Intervista Giulia Biglioli
Intervista Giulia Biglioli
Ecco di seguito la relazione di una studentessa riguardo l' incontro svolto con Giulia Biglioli l' 8 maggio 2025
OGGETTO: Relazione sull’incontro con la dott.ssa Giulia Biglioli - “Nonno Domenico (non) è tornato”
Giovedì 8 maggio, presso il Liceo Piazzi Lena Perpenti, si è tenuto un incontro di grande rilevanza storica, presieduto dalla
dottoressa Giulia Biglioli, autrice della tesina «Nonno Domenico (non) è tornato» e testimone indiretta delle vicende legate
al secondo conflitto mondiale. L’incontro, rivolto alle classi quinte del liceo linguistico nell’ambito del laboratorio delle
«Pietre Parlanti», ha avuto come fulcro la toccante storia del bisnonno di Giulia, Domenico Picceni, soldato italiano
disperso in Russia durante la Seconda guerra mondiale.
La dottoressa Biglioli ha saputo trasmettere con profonda sensibilità e rigore storico il lungo e doloroso percorso di
ricostruzione della storia di suo nonno.
Un uomo, una guerra, una memoria
Domenico Picceni, detto “Nino”, nacque nel 1915 a Ponte in Valtellina. Figlio di Andrea Picceni, un lattoniere originario di
Lanzada in Valmalenco, la sua famiglia era conosciuta nel paese con il soprannome “I Tulè”. Fin da giovane, Domenico si
distinse per la sua eleganza e il suo spirito artistico: aitante, sempre curato e alla moda, era un ottimo ballerino e abile
giocatore di calcio. Lavorava, insieme ai suoi fratelli, come carpentiere per le centrali idroelettriche FALK.
Nel 1935-36 prestò il suo primo servizio militare ad Alessandria. Due anni dopo, nel 1938, sposò Silvia, dalla quale ebbe
due figli: Pier Giorgio e più tardi, nel 1942, Andrea, nonno di Giulia.
La vita di Domenico fu travolta dagli eventi della Seconda guerra mondiale. Richiamato alle armi il 6 giugno 1940, pochi
giorni prima dell’entrata in guerra dell’Italia, non partecipò direttamente al breve conflitto iniziale. Tuttavia, nel luglio del
1941, fu inviato al fronte orientale per unirsi al CSIR, il Corpo di Spedizione Italiano in Russia, inviato da Mussolini a
fianco dell’alleato nazista in seguito all’invasione sovietica da parte di Hitler.
Il giovane Domenico lasciò l’Italia mentre Silvia era incinta del loro secondogenito. La partenza fu un momento di profondo
dolore, tanto che Silvia non volle mai parlarne. Domenico fu assegnato al reparto di lanciafiamme, a supporto della
divisione alpina Tridentina, e passò l’inverno del 1941-42 in Ucraina meridionale.
Nel 1942, beneficiando della licenza concessa ai soldati nei periodi di relativa calma, Domenico fece ritorno a Ponte in
Valtellina, dove fu accolto con affetto dalla famiglia e conobbe il suo neonato figlio Andrea. Dopo due settimane, malgrado
i tentativi dei parenti di convincerlo a disertare e trovare rifugio in Svizzera, egli mantenne fede alla parola data al suo
capitano e tornò al fronte. Un gesto di integrità e di profondo senso del dovere.
Nell’inverno tra il 1942 e il 1943, i Russi condussero battaglie durissime, tra le quali le note “battaglie del Don”, avvenute
fra il 17 dicembre ‘42 e 27 gennaio ‘43. Le truppe russe investirono così i contingenti tedeschi e dei loro alleati. Le
condizioni erano estreme: freddo tra i -35° e i -42°, equipaggiamenti inadeguati, attacchi incessanti e fame.
La ritirata iniziò verso la metà di novembre 1942 e si concluse nel marzo 1943. Si stima che i militari italiani percorsero
complessivamente nella steppa dai 400 ai 600 km.
Il numero dei caduti durante la ritirata fu elevatissimo ma altrettanto rilevante fu quello dei soldati fatti prigionieri.
Dei 52.000 alpini, inviati in Russia a supporto dell'esercito, soltanto 11.000 fecero ritorno in patria. Purtroppo, però, tra
questi Domenico non figurava. Egli venne inizialmente dato per disperso e il suo nome venne inciso sul monumento
dedicato ai caduti in Piazza della Vittoria a Ponte in Valtellina, tra i militari scomparsi nella Seconda guerra mondiale.
Nei mesi successivi alla fine della guerra capitava, di tanto in tanto, che qualche militare dato per disperso facesse ritorno in
patria; questi episodi alimentarono le attese dei molti che, come la signora Silvia, non avevano perso la speranza di poter
riabbracciare i loro cari. Trascorsero altri anni, tuttavia senza che di Domenico si avessero notizie.
Solo nel dicembre del 1995, a più di cinquant’anni dalla fine del conflitto, una lettera del Ministero della Difesa pose fine
all’attesa: Domenico era morto. L’accesso agli Archivi di Stato sovietici, reso possibile dopo la caduta del muro di Berlino,
permise di consultare i registri dei prigionieri italiani. In essi risultava che Domenico Picceni era stato catturato dai sovietici
e internato nel campo di prigionia n. 188 a Tambov, dove morì il 25 marzo 1943, probabilmente per tifo petecchiale.
Tambov era un campo di smistamento situato a sud-est di Mosca, da cui i prigionieri venivano trasferiti nei circa 200 gulag
presenti in Russia, molti dei quali in Siberia o in Uzbekistan, dove lavoravano rispettivamente nel disboscamento e nella
raccolta del cotone. I registri dei gulag erano scritti in cirillico e spesso i prigionieri italiani dovevano scriversi da soli nome
e cognome, il che ha permesso che alcuni nomi, come quello del nonno di Giulia, giungessero fino a noi.
Il signor Domenico fu probabilmente catturato nel gennaio 1943 e morì a marzo, dopo una marcia forzata a piedi e un
trasporto in carri bestiame sovraffollati, senza acqua, cibo né servizi igienici. Si stima che solo nel marzo 1943 nel campo di
Tambov morirono oltre 9.600 prigionieri.
Quando arrivò la notizia ufficiale, la bisnonna Silvia non reagì. Forse era ormai troppo anziana, forse stava perdendo la
memoria, o forse era semplicemente il peso di una speranza che si era spezzata dopo una vita intera.
Oggi restano due oggetti a testimoniare la vita e la memoria di Domenico Picceni che Giulia ha voluto mostrare agli
studenti: la sua gavetta ritrovata nel 2008, personalizzata con la sua firma e disegni, e un’icona russa, inviata dal soldato alla
famiglia, nascosta in una cassetta di segale.
Considerazioni finali
L’incontro con Giulia Biglioli è stato un momento davvero toccante e pieno di significati che ci ha spinto a riflettere quanto
la memoria storica sia fondamentale. Attraverso la ricostruzione del vissuto del suo bisnonno, Domenico Picceni, Giulia ci
ha mostrato concretamente come una storia familiare lungamente taciuta possa diventare patrimonio comune e voce viva del
passato.
Il silenzio che ha accompagnato la signora Silvia per tutta la vita, nell’attesa di risposte, oggi ha finalmente trovato una
voce. Le parole di Giulia hanno infatti riportato alla luce ciò che ormai era diventato solo un ricordo, restituendo identità e
dignità a chi ne era stato privato.
La sua storia ci ha toccato molto: ci ha ricordato che dietro a ogni nome scritto nella pietra c’è un grande impegno civile, ma
anche un amore interrotto e un futuro spezzato.
Porteremo con noi la storia di Domenico non solo come un ricordo, ma anche come un impegno: quello di custodirla, di
tramandarla, affinché nessun nome resti soltanto un segno scritto nella pietra ma possa continuare a parlare, a raccontare, a
vivere.
L’alunna della classe 5 BLL (a.s 2024/25)
Ilaria Cioccarelli
Giulia Biglioli intenta a leggere la documentazione
La gavetta di Domenico Picceni
Particolare della gavetta: i disegni di Domenico Picceni
L'icona inviata dalla Russia
gli studenti intenti ad ascoltare la testimonianza
Giulia Biglioli risponde alle domande degli studenti