Il 2 settembre del 2014 saranno 70 anni da un giorno di inaudita vergogna: il 2 settembre 1944. Vergogna per gli uomini che sulla strada che da Felisio va a Solarolo uccisero selvaggiamente altri nove uomini - uomini come loro - che gli assassini stessi sapevano innocenti; e vergogna per noi tutti, uomini, fratelli degli assassini e fratelli degli assassinati. Quando un uomo è capace di commettere simili crudeltà, un pò ne siamo corresponsabili anche noi, se è vero che anche noi siamo (o ci crediamo?) uomini. Di analoghi giorni di vergogna, allora ne fu piena l'Italia, l'Europa e il mondo, E ancora oggi il calendario continua a registrare tanti e tanti altri giorni di vergogna, simili a quello. Purtroppo. La vergogna di quel giorno lontano ci tovva più da vicino perchè le nove vittime erano quasi tutte nostri concittadini. E, aggiungo, che la storia di quel giorno tragico, fu poi anche inquinata dalle falsità di uno sconsiderato.
Come andarono i fatti, pressappoco, lo sappiamo, anche se i dettagli delle tante versioni differiscono, e molto. In sostanza: nella notte dell'1 settembre 1944 in via Corona, in Comune di Solarolo, viene ucciso a tradimento un ufficiale tedesco (e ferito un altro?) da parte di un incosciente presunto partigiano del quale il nome non è mai stato scritto. Per i tedeschi, allora, vigeva la legge della rappresaglia: punire l'uccisione di ogni loro militare con l'uccisione di 10 civili già arrestati per presunte colpe contro i tedeschi stessi. Invece, poi, i tedeschi e i fascisti, in occasione delle loro tante rappresaglie, catturavano e uccidevano qualunque civile che gli fosse capitato tra le mani.
Torniamo al fatto. Immediatamente dopo l'uccisione del loro ufficiale, i tedeschi prendono delle persone di Solarolo. Poi le lasciano libere - sul perché ci sono diverse motivazioni - e il "compito" della rappresaglia se lo assumono le Brigate Nere di Faenza, comandate da Raffaele Raffaeli. Fermano qua e là, a casaccio, nove uomini che verranno sviziati e uccisi in modo atroce la sera tardi del 2 settembre, e appesi ai pali della luce. Quello che mi ha sempre colpito di più in questo fatto, e in tanti fatti analoghi, è il perchè prima di fucilare le vittime, i "fucilatori" sfogassero su di loro una cattiveria insensata. Quasi fossero obbligati a manifestare su degli innocenti - conosciuti come tali - la propria sanguinaria e disumana bestialità.
Poi c'è un seguito: sarebbe comico, se non si inserisse in un episodio così esecrando. Eccolo. Pietro Santandrea, "cavaliere" e noto necroforo del nostro Ospedale, anni dopo raccontò che anche lui era stato catturato quella volta, ma che, sotto il fuoco dei mitra fascisti, era riuscito a fuggire dal camion che lo trasportava alla morte, nascondendosi, benchè ferito, nel letamaio del parroco di Felisio, don Natale Valenti. Non solo si fece passare per agente segreto degli Alleati e combattente col Gruppo "Maiella". Dichiarò anche di essere stato insignito di varie medaglie nonché di una inesistente importante onorificenza inglese, e via dicendo. Un mucchio di balle, una più grandiosa dell'altra.
Perchè Santandrea raccontò queste falsità? Evidentemente, approfittò sfacciatamente dell'occasione - cioè della stranezza che i fascisti avessero ucciso una persona in meno delle 10 previste - solo per dare sfogo alla sua incontenibile mitomania. Purtroppo le sue fantasie furono prese per vere da molti che non lo conoscevano bene. E furono prese per vere anche dal mio amico Veniero Casadio Strozzi nel suo libro "Faenza Anno Zero" pubblicato nel 1982. Un libro peraltro, quello - come ho sempre detto e scritto - che pure fu così importante, perchè fu il primo libro nel quale la storia di quegli anni della nostra zone veniva affrontata con schiettezza e imparzialità.
Le balle di Pietro Santandrea così diventarono pubblicamente "verità". So che il caro Enrico De Giovanni, quand'era sindaco, parlando in una commemorazione di quell'eccidio, si fece quasi compatire. Perché citò il fatto del "faentino che si era salvato" e, a fine discorso, fu smentito da chi sapeva bene che Pietro Santandrea mentiva. Ancora il nostro "Carlino" in data 16settembre 2011 - pochi anni fa, quindi - annunciando la scompars adi Pietro Santandrea, aggiungeva che egli "aveva partecipato alla Resistenza, tanto da aver ricevuto, oltre a riconoscimenti nazionali, anche... una medaglia nel corso di una cerimonia... alla quale avevano partecipato tutti i partigiani faentini..." e, più avanti, "...anche la sezione faentina dell'Anpi... partecipa al dolore".
Per finirla con questa enorme, incredibile bufala, sappiate allora che il 18 maggio del 2010 Claudio Santandrea, fratello di Pietro, si è presentato all'Anagrafe di Solarolo e, con una lunga, dettagliata "dichiarazione sostitutiva di atto notorio", ha dichiarato che suo fratello si è inventato tutto. Ho la fotocopia del documento per chi avesse ancora dei dubbi. Del resto anche l'amico Lucio Donati, noto ricercatore e storico solarolese, ha raccontato il tutto nella pubblicazione Solarolo ieri (dicembre 2011). E mi ha anche date altre informazioni proprio in questi giorni. Penso sia il caso che, in occasione del 70° anniversario di quel terribile episodio, qualcuno provi a raccontarne, da capo e seriamente, la nuda verità. Abbiamo cinque mesi davanti, e questo giornale a disposizione.
Voglio terminare coi nomi di quei nove uomini uccisi così crudelmente e ingiustamente: Luigi Alessandrini, Stefano Banzola, Giuseppe Buffarderci, Giovanni Caroli, Ferruccio Fiumi, Angelo e Antonio Linguerri, Dionisio Mazzarra, Primo Tampieri. In nome della nostra comune "umanità", illuminata - speriamo - dal sacrificio di Cristo, anche se sono passati tanti anni: chiediamo loro perdono. Tutti.
Giuliano Bettoli (su Il Piccolo di venerdì 21 marzo 2014)