Sono i quadri che ci possono illuminare e riscaldare nei momenti meno felici.

I giardini ci invitano ad uscire, a dialogare, a condividere. Sono uno spazio da coltivare, sono un mondo da costruire per i figli. Gli alberi che si innalzano, gli alberi che si aprono, aprirsi per ricevere. Io su quegli alberi ci salgo ancora. Non mi sazio mai di verde.

IV

Il silenzio è anche qualcosa che ancora non è diventato parola. La pittura ci rivela l’indicibile. Quello che non ha il nome ma ha il colore e il calore. Ha tutti i colori, il bianco e il nero compresi. È bello, positivo, vitale, nobile, crede nei miracoli, è gioia ma non senza drammaticità, è paradosso senza irrazionalità, è virile e insieme tenero, è sincero, fugge l’artificiosità, è passione ma non senza regola, è ordine ma non senza libertà. Il silenzio, la parte migliore.

Igor Boban

 Presentazione di Gianfranco Lauretano della mostra “Tutti i miei autunni” del 1994/1995  a S. Piero in Bagno

 

NON SIAMO PIU ABITUATI...

 

Non siamo più abituati a guardare e a lasciare che le cose –i quadri- viste vivano nello sguardo, diventando pensiero e nostalgia. Questo è esattamente ciò che mi è accaduto vedendo i quadri di Igor la prima volta: è rimasta una persistenza nel pensarli e il desiderio di rivederli.

Innanzitutto per l’arancione, che ha evidentemente lavorato nel ricordo e si è fatto strada, tanto che adesso posso dire di non aver mai visto un arancione così. Non tanto, è chiaro, per il colore in sé, dato che ogni cosa in non suscita nulla; quanto per la storia in cui è inserito. Questi quadri formano dunque una storia, sofferta e lieta, il cui frutto è l’emergere di quel calore aperto e positivo, allegro ma non banale che è l’arancione. Una storia in cui persino il nero diventa un colore di letizia. Una storia di rapporti, di accostamenti, di prove e sovrapposizioni. Una storia umana.

 

Non siamo più abituati a pensare, cosicchè per la nostra povera mente di persone omologate e istintive, tutta l’operazione del pensiero è mettere ogni cosa nella casella giusta, affinchè tutto corrisponda ad uno schema tranquillizzante. L’autunno, ad esempio: cos’è per noi, per il nostro “schemino”? Cosa ci ricorda quella parola, autunno appunto? Immediatamente l’idea corre alla malinconia, alla natura che si spoglia delle vesti estive, alle piogge e alle nebbie e a tutta una serie di stereotipi.

Altro è l’autunno (gli autunni) di questi quadri. Poiché esiste anche un autunno settembrino in cui gli alberi sono ancora verdi e l’aria è tiepida, certamente non ancora fredda ma non  più torrida, estiva; un autunno in cui è quasi possibile guardare il sole senza acciecarsi. Ecco che ritorna quell’arancione, che non si riferisce alle foglie o ai colori, ma alla luce di un autunno vivo e solare, per nulla malincolico…

 

Non siamo più abituati a credere, cioè a vedere, a pensare. Per cui lo sguardo che abbiamo sa vedere solo le cose in superficie, per quella che si chiama apparenza. Così rischia di sfuggirci l’essenza, per un’incapacità a vedere e a credere.

Il cielo, ad esempio. Di che colore è il cielo? Non sempre è azzurro. In tutti i quadri del medioevo e in tutte le icone il cielo è d’oro, perché è il luogo di Colui che solo è luce, che solo è prezioso. Così l’arancione di Igor, alla fine, è come il cielo del medioevo, come le icone. È l’oro della bellezza quando è vicina al vero.

Tanto che nel ultimo quadro, quando il percorso è ultimato, il cielo (d’oro, della luce di settembre e della luce del vero) è assoluto, ha riassunto ogni altro colore e la firma non è più che una croce…

 

Gherri