Caratteristiche tecniche Immobilizzatore Activa
In seguito a traumi si possono verificare movimenti temporanei o permanenti dei segmenti ossei che compongono la colonna vertebrale, con la conseguente riduzione del diametro del canale spinale.
Questa è la motivazione per cui vengono attuate procedure di immobilizzazione: ogni movimento può provocare variazioni del diametro del canale vertebrale, ridurre lo spazio disponibile al midollo spinale e aumentare il rischio di lesione di quest’ultimo.
Il trattamento da parte del personale dell’ambulanza mira a stabilizzare le lesioni esistenti e a garantire il trasporto in sicurezza verso una struttura ospedaliera.
L’immobilizzazione permette di diminuire il dolore del traumatizzato, riduce i rischi di lesioni vascolari o nervose secondarie, nonchè danni ai tessuti molli, limita il pericolo di embolie che possono verificarsi, disagio per il paziente.
Il sistema di immobilizzazione Activa permette di assorbire e distribuire uniformemente i carichi e gli effetti degli urti e consente un’efficace stabilizzazione dei segmenti ossei a seguito di un trauma.
Inoltre è in grado di ridurre gli effetti dannosi derivanti dalle vibrazioni prodotte dal mezzo di soccorso.
Il progetto sfrutta la temperatura di transizione vetrosa oltre la quale il polimero, con cui è realizzato, passa da uno stato rigido e duro ad uno in cui è flessibile e gommoso. Mediante una resistenza elettrica, l’immobilizzatore viene riscaldato dalla temperatura ambiente fino a 65°C.
L’azione congiunta del polimero reso flessibile e di alcune cinghie di regolazione, permettono al sup-porto di aderire e conformarsi al corpo del paziente. In questo modo Activa, raffreddandosi in pochi minuti, viene a costituire una massa unica con il corpo del traumatizzato.
Per produrre calore Activa usa una resistenza in rame posta all’interno del polimero ed in grado di fornire il calore necessario in tempi inferiori a 300 sec., sviluppando una potenza di 1200W. L’energia elettrica occorrente viene ricavata collegandosi con la normale rete o in alternativa con una coppia di accumulatori da 12V collegati in serie.
Tesi di laurea di Marco Mastrorilli
Anno: 2001-02
Università: Politecnico di Milano
Relatore: Antonio Macchi Cassia
Area: Ingegneria Facoltà: Architettura Corso: Disegno Industriale
Studi
Note di approfondimento
Laurea in Disegno Industriale
conseguita presso: Politecnico di Milano
nell'anno 2001-02
Laurea in Disegno Industriale conseguita presso: Politecnico di Milano nell'anno 2002 con una votazione di 96 su 100 - tesi valutata 10 punti
Diploma di maturità conseguito presso il Liceo scientifico
Conoscenze informatiche ottimo livello
Per informazioni scrivere a mastro@email.it
INTRODUZIONE ALL'IMMOBILIZZATORE
l trauma per la sua natura intrinseca è un evento imprevedibile, che mal si assoggetta ad un’opera di prevenzione e profilassi e che può colpire l’uomo a qualsiasi età, in ogni aspetto della sua normale vita privata e di relazione.
È un’evenienza che nel giro di pochi secondi può privare chiunque di uno stato di perfetta salute e renderlo invalido per tutta la vita, se non addirittura condurlo alla morte.
Nel mondo occidentale i traumi rappresentano la prima causa di morte nel gruppo di età compresa tra 1 e 45 anni e determinano nella fascia di età compresa tra 1 e 34 anni, una perdita di anni di vita produttiva superiore a quella dovuta ad eventi cardiovascolari e tumorali, per non parlare dei casi di invalidità permanente.
Tutto ciò comporta oltre ad un alto costo umano, un costo sociale elevato sia in termini di spese di gestione dei pazienti (diagnosi, interventi terapeutici e riabilitativi, etc.) che di ore lavorative perse. Lo scaricarsi dell'energia traumatica sul corpo della persona causa lesioni in un attimo, il trattamento del traumatizzato ha inizio al momento dell'incidente e termina, nei casi più favorevoli, (talora anche dopo mesi di interventi) con il ritorno della persona alla normale attività lavorativa precedente all'incidente. Gli incidenti stradali costituiscono la causa più importante di traumi con una incidenza, in alcune zone, superiore al 60%, seguono in percentuale minore gli infortuni sul lavoro, gli incidenti domestici, gli infortuni nel tempo libero (attività sportive), infine i traumi da armi da fuoco o arma bianca. Le ragioni di una tale incidenza degli incidenti stradali sono da ricercarsi nelle abnormi sollecitazioni cui è sottoposto il corpo umano a seguito di un urto automobilistico.
L’urto frontale di un’auto che viaggia a 30km/h contro un ostacolo fisso determina, in meno di trenta millisecondi, un arresto della vettura stessa in circa venti/venticinque centimetri. A seguito di questo impatto tutta l’energia cinetica dell’automobilista lo spinge in avanti nel senso di marcia.
Non va dimenticato che l'energia cinetica cresce con l'aumentare della massa (ad esempio, il peso del veicolo), ma è amplificata in misura addirittura esponenziale in proporzione alla velocità: questo significa che quanto più veloce è il veicolo, tanto più alta è l'energia scaricata e di conseguenza più grave il trauma per gli occupanti del veicolo.
A 30 Km/h un arresto improvviso dell’auto rende l’urto del corpo contro le parti interne dell’auto inevitabile e ben poco possono fare le braccia per trattenere il corpo; per quanto una persona sia robusta ed attenta, la forza dell’urto è maggiore a 400 chilogrammetri, cioè circa quattro volte superiore alla resistenza che le braccia possono opporre. Infatti le lesioni che si producono in un trauma non sono attribuibili solo all’impatto diretto di determinate parti del corpo contro oggetti esterni, ma anche a brusche decelerazioni capaci di sollecitare così violentemente gli organi da provocarne la rottura, anche senza che vi sia lesione degli involucri esterni. In Italia solamente a seguito di incidenti stradali vi sono più di 9.000 morti e 250.000 feriti e più di 20.000 invalidi permanenti ogni anno.
A questo pesante bilancio contribuiscono in maniera significativa i traumi della colonna vertebrale.
Alcuni centri statistici statunitensi hanno individuato 38 cause più frequenti di trauma vertebro-midollare. Le maggiori categorie includono: incidenti della strada (circa il 48%); cadute (dal 10% al 20%); ferite di arma da fuoco (15%); incidenti durante attività sportive (dal 10% al 30%) tra i quali i traumi da tuffo in meno di tre metri d’acqua (66% de-gli incidenti sportivi); altro (3%). In Italia si rilevano percentuali simili ad eccezione delle lesioni da ar-ma da fuoco (6%) e degli incidenti della strada che sono responsabili del 58% delle lesioni vertebrali.
Il danneggiamento del midollo spinale può portare a perdita della sensibilità o all’incapacità di compiere movimenti in zone diverse del corpo a seconda dell’area nervosa interessata. Le alterazioni sensitive e motorie possono essere temporanee, oppure il danno può rivelarsi permanente, se c’è una lesione parziale o completa del midollo spina-le o, nei casi più gravi, il trauma risulta letale. Poche malattie o ferite hanno un potenziale tale da causare la morte o effetti così devastanti sulla qualità di vita dell’individuo.
L'esito funzionale più invalidante è la paralisi permanente degli arti inferiori (paraplegia) e, nelle lesioni cervicali, anche di quelli superiori (tetraplegia). Quando la lesione interessa le prime vertebre cervicali, alla tetraplegia si associa anche la paralisi dei muscoli respiratori.
L'epidemiologia e la letteratura scientifica sostengono che ogni anno in Italia ci sono circa 1.200 nuovi casi di lesione spinale.
Ciò significa che ogni giorno, solo nel nostro Paese, almeno tre persone diventano para o tetraplegiche Da questi dati statistici possiamo comprendere la gravità del problema: subire una lesione del midollo spinale in molti casi significa rischiare di morire oppure, salvandosi, cambiare radicalmente la propria vita e quella dei propri familiari Non bisogna dimenticare che la prospettiva di vita futura per un traumatizzato cervicale che sopravvive alla fase acuta post-trauma raggiunge una media di 30 anni di sopravvivenza per soggetti d’età inferiore a 20 anni, mentre per un’età compresa tra 20 e 60 anni d’età si scende ad una prospettiva di circa 16 anni, prospettiva che precipita a circa 5 anni per persone di un’età superiore a 60 anni.
Si valuta che il 40% dei traumatizzati con deficit neurologici abbiano danni significativi ed a volte permanenti al midollo spinale e che fino al 25% di tali deficit siano prodotti da manovre inadeguate durante la valutazione, il disimpegno e il trasporto del paziente.
Purtroppo parte di tali danni deriva da inadeguati supporti e attrezzature di soccorso e da improprie tecniche di mobilizzazione del paziente. Appare evidente come il contributo del design, seppur in un ambito poco praticato come quello sanitario, possa trovare ampi spazi di intervento.
Ciò che da sempre caratterizza il disegno industriale, rispetto ad una progettazione di tipo ingegneristico, è la sua attenzione preminente per gli utenti finali del prodotto, che, nel caso specifico della sanità, assumono la duplice valenza di utenti attivi e utenti passivi.
L’obiettivo del progetto consiste quindi nel rispondere alle esigenze psicofisiche degli operatori, che utilizzano in maniera attiva il prodotto, e, nello stesso tempo, dei pazienti che fruiscono in modo passivo dello stesso bene. Inoltre l’approccio del designer, proprio perché meno inserito nel settore, risulta scevro da idee preconcette e processi mentali condizionati, egli agisce operando una sintesi tra diversi apporti, poiché, come sostiene Tomàs Maldonado, “il disegno industriale ha il compito di progettare la forma dei prodotti industriali e questo significa coordinare, integrare e articolare tutti quei fattori che, in un modo o nell’altro, partecipano al processo costitutivo della forma del prodotto”.
Allo stesso tempo, dal punto di vista del progettista, nel campo sanitario più che altrove è inoppugnabile l’influenza decisiva di fattori e di obiettivi sociali, economici, organizzativi e persino psicologici nella guida dei processi innovativi, nonché nella determinazione del successo o nell’insuccesso di tali processi (Chiapponi, 1999).
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